Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22030 del 31/10/2016

Cassazione civile sez. I, 31/10/2016, (ud. 10/03/2016, dep. 31/10/2016), n.22030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2490-2011 proposto da:

ITALFONDIARIO S.P.A., (p.i. (OMISSIS)), nella qualità di

procuratrice della CASTELLO FINANCE S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 138, presso l’avvocato LORENZO CONTUCCI, rappresentata

e difesa dagli avvocati ROBERTO ZILIO, SANDRO SPANGARO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.A., (c.f. (OMISSIS)), C.G., F.D.,

S.L., T.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA TOMMASO SALVINI 55, presso l’avvocato SIMONETTA DE SANCTIS

MANGELLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIORGIO CLEMENTE RIVA, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 336/2010 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 20/08/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato S. SPANGARO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato C. D’ERRICO, con delega,

che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p. 1. – B.A., C.G., F.D., S.L. e T.M. hanno proposto opposizione, nei confronti di Intesa Gestione Crediti S.p.A., contro il decreto del 4 dicembre 2000 con cui il Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, aveva loro ingiunto, nella veste di fideiussori della Cooperativa Edificatrice 7 Zona Socio Economica Soc. coop. a r.l., il pagamento della complessiva somma di Lire 302.917.304 (derivante dal cumulo del saldo debitore di due distinti conti correnti di cui era titolare la società garantita) oltre interessi al tasso annuo del 10,50% e comunque entro i limiti del “tasso soglia” a far data dal 1 gennaio 2000 oltre spese.

Gli opponenti, a fondamento dell’opposizione, hanno dedotto:

1) la mancata pattuizione scritta degli interessi via via applicati sui conti correnti;

2) la capitalizzazione trimestrale degli interessi in violazione dell’art. 1283 c.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 166;

3) il limite di garanzia delle fideiussioni, dal momento che la copia prodotta dalla società ricorrente in monitorio recava la cancellatura della clausola dattiloscritta “con decurtazione di Lire 50.000.000 al 31.5.98”, che invece si leggeva nella copia della stessa fideiussione inviata dalla stessa ricorrente al Commissario liquidatore della società garantita.

Intesa Gestione Crediti S.p.A. ha resistito all’opposizione.

p. 2. – Il Tribunale adito, espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza numero 24 del 2007, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto, compensando le spese di lite e ponendo quelle di consulenza tecnica d’ufficio a carico di Intesa Gestione Crediti S.p.A..

p. 3. – Quest’ultima società ha proposto appello al quale i debitori ingiunti hanno resistito, spiegando altresì appello incidentale.

p. 4. – La Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 20 agosto 2010 ha rigettato l’appello principale e quello incidentale, con compensazione di spese.

Ha in breve ritenuto la Corte d’appello:

1) che dovesse tenersi conto del fascicolo della fase monitoria di Intesa Gestione Crediti S.p.A., non depositato nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo;

2) che, nondimeno, l’appello proposto non potesse essere accolto;

3) che, difatti, il Tribunale aveva esattamente dichiarato la nullità delle clausole concernenti la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, facendo applicazione dei principi dettati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, noto essendo, d’altro canto, che l’approvazione del conto di cui all’art. 1832 c.c. non determina la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori;

4) che, quanto alla pattuizione degli interessi ultralegali, non potesse dubitarsi della nullità della clausola concernente la determinazione di essi sulla base degli usi su piazza, e che, con riguardo alla previsione degli interessi misura del 10,50%, essa non potesse operare, non essendo stata provata l’entità del capitale su cui calcolare gli interessi;

2) che, quanto al preteso esaurimento dei rapporti, appariva evidente che lo stesso non poteva essere ricollegato al mero passaggio a sofferenza delle posizioni garantite a far data dal 22 aprile 1999, considerata la pendenza del giudizio relativo alle posizioni debitorie;

6) che la certificazione di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 non era sufficiente la prova del credito nel giudizio di opposizione;

7) che le restanti questioni ed in particolare quella concernente il testo delle fideiussioni prestate risultava assorbito.

p. 5. – Contro la sentenza Italfondiario S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi illustrati da memoria.

B.A., C.G., F.D., S.L. e T.M. hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. – Il ricorso contiene sei motivi.

p. 6.1. – Il primo motivo è volto ad eccepire che l’iscrizione a ruolo della causa di opposizione era stata tardiva e che per conseguenza l’opposizione doveva essere dichiarata improcedibile.

Secondo la società ricorrente, infatti, la notifica dell’atto di citazione in opposizione era avvenuta in data 22 febbraio 2001, mentre l’iscrizione a ruolo aveva avuto luogo il 28 febbraio 2001, e cioè tardivamente, dopo il decorso del termine di cinque giorni di cui all’art. 645 c.p.c. nell’interpretazione datane dalle Sezioni Unite di questa corte con sentenza numero 19.246 del 2010.

p. 6.2. – Il secondo motivo è volto a sostenere che gli originari opponenti erano soci ed amministratori della Cooperativa obbligata principale, la quale non aveva mai contestato la capitalizzazione trimestrale, mentre i documenti 6 e 7 di primo grado dimostravano una consapevole espressa ricognizione dei nuovi affidamenti dal 1 ottobre 1997 e delle relative esposizioni successivamente contestate.

p. 6.3. – Il terzo motivo è volto a sostenere che, avendo il decreto ingiuntivo condannato gli opponenti al pagamento della sorte con gli interessi “al tasso annuo del 10,50% e comunque entro i limiti del tasso soglia legali”, nessuna eccezione di sorta da parte degli stessi opponenti sarebbe stata consentita.

D’altro canto non corrispondeva al vero quanto affermato dalla Corte d’appello, ossia che il saldo dare al 1 aprile 1993 “non rappresenta un saldo in linea capitale, ma un montante per un periodo sconosciuto”, tanto più che tale circostanza non era stata eccepita o sollevata dagli opponenti, ma dal c.t.u., che non è parte.

Inoltre, poichè i nuovi affidamenti richiesti con domanda del 15 settembre 1997 erano già pienamente utilizzabili ed i conti da tempo immobilizzati, era errata ed illogica la sentenza impugnata laddove pretendeva che i conteggi fossero effettuati a ritroso a partire dal 1 aprile 1993, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo senza che gli opponenti fossero condannati a pagare almeno l’esposizione dei due affidamenti alla data del 1 ottobre 1997: “i fideiussori devono rispondere di qualche importo, che non può essere zero come se le fideiussioni fossero nulle o invalide!”.

La Corte di merito avrebbe potuto determinare anche equitativamente l’ammontare comunque dovuto, depurando l’importo ingiunto degli interessi trimestrali, andando a ritroso fino al 1 ottobre 1997, o anche al giugno 1992.

Ed ancora i documenti 6 e 9 allegati al ricorso (domande di nuovo fido) facevano prova della pattuizione di interessi legali per il periodo dal 15 settembre 1997, o almeno dal 1 ottobre 1997, in poi, Per il periodo precedente il 15 ottobre 1997, i tassi tempo per tempo applicati hanno prodotto interessi debitori che non erano mai stati contestati.

p. 6.4. – Il quarto motivo è volto a sostenere la genericità della contestazione svolta dagli opponenti in ordine all’entità della somma dovuta, quantunque spettasse ad essi opponenti l’onere di provare un diverso minor saldo dare.

p. 6.5. – Il quinto motivo è volto a sostenere che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, gli affidamenti richiesti con domanda del 15 settembre 1997 fossero cessati il 30 settembre 1998 come pattuito, dovendosi anche considerare la risoluzione ex lege dei rapporti contrattuali di affidamento a seguito della messa in liquidazione della Cooperativa e comunque della dichiarazione dello stato di insolvenza della stessa.

6.6. – Il sesto motivo è volto a sostenere che la banca avrebbe documentato il proprio credito nel ricorso per decreto ingiuntivo con la certificazione di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50 certificazione effettuata sulla base dei libri contabili dotati di efficacia probatoria ai sensi dell’art. 2710 c.c., documento che faceva prova anche nei confronti degli opponenti, coobbligati solidali della debitrice principale, tanto più che i fideiussori avevano l’obbligo di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore.

p. 7. – Il ricorso va respinto.

p. 7.1. – Il primo motivo è infondato.

La L. 29 dicembre 2011, n. 218, art. 2 stabilisce che: “Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l’art. 165 c.p.c., comma 1, si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell’attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l’opponente abbia assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’art. 163-bis, comma 1 medesimo codice”.

La norma, del tutto chiara ed inequivoca nella sua formulazione letterale, fa dunque discendere la riduzione del termine di costituzione dell’attore dal fatto stesso dell’assegnazione, da parte dell’opponente all’opposto, di un termine di comparizione inferiore a quello previsto dall’art. 163 bis c.p.c., comma 1.

La lettura della L. 29 dicembre 2011, n. 218, art. 2 nei termini prospettati, si raccorda d’altronde con l’interpretazione che questa Corte ha per decenni offerto dell’art. 645 c.p.c.. Ed invero, la disposizione di interpretazione autentica contenuta nel citato art. 2 altro non ha fatto, nel contraddire in parte il dictum di Cass., Sez. Un., 9 settembre 2010, n. 19246 (e cioè nella sola parte in cui aveva affermato, sia pure in obiter, che la dimidiazione dovesse trovare applicazione in ogni caso di opposizione a decreto ingiuntivo), se non ripristinare il pregresso indirizzo giurisprudenziale, consolidato per oltre mezzo secolo, secondo cui, nel quadro di applicazione dell’art. 645 c.p.c., nel testo allora vigente, il termine di costituzione andava dimidiato sol quando l’opponente avesse, anche inconsapevolmente, assegnato un termine a comparire inferiore al minimo legale di cui all’art. 163 bis c.p.c., avvalendosi di quanto previsto nella ultima frase dell’art. 645 c.p.c., comma 2, interpretata quale mera facoltà anzichè cogente obbligo, come al contrario ritenuto dalle Sezioni Unite nella ricordata decisione.

E’ dunque erronea la tesi della ricorrente secondo cui il termine per la costituzione dell’opponente nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo sarebbe sempre di cinque giorni.

7.1. – Gli altri motivi, che, attenendo tutti al merito della controversia, possono essere simultaneamente esaminati, sono inammissibili.

Ed invero, le doglianze non soddisfano la previsione dettata dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo applicabile ratione temporis, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006. Ed infatti, manca in questo caso una censura rivolta ad uno specifico “fatto”, ossia un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014). Tantomeno risulta che i diversi aspetti sollevati, ciascuno singolarmente considerato, siano decisivi, giacchè per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013).

E’ viceversa inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice – quale quella in buona sostanza sollecitata in questa sede -, non potendo mai la Corte di cassazione procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009). E, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014).

Orbene, a fronte della motivata soluzione adottata dalla Corte d’appello, che ha confermato la decisione del Tribunale, sulla base di una dettagliata motivazione di cui si è dato conto in espositiva, la società ricorrente, come si è accennato, ha in buona sostanza richiesto un complessivo riesame di tutta la vicenda nei diversi profili di merito già debitamente scrutinati dalla sentenza impugnata.

p. 8. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate in complessivi Euro 7200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali e quant’altro dovuto per legge.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2016

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