Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22037 del 31/10/2016


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Cassazione civile sez. I, 31/10/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 31/10/2016), n.22037

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

REGIONE CALABRIA, in persona del Vicepresidente della Giunta

regionale p.t., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso

l’avv. GRAZIANO PUNGI’, unitamente all’avv. GIUSEPPE NAIMO

dell’Avvocatura regionale, dal quale è rappresentata e difesa in

virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S.B. in persona dell’amministratore unico p.t. C.G.,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via di Tor Vergata n. 12,

presso l’avv. GIUSEPPE GIDARO, dal quale, unitamente all’avv.

MARZIALE GIDARO del foro di Catanzaro, è rappresentata e difesa in

virtù di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro n. 679/14,

pubblicata il 13 maggio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

giugno 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Giuseppe Naimo per la ricorrente e l’avv. Sergio Gidaro

per delega del difensore della controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per

l’accoglimento del primo motivo di ricorso ed il rigetto degli altri

motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La C.S.B. S.r.l., in qualità di gestore della casa protetta per anziani (OMISSIS), convenne in giudizio la Regione Calabria, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 752.084.04, dovuta a titolo di contributo per le prestazioni sociosanitarie erogate dalla predetta struttura nello anno (OMISSIS). in virtù del contratto stipulato con l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza il 10 agosto 2011, e poste a carico del Fondo sociale regionale nella misura del 50% della retta giornaliera.

Si costituì la Regione, che resistette alla domanda, eccependo tra l’altro la nullità del contratto, in quanto non sottoscritto da essa convenuta e stipulato senza l’osservanza delle regole di evidenza pubblica.

1.1. Con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c. l’8 marzo 2013, il Tribunale di Catanzaro accolse parzialmente la domanda, condannando la Regione al pagamento della somma di Euro 752.084,04, oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda.

2. – L’impugnazione proposta dalla Regione è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Catanzaro. che con sentenza del 13 maggio 2014 ha accolto il gravame incidentale proposto dalla CSB, riconoscendo sulla somma dovuta gl’interessi nella misura prevista dal D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, con decorrenza dalla data contrattualmente fissata per il pagamento.

A fondamento della decisione, la Corte ha confermato innanzitutto la competenza territoriale del Tribunale di Catanzaro, ritenendo inapplicabile il foro previsto dal contratto, in quanto la Regione era stata convenuta in giudizio in qualità di terzo obbligato ope legis al pagamento della somma pattuita. Ha escluso che l’attrice avesse indebitamente frazionato la domanda, osservando la stessa non aveva ad oggetto un credito unico, ma crediti maturati anno per anno, in forza di contratti autonomi. Premesso inoltre che, ai sensi della L.R. Calabria 5 dicembre 2003, n. 23, art. 7, comma 2, come integrato dalla L.R. 5 ottobre 2007, n. 22, artt. 17 e 18 le spese per l’assistenza agli anziani erano imputabili per il 50% al Fondo sociale regionale, la Corte ha ritenuto che, ai fini della predetta imputazione, fosse sufficiente il contratto scritto stipulato tra la CSB e l’Asp, in quanto, ai sensi della L.R. 18 luglio 2008, n. 24, art. 13 le aziende sanitarie competenti erano legittimate alla stipulazione dei contratti con le strutture private accreditate, sulla base dei piani annuali regionali, con efficacia anche nei confronti della Regione. Ha escluso che l’operatività della legge fosse impedita dalla mancata predisposizione degli schemi contrattuali previsti dall’art. 13, rilevando che il contratto prodotto in giudizio ne menzionava specificamente l’uso, ed aggiungendo che nessuno aveva mai contestato l’efficacia dei contratti sottoscritti dalle aziende sanitarie provinciali sotto tale profilo, non incidente sulla loro validità. Ha ritenuto inammissibili, in quanto meramente riproduttive di difese già svolte in primo grado, le censure riflettenti l’elusione dei principi in materia di programmazione della spesa sanitaria e la mancata indicazione della spesa e dei mezzi di copertura, dando comunque atto del superamento della questione. per effetto della sopravvenuta dichiarazione d’illegittimità costituzionale della L.R. 13 giugno 2008, n. 15, art. 16, comma 2, e precisando inoltre che la copertura finanziaria era assicurata dall’ancoraggio ai tetti di spesa stabiliti con Delib. della giunta regionale, nonchè dalla previsione contrattuale del volume massimo delle prestazioni erogabili e del tetto di spesa. La Corte ha ritenuto irrilevante la mancata attivazione di un procedimento di scelta comparativa a seguito di pubblica gara, osservando che il sistema dell’evidenza pubblica previsto dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 per le prestazioni sanitarie e sociosanitarie non è applicabile ai contratti stipulati con le strutture sociosanitarie in regime di accreditamento ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 in quanto tale disposizione prevede un sistema alternativo di selezione del contraente. che, articolandosi in una prima fase volta all’individuazione dei soggetti idonei all’erogazione delle prestazioni ed in una seconda fase volta a disciplinare in concreto la remunerazione delle stesse, soddisfa in modo diverso le esigenze di parità di trattamento, trasparenza e pubblicità cui sono preordinate le procedure di evidenza pubblica. Ha quindi escluso la necessità di rimettere alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del Trattato UE, la questione riguardante la compatibilità del predetto sistema con i contratti previsti dall’art. 1, lett. d), della direttiva CE 2004/18 del 31 marzo 2004. Premesso infine che l’appello incidentale era stato ritualmente proposto nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata, la Corte ha ritenuto che la natura concessoria del rapporto e la determinazione del corrispettivo sulla base di tariffe non comportasse l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002, la cui ampia formulazione, volta a fronteggiare il fenomeno dei ritardi nei pagamenti. consente d’includervi anche i rapporti tra le aziende sanitarie provinciali e le strutture sanitarie accreditate, aventi come fonte un contratto e per oggetto un servizio di assistenza reso da un soggetto operante con criteri di economicità, e remunerato mediante il versamento di un corrispettivo in denaro; al riguardo, ha disapplicato il Decreto n. 70 del 2011, con cui il Presidente della Giunta regionale. in qualità di commissario ad acta, aveva dichiarato l’inapplicabilità degl’interessi moratori previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002. ponendone in risalto la natura di atto amministrativo, contrastante con il dettato della legge.

3. Avverso la predetta sentenza la Regione ha proposto ricorso per cassazione, articolato in nove motivi, illustrati anche con memoria, La CSB ha resistito con controricorso. anch’esso illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente in relazione alla mancata indicazione, nell’intestazione, della data e del numero del decreto dirigenziale di autorizzazione al conferimento dell’incarico al difensore, nonchè all’assenza di qualsiasi menzione della preventiva consultazione con il dirigente della struttura interessata alla lite, prescritta dalla L.R. 13 maggio 1996, n. 7, art. 10, comma 5.

La mancata indicazione degli estremi del predetto decreto non incide infatti sulla concreta possibilità d’identificarlo, avuto riguardo all’avvenuto deposito dello stesso all’atto dell’iscrizione a ruolo del ricorso ed alla conseguente facoltà della controparte di prenderne visione, il cui esercizio trova conferma nel tenore della questione pregiudiziale da essa sollevata. Quanto alla mancata consultazione del dirigente della struttura interessata, questa Corte ha già avuto modo di affermare ripetutamente che la norma in esame non ne esige il consenso, ma soltanto la previa consultazione, ai fini della quale non sono prescritti specifici requisiti di forma. rilevando la stessa soltanto nei rapporti interni tra gli organi regionali, senza alcun effetto sul piano, esterno al contesto organizzativo regionale, della regolare instaurazione del contraddittorio (cfr. Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2012, n. 2704; Cass.. Sez. 1, 1 settembre 2015, n. 17393).

2. E’ altresì infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, in virtù dell’affermata insufficienza ed imprecisione dei fatti di causa riferiti nella narrativa che precede l’illustrazione dei motivi d’impugnazione.

Tale premessa, recante una schematica esposizione dello svolgimento delle fasi di merito, con l’indicazione dell’oggetto della domanda e la sintesi delle posizioni difensive delle parti, accompagnata dalla precisazione delle decisioni adottate dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, può considerarsi infatti sufficiente, pur nella sua stringatezza, a garantire una regolare instaurazione del contraddittorio, e quindi a soddisfare il requisito prescritto dall’art. 336 c.p.c., comma 1, n. 3 cit., ai fini del quale occorre che dal contesto dell’atto di impugnazione possano desumersi gli elementi indispensabili per fornire al giudice di legittimità una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo. ivi compresa la sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. Un., 18 maggio 2006, n. 11653; Cass., Sez. 3, 24 luglio 2007, n. 16315; 19 ottobre 2006, n. 22385).

3. Con il secondo motivo, il cui esame risulta logicamente prioritario rispetto al primo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 40 e 335 c.p.c. degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 111 Cost. sostenendo che, nell’escludere il frazionamento della domanda, la Corte di merito non ha tenuto conto dell’unicità del rapporto obbligatorio e della conseguente irrilevanza dei momenti in cui sono sorti i singoli crediti.

3.1. Il motivo è infondato.

Il frazionamento della domanda giudiziale, nel quale questa Corte ha ravvisato un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento pone a disposizione della parte, è infatti configurabile allorchè, in contrasto il principio di correttezza e buona fede che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase contenziosa, il creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, avanzi una pluralità di richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, la cui proposizione comporti una scissione del rapporto obbligatorio, operata dal creditore per sua esclusiva utilità e con inutile aggravamento della posizione del debitore, costretto a sopportare maggiori costi e difficoltà per la sua difesa in giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726; Cass., Sez. 6, 9 marzo 2015. n. 4702; Cass., Sez. 3, 20 novembre 2009).

Gli estremi di un siffatto abuso sono stati correttamente ritenuti insussistenti nel caso in esame, in quanto il giudizio, pur avendo un oggetto analogo a quello di altri promossi dalla medesima attrice nei confronti della Regione, consistente nel pagamento della quota asseritamente a suo carico per prestazioni socio-assistenziali rese in favore di persone anziane, non si riferisce al medesimo credito, riguardando il corrispettivo dovuto non già per una singola annualità ricompresa in un unico rapporto pluriennale, ma per l’intero rapporto derivante da un contratto annuale. al quale hanno fatto seguito ulteriori contratti, idonei a determinare l’insorgenza di rapporti obbligatori distinti, anche se omologhi.

4. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 38 c.p.c. e degli artt. 1362, 1363, 1365 e 1366 c.c., osservando che, nel rigettare l’eccezione d’incompetenza per territorio del Tribunale di Catanzaro, la sentenza impugnata ha omesso di considerare che la questione di competenza deve restare separata dal merito della vicenda, avendo conferito rilievo all’obbligazione ex lege gravante su essa ricorrente, senza tener conto del foro esclusivo previsto dall’art. 12 del contratto stipulato tra l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza e la CS13, che devolveva al Tribunale di Cosenza tutte le controversie derivanti dal contratto.

4.1. Il motivo è infondato.

La domanda proposta nei confronti della Regione non trova infatti fondamento nel contratto stipulato dalla controricorrente con l’Asp, ma in un autonomo rapporto obbligatorio, asseritamente originato della L.R. n. 23 del 2003, art. 7, comma 2, rispetto al quale il predetto contratto si pone, secondo la prospettazione dell’attrice, come mero presupposto o fatto storico idoneo a determinare l’insorgenza dell’obbligazione, restando la stessa interamente disciplinata dalla legge, anche ai fini dell’individuazione del soggetto passivo, con la conseguente esclusione dell’assoggettabilità di quest’ultimo al foro esclusivo convenzionalmente stabilito dalle parti. La stessa Regione ha peraltro insistito, anche nei precedenti gradi di giudizio, sulla propria estraneità al predetto contratto, la quale comporta necessariamente l’esclusione dell’applicabilità del foro convenzionale, la cui operatività. indipendentemente dalla riconducibilità al contratto dell’obbligazione posta a fondamento della domanda, non può evidentemente estendersi ad un convenuto diverso dalla persona dell’altro contraente (cfr. Cass., Sez. 2, 22 febbraio 2000, n. 1962: 28 settembre 1994, n. 7896).

5. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1322 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in ordine alla mancata sottoscrizione del contratto da parte di essa ricorrente, eccepita in relazione al disposto di atti amministrativi che le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, avevano espressamente richiamato nel contratto, con clausole specificamente approvate dalla CSB.

6. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies, comma 2, della L.R. 18 luglio 2008, n. 24, art. 3, comma 6, della L.R. 26 novembre 2003, n. 23, artt. 7, 34 e 36, della L. 8 novembre 2000, n. 328, artt. 3 e 9 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 128 e ss., degli artt. 1322, 1341, 1342, 1350, 1362, 1363 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., affermando che, nell’escludere la necessità della sottoscrizione del contratto da parte di essa ricorrente, la sentenza impugnata si è limitata a richiamare la disciplina normativa applicabile alla fattispecie, senza tenere conto delle previsioni contrattuali, non incompatibili con le relative disposizioni, che, al fine di assicurare il controllo sul livello di spesa sociosanitaria, individuavano come parte anche la Regione, richiamavano espressamente la Delib. n. 685 del 2002, che richiedeva la firma del rappresentante della Regione, ed imponevano la consegna di una copia del contratto al dipartimento regionale competente, al quale la Giunta regionale aveva delegato il compimento degli atti successivi.

7. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti la comune problematica relativa alla riferibilità del rapporto alla Regione, sono fondati.

E’ infatti pacifico tra le parti che la domanda trae origine da una convenzione stipulata tra l’attrice e l’Asp di Cosenza ai sensi della L.R. 7 agosto 2002, n. 29, art. 3, e della L.R. 18 luglio 2008, n. 24, art. 13 con cui, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies la Regione Calabria provvide dapprima a disciplinare gli accordi per l’acquisizione di prestazioni di assistenza ospedaliera con i soggetti, pubblici e privati, provvisoriamente accreditati, ed in seguito a dettare la disciplina definitiva in materia di autorizzazione, accreditamento, accordi contrattuali e controlli delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private. La stipulazione di tale convenzione, avvenuta senza la partecipazione della Regione, è stata ritenuta dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado idonea a giustificare l’imposizione a carico della stessa di una quota pari al 50% del corrispettivo delle prestazioni rese dalla struttura gestita dalla società attrice, in virtù di quanto disposto dalla L.R. 5 dicembre 2003, n. 23, la quale, nel procedere al riordino degl’interventi e del servizio pubblico in materia sociale ed assistenziale, all’art. 7 individuò, tra i predetti interventi, l’accoglienza presso strutture residenziali e semiresidenziali di persone anziane e disabili che non fossero assistibili a domicilio.

Con Delib. 30 luglio 2002, n. 685, infatti, la Giunta regionale, nel provvedere al recepimento del D.P.C.M. 14 febbraio 2001, recante un atto d’indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie, e del D.P.C.M. 29 novembre 2001, recante la definizione dei livelli essenziali di assistenza, pose a carico del Fondo Sanitario Regionale, nella misura del 100%, le prestazioni erogate dalle case protette per anziani, a decorrere dal 1 gennaio 2002; tale disciplina fu poi modificata dalla L.R. 5 ottobre 2007, n. 22, arrt. 17 il quale, integrando il testo della L.R. n. 23 cit., art. 7, lett. g), ripartì in misura uguale le predette prestazioni tra il Fondo Sanitario Regionale ed il Fondo Sociale Regionale. In seguito, la disciplina in esame fu ulteriormente modificata dalla L.R. 26 febbraio 2010, n. 8, art. 32 la quale pose nuovamente a carico del Fondo Sanitario Regionale, per intero, gli oneri per le strutture socio-sanitarie: tale disposizione, impugnata dal Governo per inadempimento degl’impegni assunti dalla Regione in sede di accordo per il rientro dal disavanzo sanitario, fu tuttavia dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 3, (cfr. Corte cost., sent. n. 123 del 2011).

Sulla base di tale disciplina, la sentenza di primo grado aveva ritenuto che la Regione, pur non avendo partecipato alla stipulazione della convenzione, fosse tenuta a rispondere per la quota del corrispettivo posta a carico del Fondo Sociale, escludendo a tal fine la necessità della sottoscrizione del direttore generale del Dipartimento regionale delle Politiche Sociali, prescritta dalla citata Delib. n. 685 del 2002: tale esclusione è stata confermata dalla sentenza impugnata in virtù del richiamo della L.R. n. 24 del 2008, art. 13, comma 2, il quale demanda in via esclusiva alle aziende sanitarie la definizione degli accordi con le strutture pubbliche e private, sia pure sulla base dei piani annuali preventivi e delle valutazione dei bisogni di prestazioni, nell’ambito dei livelli di spesa e dei livelli assistenziali stabiliti dalla programmazione regionale; alla stregua di tale disposizione. la Corte di merito ha infatti affermato che il contratto stipulato per iscritto dal soggetto deputato allo scopo deve considerarsi idoneo a produrre effetti anche nella sfera della Regione, per quanto riguarda la corresponsione della quota imputata al Fondo Sociale Regionale.

7.1. – Tale conclusione non trova peraltro giustificazione nè nelle modalità di gestione del Fondo Sociale Regionale, disciplinate dalla L.R. n. 23 del 2003, nè in quelle d’instaurazione dei rapporti con le strutture pubbliche e private abilitate alla prestazione dei servizi sociosanitari, disciplinate dalla medesima legge e da quelle relative al Servizio Sanitario Regionale. Ai sensi dell’art. 34, comma 2 L.R. citata, le risorse del Fondo vengono infatti gestite direttamente dal Settore Politiche Sociali della Regione soltanto nella misura del 10%, e destinate alla realizzazione di progetti innovativi e sperimentali ed al finanziamento dell’aggiornamento e della formazione degli operatori pubblici e privati, mentre per il restante 90% sono ripartite annualmente tra i Comuni, cui spetta il cofinanziamento della realizzazione dei Piani di zona. Ai sensi degli artt. 13 e 25, le funzioni amministrative concernenti gl’interventi sociali svolti a livello locale erano affidate ai Comuni, ai quali competevano, tra l’altro, l’erogazione dei servizi, delle prestazioni economiche e delle attività assistenziali, nonchè l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza sui servizi sociali e sulle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, mentre alla Regione erano riservate, ai sensi degli artt. 11 e 25, esclusivamente funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento, comprendenti, tra l’altro, la definizione dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi sociali, e la definizione dei criteri per la determinazione delle tariffe corrisposte dai Comuni ai soggetti accreditati. E’ in quest’ottica che la Giunta regionale, con Delib. 8 ottobre 2007, n. 670, provvide a trasferire ai Comuni le risorse del Fondo Sociale finalizzate a soddisfare le obbligazioni derivanti da atti autorizzativi della Regione nei confronti delle strutture residenziali e semi-residenziali convenzionate, impegnando gli stessi a subentrare nei rapporti di cui alle convenzioni in atto, ed a trasferire le risorse rimanenti ai Comuni capofila dei Distretti Socio Sanitari, perchè fossero utilizzate in relazione ai bisogni sociali del territorio di competenza.

Nel frattempo, era peraltro sopravvenuto il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, il quale, modificando il D.Lgs. n. 502 del 1992, aveva introdotto la nozione d’integrazione socio-sanitaria, comprendente tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione, prevedendo l’integrazione su base distrettuale delle prestazioni di competenza dei Comuni con quelle di competenza delle aziende sanitarie locali, e demandando la definizione dei relativi criteri alle Regioni (del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3-septies). A tal fine, esso aveva provveduto anche alla ridefinizione dell’istituto dello accreditamento (art. 8-quater), demandando alle Regioni la disciplina degli accordi contrattuali con le strutture pubbliche e private accreditate e l’individuazione delle responsabilità spettanti alle Regioni stesse ed alle usl nella definizione di tali accordi (art. 8-quinquies.). Nell’ambito della Regione Calabria, la materia in esame costituì dapprima oggetto di una disciplina provvisoria, dettata dalla L.R. 7 agosto 2002, n. 29, art. 3 che demandò alla Giunta regionale l’approvazione degli schemi tipo relativi agli accordi e ai contratti di cui all’art. 8-quinquies, attribuendone la stipulazione ai direttori generali delle asl competenti per territorio, ed in seguito di revisione ad opera della L.R. n. 24 del 2008, la quale ha ridefinito a sua volta la disciplina dell’accreditamento, in conformità dell’art. 8-quater (art. 11), confermando il conferimento alle asl della legittimazione a stipulare gli accordi con le strutture pubbliche ed i contratti con le strutture private. ma rinnovando l’affidamento alla Giunta regionale del compito di predisporre con proprio regolamento i relativi schemi, ed attribuendole, in aggiunta. quello di definire lo schema di riparto delle risorse tra le aziende sanitarie ed ospedaliere, distinte per tipologie di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie (art. 13).

7.2. – Alla stregua di tale disciplina, che demanda alle asl ogni potere d’intervento diretto in materia di assistenza socio-sanitaria, ivi compresa l’instaurazione di rapporti contrattuali con le strutture pubbliche e private chiamate a rendere le relative prestazioni in regime di accreditamento, riservando alla Regione esclusivamente compiti di programmazione, coordinamento e vigilanza, tra i quali è compresa anche la ripartizione tra le asl delle risorse economiche necessarie per l’effettuazione dei predetti interventi, deve escludersi che l’esecuzione delle prestazioni rese dalla società attrice in favore degli assistiti abbia potuto far sorgere obbligazioni a carico della Regione, rimasta estranea alla stipulazione della convenzione con l’Asp di Cosenza, e comunque priva di ogni competenza al riguardo. Non può condividersi, il richiamo della sentenza impugnata alla L.R. n. 23 del 2003, art. 7 che poneva a carico del Fondo Sociale Regionale una quota del corrispettivo delle predette prestazioni, trattandosi di una disposizione che, oltre ad essere stata superata dalla successiva evoluzione legislativa, non poteva comportare una responsabilità diretta a carico della Regione nei confronti delle strutture accreditate, essendo destinata ad assumere rilievo esclusivamente sul piano interno dei rapporti finanziari tra la Regione e rasi competente per territorio. Significativo, in tal senso, è il preambolo della già citata Delib. n. 685 del 2002, nella parte in cui si riferiva alla Delib. Giunta Regionale 10 ottobre 2000, n. 643, con cui, richiamandosi del D.Lgs. n. 502 del 2002, art. 3-septies era stato previsto lo stanziamento in bilancio di maggiori somme per il pagamento delle rette da parte delle asl in favore delle strutture sociosanitarie private: nella medesima prospettiva, d’altronde, l’allegato alla Delib. n. 685, pur subordinando la validità degli accordi contrattuali alla sottoscrizione anche da parte del Dirigente Generale del 15 Dipartimento della Regione Calabria, o di un suo delegato, precisava che la documentazione relativa al pagamento doveva essere inviata alle asl, in tal modo lasciando intendere che, conformemente alla disciplina riportata, il corrispettivo era a carico dei predetti soggetti, ivi compresa la quota da imputarsi al Fondo Sociale Regionale. Pertanto, anche a voler ritenere che la Regione non potesse, con un proprio atto amministrativo, stabilire le condizioni di validità degli accordi in questione. i cui requisiti soggettivi andavano individuati sulla base delle competenze previste dalla disciplina legislativa di settore, dovrebbe comunque escludersi la possibilità di desumere dalla stipulazione degli stessi l’avvenuta instaurazione di un rapporto diretto con la Regione, ed il conseguente obbligo di quest’ultima di provvedere, sia pure parzialmente, al pagamento delle rette.

7.3. – Un’indiretta conferma dell’estraneità della Regione ai rapporti instaurati dalle asl con i soggetti operanti nell’ambito del settore socio-sanitario può peraltro ricavarsi dalle vicende normative e giurisprudenziali che hanno riguardato, fino ad epoca relativamente recente, il pagamento dei corrispettivi dovuti alle farmacie per le prestazioni rese in favore degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale e la successione delle asl nei rapporti già facenti capo alle usl.

A seguito dei provvedimenti amministrativi con cui alcune Regioni disposero. per agevolare il controllo dei dati ed accelerare la liquidazione delle rispettive spettanze. l’accentramento delle risorse finanziarie presso alcune unità sanitarie locali, denominate “capofila”, conferendo alle stesse il compito di provvedere alla emissione degli ordinativi di pagamento ed imponendo agl’interessati di far pervenire alle stesse le relative richieste e la documentazione prescritta, fu infatti ipotizzato un coinvolgimento diretto delle medesime Regioni nei relativi rapporti, ben presto escluso da questa Corte in virtù della considerazione, riferibile anche alla vicenda in esame. che, ai sensi dei principi informatori del Servizio Sanitario Nazionale e della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48 le usl costituivano strutture operative degli enti pubblici territoriali, fornite di autonomia amministrativa, patrimoniale e contabile, e quindi direttamente legittimate all’instaurazione di rapporti giuridici, anche processuali, con i terzi, ai quali erano pertanto destinate a rimanere estranee le Regioni, cui la legge riservava esclusivamente il compito di regolare, programmare, coordinare e controllare l’attività delle usl (cfr. Cass., Sez. 1, 30 luglio 1996, n. 6873; 11 marzo 1996, n. 1968; 12 maggio 1995, n. 5177). La questione, poi risolta nel senso della permanenza della legittimazione sostanziale e processuale dell’usi territorialmente competente, con esclusione della rilevanza esterna delle Delib. regionali, cui fu riconosciuta una portata meramente organizzativa, e della conseguente configurabilità di un’obbligazione a carico delle usl c.d. capofila (cfr. per tutte, Cass., Sez. Un., 1 luglio 1997, n. 5896), si ripropose, in termini diversi, a seguito della soppressione delle usl e dell’istituzione delle usl, disposta dal D.Lgs. n. 502 del 1992, cui fecero riscontro l’imposizione alle Regioni del divieto di far gravare sulle neocostituite aziende i debiti delle gestioni pregresse, e la conseguente insorgenza d’incertezze riguardo all’individuazione del soggetto tenuto a risponderne, nonchè legittimato a stare in giudizio nelle relative controversie: in tal caso, diversamente da quanto accaduto in precedenza, il soggetto obbligato fu individuato nelle Regioni, in qualità di aventi causa ex lege delle disciolte usl, ma solo per effetto dei provvedimenti legislativi (della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 14) che avevano previsto la costituzione di apposite gestioni a stralcio, poi trasformate in gestioni liquidatorie, affidate ai direttori generali delle nuove aziende e facenti capo, in ultima analisi, proprio alle Regioni (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3, 26 gennaio 2010, n. 1532; Cass., Sez. 1, 20 settembre 2006, n. 20412; Cass., Sez. lav., 15 settembre 2005, n. 18285).

Il confronto tra le predette vicende conferma che, al di fuori dei casi in cui sia la stessa legge a prevedere l’instaurazione di rapporti con i terzi, in virtù dell’inerenza dell’atto da cui derivano all’esercizio di funzioni proprie o all’intervento diretto nelle vicende di enti da essa dipendenti, la Regione rimane normalmente estranea alla concreta gestione dei servizi socio-sanitari, essendo titolare di competenze riguardanti esclusivamente la sfera della programmazione, del coordinamento e della vigilanza sugli enti operanti nel settore, con la conseguenza che, in mancanza di un’espressa disposizione di legge che lo consenta, non sono ad essa riferibili in via diretta gli effetti degli atti posti in essere dai predetti enti nell’esercizio delle rispettive funzioni. Una siffatta disposizione non è rintracciabile nel caso in esame, non potendo essere ravvisata nè nella L.R. n. 23 del 2003, art. 7 avente, come si è detto, una portata riferibile esclusivamente ai rapporti finanziari interni all’area dei servizi socio-sanitari, nè nella L.R. n. 24 del 2008, art. 13 il quale anzi, nell’attribuire esclusivamente alle asl la competenza in ordine alla stipulazione dei contratti con le strutture accreditate, depone chiaramente in senso contrario all’efficacia diretta di tali contratti nei confronti della Regione.

8. Il ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti gli altri motivi, con cui la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver accolto l’appello incidentale, nonostante la tardiva costituzione dell’appellato, nonchè per aver escluso l’invalidità del contratto per inosservanza delle regole di evidenza pubblica o per mancanza di copertura finanziaria, chiedendo, ai fini della risoluzione della prima questione. la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia UE, e facendo valere, in riferimento alla seconda, l’illegittimità costituzionale della L. n. 23 del 2003, art. 38.

9. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Catanzaro, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il secondo ed il terzo motivo di ricorso, accoglie il quarto ed il quinto motivo, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro, anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2016

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