Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2203 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 25/01/2022, (ud. 16/12/2021, dep. 25/01/2022), n.2203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4739-2021 proposto da:

C.A.L., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato RICCARDO MARZO;

– ricorrente –

contro

M.C., M.G., P.O.I.,

S.R., S.C., S.S.,

S.A., MO.GI., M.M.C.,

G.A.M., m.g., C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 17929/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 27/08/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

BERTUZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

” C.A.L. ha proposto ricorso, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., per la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 17929 depositata il 27.8.2020;

le parti intimate non hanno svolto attività difensiva;

la causa decisa tra le parti aveva ad oggetto la domanda proposta da C.A.L. e C.M. nei confronti degli eredi di M.A. di divisione di un immobile e il rendimento dei conti, per avere l’altra comproprietaria goduto del bene in misura maggiore della sua quota;

la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della decisione di primo grado, disponeva la divisione del bene, aumentando la porzione attribuita alle attrici, rideterminava il conguaglio a loro carico e condannava i convenuti al pagamento della somma di Euro 3.000,00 per l’occupazione dell’immobile da parte di M.A. dal novembre 1984 al novembre 1994;

per la cassazione della suddetta sentenza le attrici proponevano ricorso principale, affidato a cinque motivi, ed alcuni dei convenuti ricorso incidentale, sulla base di due motivi;

con la sentenza qui impugnata la Corte accoglieva, in parte, il ricorso incidentale, rigettava il primo e secondo motivo del ricorso principale e dichiarava assorbiti gli latri, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese;

in particolare, la sentenza qui impugnata precisava che la Corte distrettuale aveva erroneamente considerato indebita l’occupazione dell’immobile da parte di M.A. a partire dal 1984 e non dal (OMISSIS), data della missiva inviatale dalle altre comproprietarie del bene, senza considerare che era incontroverso che, per il periodo precedente, gli altri comproprietari non avevano obiettato alcunché in ordine al suo godimento del bene, che, per principio acquisito nella giurisprudenza, l’uso esclusivo del bene comune da parte di uno dei comproprietari, nei limiti di cui all’art. 1102 c.c., non è idoneo a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano consentito ad esso in modo certo ed univoco, e che, altresì, la Corte distrettuale, nel liquidare l’indennizzo, non aveva individuato correttamente la quota di comproprietà di cui in quel momento le attrici erano titolari, omettendo di considerare un altro comproprietario;

il ricorso per revocazione, articolato su tre motivi, denunzia che la sentenza impugnata è incorsa in altrettanti errori di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, che ne hanno condizionato la decisione, consistititi:

1) nell’avere erroneamente identificato l’oggetto del giudizio in una divisione condominiale ex art. 1102 c.c., mentre esso incontrastabilmente rientrava nella resa dei conti (art. 723 c.c.), e nella collazione ed imputazione (art. 724 c.c.), istituti applicabili in sede di divisione ereditaria; nell’omessa pronuncia e motivazione sul primo e secondo motivo del ricorso principale; nell’avere dichiarato assorbito il terzo motivo; assume in particolare la ricorrente che con la pronuncia impugnata la Suprema Corte ha erroneamente percepito ed indicato le norme delle quali, nel ricorso principale, era stata denunziata la violazione, vale a dire gli artt. 723 e 724 c.c., adottando così una motivazione non corrispondente alle norme indicate sia nel ricorso principale né in quello incidentale né, infine, all’oggetto della controversia;

2) nell’avere dichiarato assorbiti il quarto e quinto motivo del ricorso principale, in assenza di qualsiasi connessione o dipendenza con le ragioni della decisione, precisando che tali motivi censuravano la liquidazione delle spese da parte del giudice a quo e lamentavano l’errore riguardo alla identificazione delle spese di divisione con quelle di soccombenza;

3) nell’avere omesso di pronunciarsi sulla richiesta delle parti di cancellare le espressioni calunniose contenute nell’avverso controricorso;

per giurisprudenza costante di questa Corte l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (Cass. n. 6405 del 2018: Cass. n. 442 del 2018; Cass. n. 22171 del 2010) e che ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento, da parte della Corte, di un motivo di ricorso – qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sé insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., (Cass. n. 14937 del 2017; Cass. n. 5221 del 2009);

in applicazione di tali principi il ricorso per revocazione non appare idoneo a superare il preliminare vaglio di ammissibilità, atteso che le censure sollevate investono gli aspetti della decisione che attengono all’apprezzamento dei motivi del ricorso per cassazione, alla individuazione delle norme applicabili nella fattispecie, alle ragioni della decisione ed alla completezza della stessa, i quali tutti integrano, ove mai ricorressero, errori di diritto e non errori di fatto di natura revocatoria”.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il Collegio condivide la proposta del Relatore;

la memoria depositata dalla ricorrente non offre argomenti nuovi rispetto ai motivi di ricorso, essendo meramente reiterativa degli stessi;

il ricorso per revocazione, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile;

nulla va disposto sulle spese del giudizio, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva;

deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, dell’art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

 

 

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