Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2202 del 27/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/01/2017, (ud. 15/12/2016, dep.27/01/2017),  n. 2202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3791-2016 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA 66,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO D’ATRI, che lo rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e

MINISTERO DELL’ECONIOMIA E DELLE FINANZE, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– intimato –

avverso il decreto n. 1771/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 24/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

La Corte d’Appello di Perugia con decreto del 24 novembre 2015 rigettava l’opposizione proposta da C.D. avverso il decreto con il quale il Consigliere delegato della stessa Corte d’Appello aveva disatteso la propria domanda di liquidazione dell’equo indennizzo per la durata irragionevole di un processo, inizialmente intrapreso dinanzi alla sezione lavoro del Tribunale di Roma, ed all’esito della sentenza della Corte di Cassazione del 9 gennaio 2007, che aveva confermato la declaratoria di difetto di giurisdizione del G.O. adottata dalla Corte d’Appello di Roma, era proseguito con ricorso notificato in data 1/3/2007 dinanzi al TAR del Lazio, concludendosi poi con la sentenza del Consiglio di Stato del 14 luglio 2014.

La Corte d’appello, dopo aver dato atto che l’opposizione, a seguito della rinotifica dell’opposizione sia al Ministero della Giustizia che al Ministero dell’Economia e delle Finanze, era avventa nel termine all’uopo concesso, e pur volendo accedere alla tesi di parte ricorrente secondo cui il procedimento svoltosi dinanzi al G.O. e quello svoltosi dinanzi al C.A. erano parti del medesimo procedimento, riteneva che non fosse stato rispettato il termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Infatti, poichè il procedimento nella sua parte finale si era svolto dinanzi al Consiglio di Stato, andava fin dall’inizio proposto anche nei confronti del Ministero delle Finanze e dell’Economia al fine di assicurare il rispetto del detto termine.

Nè poteva supplire a tale carenza il fatto che poi il ricorso in opposizione fosse stato notificato anche al Ministero delle Finanze, in quanto tale notifica era avvenuta in epoca successiva alla maturazione della decadenza.

Relativamente invece alla domanda avanzata verso il Ministero della Giustizia, la legittimazione sarebbe sussistente solo per periodo che ha preceduto la declaratoria di difetto di giurisdizione, e quindi poteva essere ritenuta tempestiva solo se fosse stato correttamente evocato in giudizio anche l’altro Ministero.

Inoltre il giudizio ordinario era stato definito in epoca anteriore alla entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 e degli interventi della Corte di Cassazione della Corte Costituzionale, con i quali si era ammessa la translatio iudicii tra giudice ordinario e giudici speciali, sicchè il giudizio introdotto davanti al TAR andava considerato come autonomo, e non come formale riassunzione del procedimento definito dalla Corte di Cassazione con la dichiarazione di difetto di giurisdizione.

Infine condannava il ricorrente al pagamento delle spese e della sanzione di Euro 1.000,00 ex art. 5 quater.

Per la cassazione di questo decreto C.D. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi illustrati con memorie ex art. 378 c.p.c. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese in questa fase.

Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 260 del 1958, art. 4 quanto alle conseguenze tratte dal giudice di merito in ordine all’erronea indicazione del legittimato passivo nel ricorso per equa riparazione, assumendosi che tale errore abbia poi portato altrettanto erroneamente a ritenere violato il termine semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Il provvedimento impugnato ha infatti ritenuto che la mancata indicazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze quale legittimato passivo dell’azione indennitaria non poteva reputarsi sanata a seguito della rinnovazione della notifica dell’atto di opposizione nei confronti di entrambe le amministrazioni, ma in tal modo sarebbe stata tradita la corretta applicazione della L. n. 260 del 1958, art. 4 come autorevolmente suggerita dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8516/2012.

Ciò comporta che sebbene il ricorrente avesse indirizzato il ricorso solo verso una delle due amministrazioni interessate dalla pretesa indennitaria, la successiva notifica dell’atto di opposizione avrebbe sanato la carenza originaria, equivalendo ad una rimessione in termini come prevista dalla norma citata.

Il secondo motivo denunzia la violazione degli artt. 382, 386 e 367 c.p.c. nella parte in cui è stato negato il diritto all’indennizzo anche nei confronti del solo Ministero della Giustizia.

La soluzione alla quale è pervenuto il decreto impugnato ha di fatto considerato come autonome la fase svoltasi dinanzi al G.O. e culminata nella dichiarazione di difetto di giurisdizione, e quella immediatamente successiva iniziata con il ricorso depositato dinanzi al TAR Lazio. Trattasi di soluzione che contrasta apertamente con quanto affermato da questa Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 4109/2007, e soprattutto con la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la mancata previsione della translatio iudicii tra giudice ordinario e giudici speciali, ma chiaramente con efficacia retroattiva, con la conseguenza che i relativi principi sono destinati ad operare in maniera retroattiva, ed a trovare applicazione anche al caso di specie.

Ne consegue che erra il giudice di merito quando afferma che il giudizio dinanzi al TAR sarebbe stato proposto in via del tutto autonoma e non quale riassunzione del processo definito con la sentenza delle Sezioni Unite.

Infine il terzo motivo di ricorso denunzia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 5 quater posto che la sanzione processuale ivi contemplata può essere applicata solo se il ricorso sia dichiarato inammissibile o manifestamente infondato e non anche nei casi in cui sia stato rigettato, in assenza di specificazione della manifesta infondatezza.

I primi due motivi per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati.

Preliminarmente deve però essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Avvocatura dello Stato perchè il ricorso sarebbe stato notificato anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non era stato parte della fase monitoria, richiamandosi a tal fine quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 1934/2015.

Ed, infatti, come emerge dal confronto tra le motivazioni del precedente richiamato e quanto avvenuto nel presente giudizio, nella vicenda esaminata nel primo caso, il diverso Ministero nei cui confronti era stato notificato il ricorso in cassazione non aveva assolutamente preso parte al giudizio di merito, ragione per cui se ne è tratta la conseguenza dell’inammissibilità, in conseguenza dell’inapplicabilità della L. n. 260 del 1958, art. 4 in fase di impugnazione, e della necessità che al giudizio di impugnazione debbano prendere parte solo i soggetti che hanno partecipato al giudizio definito con il provvedimento gravato. Nel caso in esame risulta invece che, a seguito della rinnovazione della notifica dell’atto di opposizione, la quale non costituisce una impugnazione in senso tecnico, ma la fase processuale attraverso la quale è assicurata la piena esplicazione del contraddittorio, inizialmente pretermesso nella fase monitoria, al processo abbiano partecipato entrambi i Ministeri, con la conseguenza che sussiste la legittimazione di entrambi anche rispetto alla notifica del presente ricorso.

Passando alla disamina del merito, occorre rilevare che questa Corte ha già in passato affermato, e proprio con riferimento a vicende svoltesi in epoca anteriore ai noti interventi delle Sezioni Unite e della Corte Costituzionale del 2007, che (cfr. Cass. n. 8417/2014) in caso di declinatoria della giurisdizione ordinaria e “translatio iudicii” al giudice amministrativo, si ha prosecuzione di un unico giudizio, sicchè, per l’azione di equa riparazione L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 2 la legittimazione passiva ex art. 3 spetta sia al Ministro della Giustizia che al Ministro dell’economia e delle finanze ed il termine di decadenza ex art. 4 decorre dal momento in cui è divenuta definitiva la sentenza resa dal giudice munito di giurisdizione.

Infatti, il processo, tempestivamente riassunto innanzi al giudice amministrativo indicato come munito di giurisdizione, non è nuovo, ma costituisce la naturale prosecuzione dell’unico giudizio (Sez. Un., 22 febbraio 2007, n. 4109; Sez. Un., 22 novembre 2010, n. 23596; Sez. Un., 13 aprile 2012, n. 5872; e cfr. Corte cost. n. 77 del 2007); ne consegue che, anche in tema di equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole di durata ai sensi dell’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la condizione di proponibilità di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 è osservata allorchè la domanda di riparazione sia proposta entro sei mesi dal momento in cui, al termine dell’unico giudizio (comprendente le diverse fasi svoltesi dinanzi ai giudici appartenenti all’uno e all’altro ordine), è divenuta definitiva la sentenza resa dal giudice munito di giurisdizione (in senso conforme Cass. n. 4896/2015).

La Corte d’appello di Perugia, nel considerare autonomamente i singoli procedimenti nei quali l’unico giudizio sostanzialmente rilevante si è articolato, e relativamente alla valutazione di tempestività del ricorso proposto sin dall’inizio nei confronti del Ministero della Giustizia, si è discostata dall’indicato principio, omettendo di considerare gli effetti retroattivi che discendono dalla pronuncia di incostituzionalità, con la possibilità quindi di applicare il principio della translatio anche a vicende svoltesi in epoca anteriore all’arresto del giudice delle leggi.

Il riconoscimento della legittimazione di entrambe le amministrazioni pone poi la necessità di verificare la correttezza della decisione impugnata anche nella parte in cui ha ritenuto che poichè il ricorso originario era indirizzato nei confronti del solo Ministero della Giustizia, non era consentito esaminare la domanda anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Tuttavia depone in senso contrario alla soluzione fatta propria dalla decisione gravata la natura stessa del giudizio di opposizione, così come precisata da Cass. n. 19942/2016, che ha appunto affermato che l’opposizione disciplinata dalla L. n. 89 del 2001, art. 5 ter non introduce un autonomo giudizio d’impugnazione del decreto di cui all’art. 3, comma 4 cit. legge, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo tipico di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento. Tale fase ha ad oggetto non già la verifica delle condizioni di legittimità che presiedono all’emissione del decreto monocratico, ma la medesima pretesa fatta valere con il ricorso presentato ai sensi dall’art. 3, comma 1 cit. legge, di guisa che, fermo il ridetto onere probatorio, non è precluso alcun accertamento e alcuna attività istruttoria che siano necessari ai fini della decisione di merito.

Ne discende che l’avvenuto ampliamento del contraddittorio nella fase di opposizione anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze soddisfa l’esigenza di proposizione della domanda nei confronti delle due amministrazioni alle quali sia imputabile la durata irragionevole del processo, dovendosi altresì osservare che l’eventuale decadenza è stata comunque evitata con la presentazione del ricorso nel termine semestrale e con l’indicazione nello stesso di uno dei due Ministeri obbligati al pagamento dell’indennizzo, essendosi poi ampliato ritualmente il contraddittorio nella fase dell’opposizione.

L’accoglimento dei motivi in esame impone pertanto la cassazione del decreto impugnato con rinvio al giudice di merito per un nuovo esame della vicenda.

Il terzo motivo di ricorso, attesa la riforma della decisione impugnata deve poi ritenersi assorbito.

Il giudice del rinvio che si designa nella Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, in data 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2017

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