Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22019 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2020, (ud. 07/02/2020, dep. 13/10/2020), n.22019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18514-2016 proposto da:

COMUNE DI VIESTE, elettivamente domiciliato in Roma, via Sant’Agatone

Papa 34, presso lo studio dell’Avv. Senatori Luca, rappresentato e

difesa dall’Avv. Fusillo Michele;

– ricorrente –

contro

MARTUR SRL, rappresentata e difesa dall’Avv. Stasi Alessandra,

domiciliata in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1512/25/16 della CTR di Bari, Sez. dist.

Foggia, depositata il 14/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2020 dal relatore CAVALLARI DARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Giacalone

Giovanni, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, assorbito quello incidentale;

udito l’Avvocato Fusillo Michele per parte ricorrente principale, il

quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Martur srl ha proposto ricorso contro il diniego di rimborso del Comune di Vieste sulle maggiori somme versate a titolo di TARSU/TARES per gli anni 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013.

La CTP di Foggia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1291/01/2015, ha respinto il ricorso.

La Martur srl ha proposto appello.

La CTR di Bari, Sez. dist. Foggia, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1512/25/2016, ha parzialmente accolto il gravame.

Il Comune di Vieste ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

La Martur srl ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale fondato su un motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

1. Nelle sue note conclusive la Martur srl ha chiesto che siano rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni:

– se, ai sensi della direttiva n. 2006 del 2012, art. 15, lett. a), essa ha il diritto di dimostrare in giudizio che le tariffe applicate non sono commisurate ai volumi o alla natura dei rifiuti prodotti;

– se è manifestamente non commisurato ai volumi o alla natura dei rifiuti prodotti la tariffa che le imponga un onere di oltre cinque volte superiore rispetto a quanto previsto per una civile abitazione.

La richiesta va respinta.

La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza CILFIT, (Corte di giustizia, sentenza del 6 ottobre 1982, causa 283/81, Srl CILFIT et al.) ha chiarito che il giudice nazionale di ultima istanza può astenersi dal rinvio, non solo nel caso in cui una precedente sentenza abbia già affrontato (e risolto) una questione identica, ma anche quando sia reperibile “una giurisprudenza costante della Corte che, indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le materie del contendere”. Soprattutto, ha aggiunto che il giudice nazionale può omettere il rinvio se “la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata” (teoria dell’acte clair). Tuttavia, prima di giungere a tale conclusione, il giudice nazionale deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe anche ai giudici degli altri Stati membri ed alla Corte di giustizia. Solo in presenza di tali condizioni egli può astenersi dal sottoporre la questione alla Corte risolvendola sotto la propria responsabilità.

Al riguardo, si osserva che, secondo la giurisprudenza Eurounitaria, (Corte di Giustizia, 16 luglio 2009, Futura Immobiliare srl e a., causa C- 254/08, punti 49 ss.), cui si è conformata quella interna di legittimità (Cass., n. 7437 del 15 marzo 2019; Cass., n. 8308 del 4 aprile 2018), il criterio legale di commisurazione delle tariffe alla produzione media di rifiuti (effettiva o potenziale), quale emerge dal dettato normativo nazionale, è legittimo poichè, risultando “spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti u l: conferito da ciascun “detentore””, il fatto di “ricorrere a criteri basati, da un lato, sulla capacità produttiva dei “detentori”, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano nonchè della loro destinazione e/o, dall’altro, sulla natura dei rifiuti prodotti, può consentire di calcolare i costi dello smaltimento di tali rifiuti e ripartirli tra i vari “detentori”, in quanto questi due criteri sono in grado di influenzare direttamente l’importo di detti costi”.

Pertanto, “Sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento della gestione e dello smaltimento dei rifiuti urbani, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito non può essere considerata, allo stato attuale del diritto comunitario, in contrasto con la direttiva 2006/12, art. 15, lett. a)”.

Infatti, “il principio “chi inquina paga” non osta a che gli Stati membri adattino, in funzione di categorie di utenti determinati secondo la loro rispettiva capacità a produrre rifiuti urbani, il contributo di ciascuna di dette categorie al costo complessivo necessario al finanziamento del sistema di gestione e di smaltimento dei rifiuti urbani”.

Ne consegue che “… al fine del calcolo di una tassa sullo smaltimento dei rifiuti, una differenziazione tributaria fra categorie di utenti del servizio di raccolta e di smaltimento di rifiuti urbani, alla guisa di quella operata dalla normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale fra le aziende alberghiere e i privati, in funzione di criteri obiettivi aventi un rapporto diretto col costo di detto servizio, quali la loro capacità produttiva di rifiùti o la natura dei rifiuti prodotti, può risultare adeguata per raggiungere l’obiettivo di finanziamento di detto servizio”.

In conclusione, “Anche se la differenziazione tributarla così operata no de ndare al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo di finanziamento, va tuttavia sottolineato che, nella materia in esame e allo stato attuale del diritto comunitario, le competenti autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto concerne la determinazione delle modalità di calcolo di siffatta tassa” (Cass., Sez. V, n. 33755 del 18 dicembre 2019).

Se ne ricava che le questioni proposte dalla società controricorrente sono palesemente infondate, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, dovendosi ritenere, da un lato, che la società contribuente ha, in base al diritto interno, la possibilità di provare l’esistenza di situazioni che possono portare alla riduzione od esclusione dell’imposta, dall’altro, che la differenziazione tariffaria fra civili abitazioni è tendenzialmente legittima, fondandosi sull’ampia discrezionalità riconosciuta alle autorità nazionali italiane.

2. Con il primo motivo del ricorso principale il Comune di Vieste lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21 perchè la CTR di Bari, Sez. dist. di Foggia, avrebbe errato nel non rilevare che l’atto di diniego del rimborso chiesto dalla società contribuente non era impugnabile, avendo la medesima società provveduto al pagamento del dovuto in seguito ad iscrizione a ruolo divenuta definitiva.

La doglianza è fondata.

In tema di processo tributario, la valorizzazione del silenzio-rifiuto dell’amministrazione al fine di individuare un atto impugnabile da parte del contribuente si giustifica solo nei casi in cui il versamento o la ritenuta del tributo non siano stati preceduti da un atto di imposizione suscettibile di impugnazione diretta. Ne deriva che, quando la riscossione avviene per mezzo del ruolo, come nella specie, l’impugnazione del contribuente deve essere proposta tempestivamente contro il predetto atto impositivo, senza alcuna necessità di provocare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione, con l’ulteriore conseguenza che, ove il contribuente non ricorra contro l’avviso di mora con il quale l’Amministrazione ha esplicitato la pretesa tributaria, è inammissibile l’istanza di rimbòrso presentata, dopo aver pagato il tributo nei termini richiesti, in quanto la stessa contrasta con il titolo, ormai definitivo, che giustifica l’attività esattiva dell’amministrazione (Cass., Sez. 6-5, n. 20367 del 31 luglio 2018).

Nel caso in esame, essendo la riscossione avvenuta sulla base di iscrizione a ruolo (ciò è stato affermato nell’originario ricorso di primo grado dalla società ricorrente, come risulta dall’avvenuta trascrizione del relativo passaggio nel ricorso per cassazione in ossequio al principio di specificità dello stesso) la CTR avrebbe dovuto accertare se il giudizio di primo grado era stato introdotto tempestivamente, calcolando il termine di decadenza dall’atto impositivo e non dal rigetto dell’istanza di rimborso dell’imposta già versata e, quindi, rilevare che la causa non poteva essere proposta.

Neppure potrebbe sostenersi la non rilevabilità del vizio in questione in sede di legittimità.

Infatti, in ambito tributario, la decadenza del contribuente dal diritto di agire in giudizio, per inosservanza dei termini stabiliti dal D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, è rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 2969 c.c., trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti. Tale regola opera anche in sede di legittimità, salvo che sul punto non vi sia un giudicato interno espresso, non essendo sufficiente ad impedirne la rilevabilità d’ufficio il giudicato implicito, il quale non può formarsi sulla questione pregiudiziale della legittimazione ad agire qualora essa non sia stata sollevata dalle parti ed il giudice (con implicita statuizione positiva sulla stessa) si sia limitato a decidere nel merito, restando, in tal caso, la formazione del giudicato sulla pregiudiziale impedita dall’impugnativa del capo della sentenza relativamente al merito.

Ne consegue che il giudice del gravame può rilevare d’ufficio il difetto di uno dei presupposti della legittimazione ad agire e, ove il rilievo avvenga in sede di legittimità (come nella specie), la sentenza va cassata senza rinvio, esclusa ogni pronuncia nel merito, trattandosi di impugnazione inammissibile (Cass., Sez. 5, n. 32637 del 12 dicembre 2019; Cass., Sez. 5, n. 20978 del 13 settembre 2013).

3. Con il secondo motivo il Comune di Vieste lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 57 e degli artt. 112 e 345 c.p.c. perchè la CTR avrebbe errato nel ritenere ammissibile l’appello nella parte in cui aveva introdotto diverse e nuove censure al diniego di rimborso TARSU fondate sull’asserita violazione degli artt. 9-12 Regolamento TARSU del Comune di Vieste e sulla discrasia tariffaria risultante fra TARSU e TARI introdotta nel 2014.

Con il terzo motivo il Comune di Vieste lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e dell’art. 342 c.p.c. perchè la CTR non avrebbe rilevato l’inammissibilità dell’appello data l’integrale carenza nello stesso dei capi della sentenza censurati con il gravame e degli asseriti errori di giudizio o di procedura commessi dal primo giudice.

Con il quarto motivo il Comune di Vieste lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68 perchè la CTR illegittimamente avrebbe equiparato, ai fini TARSU, le camere di albergo alle civili abitazioni.

Il II, il III ed il IV motivo del ricorso principale sono dichiarati assorbiti, alla luce dell’accoglimento del I motivo.

4. – Con un unico motivo di ricorso incidentale la Martur srl si è doluta ex art. 112 c.p.c. dell’omessa pronuncia, da parte del giudice di secondo grado, in ordine alla sua domanda di rimborso della somma di Euro 28.544,42 avanzata perchè avrebbe pagato a titolo di imposta un importo eccessivo, in quanto calcolato su superfici errate.

Tale ricorso non deve essere esaminato, alla luce dell’esito dell’impugnazione principale.

5. Il ricorso principale è, quindi, accolto, in ordine al I motivo, assorbiti il II, il III ed il IV.

La sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, poichè la causa non poteva essere proposta, difettando la società contribuente di legittimazione ad agire ab initio (Cass., Sez. U, n. 1912 del 9 febbraio 2012).

6. Il ricorso incidentale è dichiarato assorbito, in ragione dell’esito del ricorso principale.

7. Le spese di lite sono compensate in ordine ai gradi di merito ex art. 92 c.p.c., non risultando che sia stata sollevata nelle relative sedi l’eccezione relativa al difetto di legittimazione della società contribuente, mentre seguono la soccombenza quanto al giudizio di legittimità e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– accoglie il I motivo di ricorso principale, assorbiti gli ulteriori motivi ed il ricorso incidentale;

– cassa la sentenza impugnata senza rinvio;

– compensa le spese dei gradi di merito e condanna la Martur srl à rifondere le spese.di lite, che liquida in Euro 10.000,00, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

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