Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22026 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, (ud. 14/03/2018, dep. 11/09/2018), n.22026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7510/2014 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. FERRARI

12, presso lo studio dell’avvocato MARCO MONTOZZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIULIO SALVATORE PIRAS;

– ricorrente –

contro

S.G., rappresentato e difeso da se medesimo unitamente

all’avvocato GIAMPAOLO SCOTTI, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE GIOTTO 3/E, presso lo studio dell’avvocato ROSSELLA

COLAIACONO;

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

contro

N.M., e per essa i suoi eredi legittimi S.L.,

S.I., S.G., quest’ultimo rappresenta e difende

se medesimo (ex art. 86 c.p.c.) e gli altri unitamente all’avvocato

GIAMPAOLO SCOTTI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIOTTO

3/E, presso lo studio dell’avvocato ROSSELLA COLAIACOMO;

– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 5135/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/03/2018 dal Consigliere Dott. NTONINO SCALISI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato GIULIO SALVATORE PIRAS, difensore del ricorrente

principale, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale ed

il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.G. ha proposto appello avverso la sentenza del n. 122 del 3 luglio 2007, con la quale il Tribunale di Civitavecchia aveva respinto le domande proposte dallo stesso, il quale proprietario di un fondo sottostante rispetto a quello del B., aveva chiesto che venissero ricreate le pendenze naturali verso il fondo attoreo, per ripristinare la quota di terreno originaria che il convenuto avrebbe illegittimamente innalzato: a) portando il piano della villetta alla stessa quota del tetto dell’ abitazione dell’attore; b) aggravando la servitù di veduta; c) aggravando la servitù di scolo; d) addossando molta terra a ridosso del muretto. Il Tribunale aveva posto a carico dell’attore le spese di c.t.u., anche le spese processuali sono state regolate secondo soccombenza.

Con l’atto di appello S. deduceva la erroneità della ricostruzione della fattispecie in fatto e in diritto operata dal Tribunale e chiedeva in via istruttoria, rinnovarsi la ctu; nel merito, accogliersi le domande originarie; solo, in subordine, rispetto alla servitù di scolo, ha chiesto ordinarsi all’appellato di intervenire con adeguato drenaggio; infine, condannarsi l’appellato al risarcimento del danno. Rassegnando le conclusioni chiedeva, altresì, che venisse dichiarato inammissibile per tardività l’appello incidentale.

L’appellato, costituendosi, ha contestando i motivi di gravame nel merito, chiedendone il rigetto, in via incidentale, impugnava la sentenza per la illegittima riduzione della nota spese e per la errata quantificazione delle stesse.

E’ intervenuta in appello N.M., quale acquirente nel 2004 del fondo servente, e, quindi, successore a titolo particolare dello S., aderendo alle conclusioni dell’appellante principale.

La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 5135 del 2013 accoglieva parzialmente l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, condannava B.: a) a ridurre in pristino stato il terreno di sua proprietà con la rimozione del terrapieno e la riconduzione del piano di campagna a quello originario; b) a realizzare un adeguato sistema di drenaggio delle acque piovane idoneo a convogliarle verso la rete delle acque bianche comunali. Respingeva per il resto l’appello principale e l’appello incidentale. Secondo la Corte distrettuale: a) la creazione di un terrapieno integra gli estremi di una vera e propria costruzione soggetta al rispetto delle distanze e, laddove, si tratta di trasformazione operata sul fondo dominante, posto a livello superiore, che abbia generato un innalzamento di quota tale da incidere sul dislivello naturale, con incremento del sacrificio imposto e, come tale, andava ravvisata quell’alterazione dell’originario rapporto con il fondo servente da eliminare; b) andava vietato che il proprietario del fondo superiore (il B.) rendesse più gravoso lo scolo naturale ed era, pertanto, necessario in prossimità del confine che le acque piovane venissero convogliate verso la rete delle acque bianche comunali.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da B. con ricorso affidato a due motivi. S.G. ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato a quattro motivi. Gli eredi di N.M. hanno proposto controricorso, con notifica del 6 maggio 2014, fuori termine e come tale inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A.- Ricorso principale.

1.- Con il primo motivo B. lamenta la falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 in relazione all’art. 913 c.c., contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Il ricorrente si duole, del fatto che a suo dire la Corte non avrebbe accertato in maniera rigorosa (come avrebbe dovuto fare) la sussistenza di un effettivo aggravamento della servitù di scolo delle acque piovane, così come previsto dall’art. 913 c.c.. In particolare, il Giudice di Appello, secondo il ricorrente, avrebbe erroneamente interpretato “(….) il mero consiglio del CTU in ordine alla comune realizzazione di un più efficace sistema di smaltimento e raccolta delle acque piovane, come se il ricorrente sig. B. avesse resa più gravosa l’esistente servitù di scolo ai sensi dell’art. 913 c.c., comma 2 (…)”.

1.1.- Il motivo è infondato, non solo perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di cassazione ma, soprattutto, perchè la Corte distrettuale ha avuto cura di indicare con chiarezza le ragioni per le quali ha ritenuto di disporre la realizzazione di un adeguato sistema di drenaggio delle acque piovane idoneo a convogliare verso la rete delle acque bianche comunali o in assenza su strada. Infatti, come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale: “(….) non si è tenuto conto che era stata comunque consigliata in prossimità del confine con il fondo sottostante la realizzazione di un adeguato sistema di drenaggio delle acque piovane, idoneo a convogliarle verso la rete delle acque bianche comunali o in assenza, su strada. Ritiene, infatti, la Corte che sul punto la risposta del CTU sia non del tutto convincente, stante l’indicazione di un intervento precauzionale che, in sostanza, conferma che un aggravamento di tale servitù sia ipotizzabile (…)”. Sicchè, appare del tutto evidente che la Corte distrettuale abbia ampiamente valutato i risultati cui è pervenuta la CTU ed ha verificato che la CTU proprio con l’indicare la necessità di un convogliamento delle acque piovane aveva concretamente ipotizzato un aggravamento della servitù che andava impedito, mediante, appunto, il convogliamento di cui si è appena detto

2.- Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 1067 c.c.). Secondo il ricorrente, la Corte di Appello nel ritenere che l’innalzamento del terrapieno abbia comportato un aggravamento della servitù di veduta, non avrebbe tenuto conto della conformazione della zona, ovvero, non avrebbe tenuto conto che “(…) il lotto del B. è sito al culmine della collina alla base della quale esiste la costruzione dello S. (…)”.

2.1. – Il motivo è inammissibile perchè non rispondente alla normativa di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella sua nuova formulazione, giusto il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 19881 del 2014) “Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per se vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato, comunque, preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente, dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso”. A seguito della riforma del 2012 scompare, dunque, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione.

Ora, nel caso concreto, la Corte distrettuale ha dato ampio conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che nel caso in esame l’opera realizzata dal B. aveva comportato un aggravamento della servitù di veduta. Infatti, come afferma la Corte distrettuale: “(…) “(….), pur dando atto che la causa petendi ed il petitum della domanda dello S. sono circoscritti alla questione dell’aggravamento della servitù di veduta (sia della inspectio che della prospectio), non può tacersi che la creazione di un terrapieno è dal prevalente orientamento giurisprudenziale intesa come vera e propria costruzione soggetta al rispetto delle distanze se costituisca intervento di notevoli dimensioni (Cass. 8018/1999). Ne consegue che, laddove si tratti di trasformazione operata sul fondo dominante posto al livello superiore che abbia generato un innalzamento di quota di rilevante entità tale da incidere significativamente sull’originaria misura di dislivello naturale, va ravvisata quell’alterazione dell’originario rapporto con il fondo servente, con incremento del sacrificio imposto (Cass. 209/2006). Deve pertanto configurarsi, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, il lamentato aggravamento della servitù, con violazione dell’art. 1067 c.c. (….)”.

E’ questa una motivazione che non sembra abbia trascurato i dati processuali e, soprattutto, non sembra sia travolta dalle osservazioni del ricorrente, che, al contrario, mira ad ottenere una nuova e diversa valutazione di merito, non proponibile nel giudizio di cassazione.

B.- Ricorso incidentale.

3. – Con il primo motivo del ricorso incidentale S.G. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1067 c.c., in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c.. Omesso esame di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 3). Il ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale abbia escluso che l’aggravamento della servitù di veduta fosse dovuto, (non solo al terrapieno, così come ha disposto, ma), anche in relazione al “villino”, non considerando che il superamento del limite legale dell’altezza del fabbricato realizza di per sè un aggravamento dell’inspectio e della prospectio. In tal modo, infatti, il fondo servente verrebbe illecitamente esposto ad una inspectio e prospectio maggiori di quelle consentite dall’originario piano di campagna e dall’altezza massima del fabbricato rispetto ad essa. D’altra parte, la distanza dal confine (che avrebbe consentito alla Corte distrettuale di escludere un aggravamento della servitù di veduta) può, nei congrui casi, attenuare l’illecito ma mai renderlo tamquan non esset.

3.1. – Il motivo è infondato.

Giova ricordare che la costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio secondo il quale l’aggravamento dell’esercizio della servitù, operata sul fondo dominante, va verificato accertando se l’innovazione abbia alterato l’originario rapporto con quello servente e se il sacrificio, con la stessa imposto, sia maggiore rispetto a quello originario, a tal riguardo valutandosi non solo la nuova opera in sè stessa, ma anche con riferimento alle implicazioni che ne derivino a carico del fondo servente, assumendo in proposito rilevanza, non soltanto i pregiudizi attuali, ma anche quelli potenziali connessi e prevedibili, in considerazione dell’intensificazione dell’onere gravante sul fondo anzidetto (v., tra le altre, Cass. n. 209 del 2006).

Ora, nel caso in esame, la Corte distrettuale, in considerazione della distanza tra il “fabbricato” di cui si dice e il fondo servente, rispondente a 20 metri dal confine del fondo S. (adesso N., fondo servente), ha ritenuto che il diritto di servitù di veduta esercitato dal fondo B. (dal fabbricato come sopraelevato) sul fondo S. non risultava più ampio in conseguenza della sopraelevazione. Ovviamente, la Corte lascia presumere e/o intendere, che l’esercizio del diritto di veduta di cui si dice, data la distanza di cui si è detto, non comportava un incremento della “inspectio” e della “prospectio”. Ed è questa una valutazione di merito che, oltre ad essere ragionevolmente condivisibile, non è stata smentita dal ricorrente con specifici dati di fatto, eventualmente non considerati dalla Corte distrettuale.

4. – Con il secondo motivo il ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 913 c.c. e dell’art. 1067 c.c., in relazione all’art. 2043 c.c.. Motivazione erronea ed insufficiente sul punto dell’azione risarcitoria promossa da S. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Il ricorrente incidentale si duole del fatto che la Corte distrettuale abbia rigettato la pretesa risarcitoria perchè il CTU ha escluso l’esistenza di un danno economicamente apprezzabile, non considerando che la natura reale della negatoria servitutis presuppone di per sè un danno che sarebbe, come si suole dire, in re ipsa.

4.1. – Il motivo è infondato.

E’ osservazione pacifica nella dottrina civilistica e principio espresso anche da questa Corte in altra occasione che la richiesta di accertamento negativo di diritti vantati da altri sulla cosa, anche nella ipotesi di dedotta molestia al possesso o godimento, in quanto correlata a pretesa di diritto o di esistenza di diritto sulla cosa medesima, concretizza ai sensi dell’art. 949 c.c., comma 2, un'”actio negatoria” servitutis: Detta azione è finalizzata, non solo all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù altrui, ma anche all’eliminazione della assunta situazione antigiuridica, posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà dal medesimo realizzate, allo scopo di ottenere la effettiva libertà del fondo. Pertanto, in tema di “actio negatoria servitutis”, il risarcimento del danno (contrariamente a quanto ritiene il ricorrente), in aggiunta al ripristino della situazione violata, non è dovuto ove non risulti, neppure in via indiziaria, che dall’illegittimo esercizio della servitù sia derivato un concreto pregiudizio patrimoniale alla parte avente diritto.

Ora, nelle specie, non è risultato che il ricorrente incidentale abbia subito, in virtù del comportamento tenuto da controparte, un’effettiva compromissione delle facoltà inerenti al diritto, anzi come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale: il ctu ha escluso una perdita di valore della proprietà S. (del resto venduta nelle more senza che sia stata in alcun modo allegato e dimostrato un minor ricavato rispetto ai prezzi di mercato della zona e del periodo) e nè l’appellante principale nè l’intervenuta (attuale proprietaria del fondo) hanno evidenziato specifiche circostanze dalle quali desumere quale sarebbe stato il pregiudizio subito economicamente apprezzabile anche solo sotto forma di disagio (….)”.

5.- Con il terzo motivo il ricorrente incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 874 c.c.. Motivazione omessa ed insufficiente (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Il ricorrente incidentale si duole del fatto che la Corte distrettuale abbia rigettato la domanda relativa al terriccio addossato al muro di confine, ritenendone la scarsa entità e la sostanziale irrilevanza, non tenendo conto che la domanda era basata sull’art. 874 c.c. e che il B. con esplicita dichiarazione agli atti di causa aveva ammesso che il muro di confine in questione era di proprietà esclusiva dello S.. Piuttosto, il B. per utilizzare il muro (tanto o poco non importa), avrebbe dovuto chiederne la comunione forzosa, a norma dell’art. 874 c.c..

5.1. – Il motivo è infondato dovendo constatare che la Corte distrettuale, pur considerando che il muro di recinzione di cui si dice fosse di proprietà di S., ha ampiamente chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto di rigettare la domanda relativa al terriccio addossato al muro di confine. Come ha avuto modo di chiarire la Corte distrettuale: “(…) il ctu non ha riscontrato che vi fossero consistenti quantitativi di terra, ed ha anche puntualizzato che la funzione di delimitazione delle proprietà assolta dal muro non sarebbe stata messa in pericolo da possibili futuri accumuli di terre trasportate “per dilavamento”, considerato l’inerbimento del corico superficiale; inoltre, ha rilevato (lett. F, pag. 16) che nel fondo S., subito a ridosso del muro di confine, presumibilmente in occasione della costruzione del proprio villino, era stato realizzato un abbassamento di quota, per consentire l’accesso al piano interrato, e che tale sbancamento risultava protetto da un muro di contenimento posto a quota inferiore e a ridosso di quello di confine, si da far escludere possibili rovine di quest’ultimo si tratta, come è evidente di una valutazione di merito, effettuata dalla Corte distrettuale, che essendo non solo approfondita ma, razionalmente, condivisibile, non è suscettibile di essere sottoposta ad un sindacato di legittimità.

6.- Con il quarto motivo il ricorrente incidentale lamenta la violazione dell’alt. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo il ricorrente, l’accoglimento totale o parziale del ricorso incidentale dovrebbe comportare una nuova liquidazione delle spese di lite dell’intero giudizio che dovrebbero essere poste a carico del B. per l’intero e non soltanto in parte come ha disposta la sentenza impugnata.

6.1. – Il motivo è inammissibile perchè muove da un presupposto insussistente e, cioè, l’accoglimento del presente ricorso incidentale.

In definitiva, vanno rigettati entrambi i ricorsi (principale e incidentale) la reciproca soccombenza è ragione sufficiente per compensare le spese del presente giudizio di cassazione tra B. e S.. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale compensa le spese del presente giudizio di cassazione; dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 14 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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