Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22024 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, (ud. 07/03/2018, dep. 11/09/2018), n.22024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 978-2015 proposto da:

D.C.E., rappresentata e difesa dall’Avvocato CLAUDIO

DEFILIPPI ed elettivamente domiciliato presso lo studio di questo,

in LA SPEZIA, VIA S. FERRARI 4;

– ricorrente –

contro

COMUNE DELLA SPEZIA, in persona del Sindaco pro-tempore,

rappresentato e difeso dagli Avvocati STEFANO CARRABBA, ETTORE FURIA

e MARCELLO PULIGA, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Giovanni Corbyons in ROMA, VIA CICERONE 44;

– controricorrente –

e contro

SPEZIA RISORSE s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro-tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1206/2014 della CORTE DI APPELLO di GENOVA,

pubblicata il 15/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/03/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso davanti al Tribunale di La Spezia D.C.E., in qualità di socio accomandatario della BAR CHAMPAGNE di D.C.E. & C. s.a.s., proponeva opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento prot. n. 4310/7966 del 15.5.2012, emessa (per l’importo di Euro 530,49, di cui Euro 387,00 a titolo di capitale e Euro 116,10 a titolo di sanzione L. n. 689 del 1981, ex art. 27, comma 6), poichè, gerente un pubblico esercizio autorizzato alla somministrazione di sostanze alimentari, aveva installato, presso un locale adiacente e comunicante con quelli adibiti a pubblico esercizio, attrezzature per la preparazione di alimenti cotti, in violazione della L. n. 283 del 1962, art. 2, commi 1 e 4. La ricorrente deduceva l’illegittimità del provvedimento impugnato per inesistenza e/o nullità della notifica; carenza di potere del concessionario; violazione di riserva di legge; violazione della L. n. 689 del 1981, art. 9, comma 2; inapplicabilità del provvedimento alle sanzioni amministrative; vizio di motivazione; insussistenza dei presupposti di merito. La ricorrente concludeva chiedendo, in via preliminare, la sospensione dell’ingiunzione di pagamento e, nel merito, di accertare la nullità, annullabilità, illegittimità e/o inefficacia della citata ingiunzione. In via subordinata, di accertare la nullità, annullabilità, illegittimità e/o inefficacia dell’ingiunzione relativamente all’indebita applicazione delle maggiorazioni semestrali del 10%, riducendo la somma richiesta alla misura accertata in corso di causa o ritenuta equa dal Tribunale, con vittoria di spese di lite.

SPEZIA RISORSE s.p.a. si costituiva chiedendo l’estensione del contraddittorio al Comune di La Spezia, titolare del credito fatto valere.

Il COMUNE DI LA SPEZIA si costituiva, a sua volta, e rilevava la definitività del provvedimento posto a fondamento dell’ingiunzione opposta, richiamando le difese di Spezia Risorse relativamente alla legittimità dell’ingiunzione.

Con sentenza n. 803/2013, depositata l’11.10.2013, il Tribunale di La Spezia rigettava il ricorso, condannando l’opponente alle spese di lite nei confronti degli opposti.

Avverso detta sentenza D.C.E. proponeva appello innanzi alla Corte d’Appello di Genova. Il decreto di fissazione di udienza non veniva notificato entro la data ultima indicata e l’appellante chiedeva di essere rimessa in termini. Nessuno si costituiva per le parti convenute.

Con sentenza n. 1206/2014, depositata in data 15.10.2014, la Corte d’Appello di Genova dichiarava improcedibile l’appello.

Avverso la suddetta sentenza D.C.E. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, cui ha resistito con controricorso il Comune della Spezia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo, la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, in relazione all’art. 345 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto improcedibile il ricorso”. Secondo la ricorrente la mancanza di tempestiva notifica nei confronti di una delle parti in causa non comporterebbe l’improcedibilità dell’azione, ma la semplice nullità, sanabile attraverso la spontanea costituzione della convenuta ovvero la rinnovazione nei suoi confronti della notifica. Il termine previsto dagli artt. 435 e 415 c.p.c. per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione di udienza è considerato perentorio solo per l’opposizione a decreto ingiuntivo in materia di lavoro. Inoltre, l’interpretazione costituzionalmente orientata di tali norme deve tener conto del principio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in via di interpretazione dell’art. 6, parag. 1 della CEDU, secondo cui il diritto di accesso ai Tribunali e alle Corti implica l’esigenza, nell’applicare le norme di procedura dettate dalle leggi interne, di evitare che un’interpretazione troppo formalistica impedisca l’esame del merito dei ricorsi.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Correttamente la Corte d’appello, a sostegno della decisione priudiziale di improcedibilità dell’appello proposto dalla ricorrente, ha richiamato il principio affermato da questa Corte, secondo cui, “nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro (e quindi anche quello di opposizione ad ordinanza-ingiunzione per sanzioni amministrative, ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150) il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato (con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l’improcedibilità), non essendo consentito al giudice di assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente” (Cass. n. 20613 del 2013; Cass. n. 19191 del 2016).

Tale principio si fonda sulla pronuncia delle Sezioni unite (Cass. sez. un. n. 20604 del 2008), per cui “nel rito del lavoro l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta, non essendo consentito – alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., comma 2, – al giudice di assegnare, ex art. 421 cod. proc. civ., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 cod. proc. civ.” (conf., altresì Cass. n. 9597 del 2011). Sicchè, tra l’altro, la rilevata esigenza di evitare che un’interpretazione troppo formalistica impedisca l’esame del merito dei ricorsi, affermata dalla giurisprudenza della CEDU, risulta quantomeno controbilanciata dalla preminente operatività del principio di ragionevole durata del processo di matrice direttamente costituzionale.

Pertanto, risulta corretta la decisione della Corte d’Appello (che, con valutazione di fatto non sindacabile, ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per la rimessione in termini, in quanto l’omessa notificazione dell’appello non era stata determinata da cause estranee alla sfera organizzativa dell’appellante), atteso che è la completa mancata effettuazione della notifica del ricorso e del relativo decreto di fissazione prima dell’udienza di discussione stessa, come verificatosi nel caso di specie, che dà luogo alla improcedibilità (Cass. n. 10304 del 2014).

2. – Non si configurano quali ulteriori motivi di ricorso (anche avuto riguardo al modo in cui sono stati formulati) le ulteriori argomentazioni svolte dalla ricorrente, nell’ipotesi in cui – ferma restando la richiesta d cassare la sentenza impugnata -, questa Corte “intendesse procedere anche all’esame del merito della controversia” (ricorso, pag. 4), cosa che evidentemente non potrebbe fare.

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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