Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22019 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, (ud. 09/02/2018, dep. 11/09/2018), n.22019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20277-2013 proposto da:

S.A., C.A., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE

MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO DONNANGELO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONINO BARBAGALLO;

– ricorrenti –

contro

CA.SA., elettivamente domiciliato in ACIREALE,

V.PENNISI 106, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BARBAGALLO

BARBAGALLO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1199/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 23/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/02/2018 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

CA.Sa. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Catania C.A. e S.A., chiedendo la condanna alla riduzione in pristino di alcune opere illegittimamente realizzate in violazione dei propri diritti dominicali. I convenuti si costituivano e spiegavano domanda riconvenzionale di usucapione del diritto di mantenere tutte le opere realizzate e le aperture esistenti sul fabbricato e sulla stradella comune.

Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda principale e dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale.

La Corte d’Appello di Catania con sentenza del 16-23 luglio 2012 rigettava l’appello proposto da C.A. e S.A. e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale, condannava gli appellanti a demolire il manufatto realizzato sul cortile comune.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso C.A. e S.A. sulla base di tre motivi di ricorso; resiste con controricorso Ca.Sa..

In prossimità dell’udienza C.A. e S.A. hanno depositato memori, illustrativela ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Vanno, in primo luogo esaminati, il secondo e terzo motivo di ricorso, entrambi attinenti, sotto diversi profili, alla pronuncia relativa al rigetto della domanda di usucapione.

Con il secondo motivo di ricorso si allega l’omessa motivazione su un fatto decisivo consistente nella omessa verifica dell’esistenza delle aperture esistenti nel lato ovest del fabbricato da oltre trenta anni, con il loro conseguente diritto del ricorrente a mantenere le aperture nel sito in cui si trovavano stante l’intervenuta usucapione.

Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione in relazione alla valutazione delle prove testimoniali, dalle quali sarebbe emerso che le aperture esistevano da oltre trent’anni e non era mai stato mutato lo stato dei luoghi.

I motivi non sono fondati.

La corte territoriale non ha affatto omesso la motivazione in ordine all’epoca di realizzazione delle aperture, ritenendo che, sulla base delle prove testimoniali, non fosse possibile stabilire con certezza l’epoca di realizzazione della parete finestrata.

Nè coglie nel segno nemmeno la censura relativa all’insufficiente motivazione, nel testo anteriore al D.L. n. 83 del 2012convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012, ratione temporis applicabile, trattandosi di sentenza depositata il 23.7.2012, in quanto i ricorrenti censurano il vizio motivazionale un nuovo apprezzamento delle risultanze delle prove testimoniali, non consentito nel giudizio di legittimità.

La giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni chiarito quale sia la portata del ricorso per cassazione per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.

Si è detto, in proposito, che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura del giudizio di cassazione (tra le tante, Cass. Civ.26 marzo 2010, n. 7394, Cass. Civ. 5 marzo 2007, n. 5066).

La corte d’appello, in relazione all’eccezione riconvenzionale dei convenuti, (così riqualificata la domanda riconvenzionale dichiarata inammissibile) volta a dichiararsi acquisito per usucapione il diritto di mantenere tutte le opere realizzate e le aperture esistenti sul fabbricato, ha ritenuto che i testi addotti dagli attuali ricorrenti non fossero particolarmente attendibili, perchè avevano manifestato perplessità su circostanze decisive. In particolare, secondo l’apprezzamento della corte territoriale, avevano descritto in termini dubitativi lo stato dei luoghi, perchè legati a ricordi lontani nel tempo, risalenti ad epoca precedente alla ristrutturazione.

Tali considerazioni costituiscono un giudizio di fatto rimesso tipicamente al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se non per evidenti vizi di illogicità o incoerenza.

Alla luce delle precedenti considerazioni, il ricorso va rigettato, risolvendosi nel tentativo di ottenere da questa Corte un nuovo e non consentito esame del materiale probatorio finalizzato al conseguimento di una pronuncia più favorevole al ricorrente.

Al rigetto del secondo e terzo motivo segue l’inammissibilità per carenza di interesse del primo motivo, con il quale si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. e art. 949 c.c. e l’erronea motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, per avere la corte territoriale ritenuto che l’eventuale pronuncia sulla legittimità delle vedute non avrebbe avuto alcun rilievo pratico, considerando che il primo giudice aveva condannato i ricorrenti all’arretramento della costruzione anche per violazione delle distanze tra le costruzioni. Detta statuizione, secondo la corte territoriale, non era stata attinta dai motivi d’appello, che avevano avuto ad oggetto unicamente la legittimità delle vedute, con la conseguenza che su di essa si era formato il giudicato interno,

Osserva la Corte che la pronuncia della corte territoriale si basa su due autonome rationes decidendi, una fondata sull’assenza di prova relativa all’eccezione riconvenzionale di usucapione ed un’altra fondata sulla carenza di interesse alla pronuncia per assenza di utilità derivante dal giudicato interno relativo alla condanna all’arretramento del fabbricato, che priverebbe di utilità pratica la decisione sulla legittimità della veduta.

Sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa:(cfr. Cass. 14.2.2012, n. 2108; Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009; Cass 3633. del 2017).

In altri termini, se l’indicata seconda ragione della decisione “resiste” all’impugnazione proposta dalla ricorrente è del tutto ultronea la verifica di ogni ulteriore censura, perchè l’eventuale accoglimento di tutte o di una di esse non condurrebbe mai alla cassazione della sentenza gravata.

Ne consegue che, seppur si riconoscesse il buon fondamento della censura attinente all’erronea qualificazione della domanda, l’altra ratio, relativa alla mancata prova dell’eccezione riconvenzionale di usucapione, in quanto impregiudicata, è in ogni caso idonea a “sostenere” in parte qua la decisione impugnata.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di lite che liquida in Euro 2200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 16%, iva e cap come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Corte di Cassazione, il 9 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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