Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22032 del 31/10/2016


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Cassazione civile sez. I, 31/10/2016, (ud. 12/04/2016, dep. 31/10/2016), n.22032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19231-2011 proposto da:

BPHONE S.R.L., (c.f./p.i. (OMISSIS)), nonchè ITELCOM S.R.L.

(c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

A. DEPRETIS 86, presso l’avvocato PIETRO CAVASOLA, che le

rappresenta e difende unitamente all’avvocato EUTIMIO MONACO, giusta

procure a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OSLAVIA 12, presso l’avvocato FABRIZIO BADO’, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PIERO FATTORI, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 473/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato EUTIMIO MONACO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato FABRIZIO BADO’ che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Bphone S.r.l. e Itelcom S.r.l. hanno convenuto in giudizio Telecom Italia S.p.A. dinanzi alla Corte d’appello di Milano ed hanno chiesto accertarsi e dichiararsi l’abusività della condotta posta in essere dalla società convenuta, consistita nell’omesso versamento, a partire dal mese di (OMISSIS), degli importi maturati per il traffico sviluppato sui codici NNG (acronimo di “Numerazioni Non Geografiche”) concessi in uso a Bphone S.r.l. per l’importo complessivo di Euro 2.429.148,78, oltre ai danni.

Le società attrice, a fondamento della domanda, hanno sostenuto quanto segue:

1) avevano ottenuto in gestione da Telecom Italia S.p.A. alcune “Numerazioni Non Geografiche” impiegate per l’erogazione al pubblico di servizi a valore aggiunto (c.d. servizi VAS) forniti da appositi Centri Servizi;

2) la pattuizione intercorsa con la società convenuta prevedeva che quest’ultima riscuotesse in bolletta dai propri abbonati i corrispettivi da questi dovuti per la fruizione dei servizi erogati sulle menzionate numerazioni e riversasse tali importi a Bphone S.r.l. al netto di una percentuale ad essa convenuta spettante;

3) viceversa, Telecom Italia S.p.A., avvalendosi abusivamente della clausola c.d. “prevenzione frodi”, contenuta in detta pattuizione, aveva illegittimamente trattenuto la somma oggetto della domanda sull’assunto che il traffico telefonico in questione fosse stato determinato in modo fraudolento;

4) la condotta di Telecom Italia S.p.A. costituiva secondo le attrici abuso della posizione dominante, che essa deteneva sul mercato dell’accesso ai servizi VAS.

Telecom Italia S.p.A. ha eccepito l’incompetenza del giudice adito e resistito all’avversa domanda.

p. 2. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 21 febbraio 2011, disattesa l’eccezione di incompetenza, ha rigettato la domanda e condannato le società attrici alle spese.

Ha in particolare ritenuto la Corte d’appello:

1) che le attrici avessero denunciato a carico della società convenuta un abuso di posizione dominante, abuso in generale sussistente in ipotesi di effettivo ostacolo al dispiegarsi della concorrenza, con l’ulteriore conseguenza che la domanda spiegata postulava preliminarmente l’individuazione del mercato di riferimento, avuto riguardo alla sua estensione geografica e all’area di sostituibilità dei prodotti e dei servizi in questione;

2) che tale mercato non poteva essere fatto coincidere con il mercato dell’accesso/originazione di chiamate verso le NNG da rete mobile Telecom Italia, poichè, in tal modo, il mercato si sarebbe fatto coincidere con quello di ciascun operatore di accesso (oltre a Telecom Italia, Vodafone, Wind eccetera), dominante per definizione; viceversa, essendo i punti di accesso alla rete sostituibili fra loro, nessun operatore poteva considerarsi in posizione dominante, com’era del resto dato acquisito sulla base di provvedimenti adottati dall’AGCOM;

3) che, con riguardo all’accesso ai servizi a valore aggiunto (VAS) verso le NNG da rete fissa, era assorbente il rilievo che le trattenute illegittime lamentate dalle società attrici traevano origine in via assolutamente prevalente da traffico proveniente da rete mobile;

4) che, in ogni caso, le attrici avevano imputato a Telecom Italia S.p.A. una condotta non idonea ad integrare un abuso anticoncorrenziale, ma semplicemente un inadempimento contrattuale, consistito nel sospendere il pagamento delle somme asseritamente dovute, senza, tuttavia, che tale inadempimento realizzasse altresì un’alterazione del mercato, tanto più che Bphone S.r.l. non aveva neppure allegato e tantomeno comprovato di essere stata estromessa dal mercato ovvero di aver subito una contrazione della propria quota di mercato, potendo in ogni caso la società reperire adeguate alternative sul mercato dell’accesso ai servizi in discorso.

p. 3. – Contro la sentenza Bphone S.r.l. e Itelcom S.r.l. hanno proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

Telecom Italia S.p.A. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. – Il ricorso contiene quattro motivi.

p. 4.1. – Il primo motivo è svolto da pagina 5 a pagina 18 e si articola in 11 paragrafi introdotti dalla rubrica: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 287 del 1990, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello erroneamente applicato i parametri valutativi della fattispecie di abuso di posizione dominante e per avere in ogni caso omesso ogni accertamento circa gli elementi costitutivi della fattispecie”.

Secondo le ricorrenti la Corte d’appello non si era avveduta che esse attrici avevano indicato il mercato di riferimento: si trattava sia del mercato a monte cosiddetto di accesso, unitariamente considerato e cioè senza distinzioni tra traffico fisso e mobile, mercato in cui era attivo l’operatore Telecom in una posizione di assoluta dominanza, come la stessa Corte d’appello aveva accertato in un diverso procedimento, sia il mercato a valle del precedente in cui si trovavano operatori titolari delle numerazioni NNG attraverso le quali erano erogati al pubblico i servizi a valore aggiunto.

4.2. – Il secondo motivo è svolto da pagina 18 a pagina 20 e si articola in 8 paragrafi sotto la rubrica: “Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Nel motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe contraddittoriamente ritenuto l’irrilevanza del traffico da rete fissa, avuto riguardo alla domanda formulata dalle attrici in primo grado, che, nel chiedere il risarcimento dei danni subiti, li avevano dedotti tanto con riferimento alle somme maturate per il traffico originato da chiamate da rete mobile, quanto con riferimento al traffico da rete fissa, per circa Euro 400.000: sicchè, avendo escluso la dominanza di Telecom sul mercato dell’accesso da rete mobile, la Corte avrebbe quantomeno dovuto esprimersi sulla domanda risarcitoria delle attrici relativa alle somme maturate con riferimento ai traffici originati da rete fissa.

p. 4.3. – Il terzo motivo è svolto da pagina 20 a pagina 27 del ricorso e si articola in 7 paragrafi sotto la rubrica: “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

La censura è volta a sostenere che le ricorrenti, lungi dal dedurre un inadempimento contrattuale, avevano sempre e chiaramente prospettato un abuso del diritto spettante per contratto a Telecom Italia S.p.A. ed esercitato a soli fini anticoncorrenziali, mentre la Corte d’appello aveva omesso di valutare le risultanze probatorie e di fornire una motivazione congrua in proposito, avuto riguardo alla circostanza che la società, convenuta si era limitata ad affermare di aver proceduto alla sospensione dei pagamenti sulla base di denunce-querele contro ignoti, senza tuttavia chiarire nè la portata delle denunce, nè tantomeno l’esito dei relativi procedimenti penali, nè la riferibilità di essi ai servizi nella specie erogati. La Corte territoriale, inoltre, non aveva considerato il contenuto della perizia economica depositata in atti a firma del professor O., il quale aveva evidenziato l’avvenuta estromissione di Bphone S.r.l. dal mercato in questione.

p. 4.4. – Il quarto motivo è svolto da pagina 27 a pagina 29 del ricorso ed è articolato in cinque paragrafi sotto la rubrica: “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, e/o nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il motivo denuncia l’errore che la Corte d’appello avrebbe commesso nel dichiararsi competente sulla domanda spiegata e nell’omettere poi di provvedere sulla richiesta risarcitoria avanzata.

p. 5. – Il ricorso va respinto.

p. 5.1. – Il primo motivo è inammissibile.

p. 5.1.1. – Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge descrivono e rispecchiano i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, ossia: a) il momento concernente la ricerca e l’interpretazione della norma regolatrice del caso concreto; b) il momento concernente l’applicazione della norma stessa al caso concreto, una volta correttamente individuata ed interpretata.

In relazione al primo momento, il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata; con riferimento al secondo momento, il vizio di falsa applicazione di legge consiste, alternativamente: a) nel sussumere la fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perchè, rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro; b) nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (Cass., n. 18782/2005). Ricorre in altri termini la violazione ogni qualvolta vi è un vizio nella individuazione o nell’attribuzione di significato ad una disposizione normativa; ricorre invece la falsa applicazione qualora l’errore si sia annidato nella individuazione della esatta portata precettiva della norma, che il giudice di merito abbia applicato ad una fattispecie non corrispondente a quella descritta nella norma stessa.

Dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge.

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., n. 195/2016; Cass., n. 26110/2015; Cass., n. 8315/2013; Cass., n. 16698/2010; Cass., n. 7394/2010; Cass. S.U., n. 10313/2006).

Nel caso in esame, la doglianza ha in effetti ad oggetto esclusivamente la motivazione in fatto adottata dalla Corte d’appello, laddove questa ha ritenuto di negare che Telecom Italia S.p.A. ricoprisse una posizione dominante nel campo della telefonia mobile, irrilevante quantitativamente essendo per converso l’entità degli accessi alle NNG da telefonia fissa: non si tratta, dunque, di violazione di legge nel senso che si è poc’anzi indicato.

p. 5.1.2. – D’altro canto, anche a voler inquadrare la censura, indipendentemente dalla sua rubrica e dalla prospettazione delle ricorrenti, nell’ambito non dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ma del n. 5 nel testo applicabile ratione temporis, essa non varca comunque la soglia dell’ammissibilità.

Ed infatti, esclusa l’ipotesi della motivazione radicalmente omessa, che nella specie evidentemente non ricorre, giacchè la Corte di appello ha escluso la posizione dominante di Telecom Italia S.p.A., in ambito di telefonia mobile, facendo espresso riferimento a delibere AGCOM, ed ha ritenuto irrilevante la posizione ricoperta nell’ambito della telefonia fissa, avuto riguardo alla stessa prospettazione di parte attrice, può in generale discorrersi di motivazione insufficiente quando la sentenza impugnata abbia attribuito agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune (Cass., n. 5274/2007; Cass., n. 2577/2007; Cass., n. 27197/2006), ovvero manchi dell’indicazione degli elementi dai quali il giudice ha desunto il proprio convincimento (Cass., n. 5913/2001; Cass., n. 8629/2000), o ancora evidenzi nel complesso un’obiettiva carenza di individuazione del criterio logico posto a base della formazione del convincimento (Cass., n. 1635/2009; Cass., n. 6064/2008), mentre può discorrersi di motivazione contraddittoria quando le diverse ragioni poste a base della decisione risultino razionalmente incompatibili, così da escludersi a vicenda, tanto da impedire l’individuazione della ratio decidendi (Cass., n. 5794/2010; Cass., n. 13157/2009; Cass., n. 8708/2009), sicchè non rileva il contrasto tra aspetti logici della motivazione ed elementi o dati esterni ad essa (Cass., n. 21741/2006; Cass., n. 1605/2000).

Nel caso in esame, allora, è agevole osservare che la motivazione non si presenta nè insufficente, nè tantomeno contraddittoria, dal momento che la Corte d’appello ha debitamente evidenziato la nozione fatta propria di “mercato rilevante” ed ha posto l’accento sul rilievo che le società attrici non avevano fornito alcun elemento per individuare un mercato rilevante ai fini della lite in discorso, nel quale Telecom Italia S.p.A. potesse essere considerata impresa dominante, aggiungendo che, in ogni caso, sulla base dei menzionati provvedimenti AGCOM, Telecom Italia S.p.A. certamente non rivestiva posizione dominante nel campo della telefonia mobile, mentre era irrilevante la sua posizione nel campo della telefonia fissa giacchè le stesse attrici avevano chiarito che le trattenute ipoteticamente illegittime traevano origine in via assolutamente prevalente da traffico originato da rete mobile e non da rete fissa.

In tale quadro, la doglianza spiegata in questa sede altro non fa che sollecitare una nuova e diversa lettura della vicenda, la quale è viceversa interdetta, giacchè il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso (Cass., n. 360 c.p.c., comma 1/2006). Lo scrutinio effettuato dalla Corte di cassazione, insomma, non di comprendere per quale ragione la Corte territoriale non avrebbe dovuto distinguere tra telefonia fissa e telefonia mobile, ma avrebbe dovuto effettuare una valutazione unitaria del mercato dell’accesso, ritenendo così Telecom Italia S.p.A. in posizione dominante, ma si mostra sostanzialmente incomprensibile, laddove evidenzia che “il numero di richieste di eliminazione fatte pervenire a Telecom da parte di utenti di rete fissa è risultato, nel corso degli scorsi anni, del tutto irrisorio stante la possibile fruibilità dei servizi in questione da parte dei medesimi da rete mobile, sui quali infatti si è trasferita la quasi totalità della domanda dei medesimi” (pagina 12 del ricorso): il che per l’appunto conferma il giudizio di irrilevanza della posizione di Telecom Italia S.p.A. nel campo della telefonia fissa, dal momento che i servizi a valore aggiunto (c.d. servizi VAS) forniti attraverso le NNG assegnate alle attrici passavano per la telefonia mobile e non per quella fissa. E’ dunque conferma la correttezza della motivazione addotta dalla Corte milanese.

p. 5.2. – Il secondo motivo è inammissibile.

Questa Corte ha numerose volte ribadito che non è logicamente concepibile che una stessa motivazione possa essere, quanto allo stesso fatto decisivo, contemporaneamente illogica, nonchè contraddittoria, e, ancora, insufficiente, mentre è onere del ricorrente precisare quale sia, in concreto, il vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 3 Cost. e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa al giudice (ex multis, Cass., n. 24938/2014; Cass., n. 14322/2014; Cass., n. 7575/2011; Cass., n. 713/2010, Cass., n. 13954/2007; Cass., n. 1317/2004).

Orbene, nel caso in esame i ricorrenti hanno per l’appunto formulato, senza distinguere, una doglianza di insufficiente e contraddittoria motivazione: con la precisazione che il giudizio d’inammissibilità non discende dalla mera intestazione della doglianza, ma dalla sostanza di essa, la quale non consente di comprendere in che cosa il vizio motivazionale, con precisione, consisterebbe.

Per converso, sembra piuttosto che le ricorrenti non abbiano perfettamente inteso la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata, nella parte in cui quest’ultima ha sottolineato che le trattenute illegittime lamentate dalle attrici traevano origine in via assolutamente prevalente da traffico originato da rete mobile, il che rendeva ininfluente la verifica della posizione di Telecom Italia S.p.A. nel campo della telefonia fissa: vertendosi, difatti, in ipotesi di domanda volta a sanzionare l’abuso di posizione dominante, è del tutto evidente che la constatazione dell’inesistenza di una posizione dominante in capo a Telecom Italia S.p.A. nel campo della telefonia mobile, compromette di per sè la prospettazione avanzata, non essendo fondatamente concedibile, già sul piano logico, una condotta volta a distorcere il mercato ed a realizzare intenti anticoncorrenzialii attuata mediante interventi circoscritti ad un solo marginale settore di operatività del soggetto che detta condotta subisce (in questo caso quello della telefonia fissa) e che può viceversa liberamente svolgere ed espandere la propria attività nell’altro e più ampio settore, quale, nella specie, quello della telefonia mobile.

Sicchè, sotto tale profilo, muovendo da una inesatta percezione della ratio decidendi adottata dal giudice di merito, il motivo risulta inammissibile per mancanza del requisito della specificità coessenziale alle censure motivazionali consentite dall’art. 360 c.p.c., n. 5.

p. 5.3. – Il terzo motivo è assorbito.

Ed infatti, una volta esclusa la sussistenza di ragioni anche solo potenzialmente idonee a ribaltare il giudizio della Corte d’appello in ordine alla non configurabilità di una posizione dominante di Telecom Italia S.p.A. nel contesto in discorso, la verifica del carattere anticoncorrenziale della condotta addebitata a tale società diviene automaticamente superflua.

5.4. – Il quarto motivo è infondato.

Disattesa l’eccezione di incompetenza formulata da Telecom Italia S.p.A., sull’assunto che la competenza dovesse determinarsi dalla domanda, con la quale le originarie attrici avevano denunciato una condotta di abuso di posizione dominante da parte della convenuta, la Corte d’appello, una volta esclusa la sussistenza sia della posizione dominante sia di una condotta anticoncorrenziale, ha correttamente rigettato la domanda, ritenendo, tra l’altro, che la condotta dedotta dalle attrici non configurasse abuso di posizione dominante, ma costituisse semmai, in ipotesi, puro e semplice inadempimento contrattuale della clausola che consentiva a Telecom Italia S.p.A. di sospendere i pagamenti per i fini della c.d. “prevenzione frodi”.

Ma, naturalmente, nessun potere la Corte aveva di esaminare una domanda che le attrici non avevano in effetti spiegato e che era estranea alla sua competenza, quale quella di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale conseguente alla violazione della clausola di cui si è detto.

p. 6 – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate in complessivi Euro 20.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e quant’altro dovuto per legge.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2016

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