Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22018 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/09/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 03/09/2019), n.22018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16758-2018 proposto da:

O.P., elettivamente domiciliato elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO BONATESTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2898/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA

depositata il 6/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

la corte d’appello di Bologna ha respinto il gravame di O.P. avverso l’ordinanza con la quale il tribunale della stessa città gli aveva negato la protezione internazionale;

il predetto ricorre adesso per cassazione sulla base di due motivi, diretti a far valere, rispettivamente, la violazione di norme di diritto a proposito del mancato riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine della protezione sussidiaria, e la violazione del t.u. imm., art. 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in ordine al rilascio di un permesso per motivi umanitari;

il ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo censura la sentenza poichè ricorrerebbe, nella specie, l’ipotesi del rischio di assoggettamento a tortura o a trattamento inumano o degradante in caso di rientro del ricorrente nel paese di origine;

il motivo è inammissibile, essendo incentrato su un’ipotesi il cui concreto fondamento non risulta dedotto nella sede di merito;

invero la domanda era stata formulata prospettando il ben diverso rischio correlato all’esser stato, il richiedente, preso di mira da un gruppo di malavita organizzata, con due rapine in rapida consecuzione;

il motivo medesimo è altresì inammissibile – questa volta per totale genericità di formulazione – quanto al rilievo circa il fondato timore di subire in patria persecuzioni personali, visto che la corte territoriale ha escluso tale pericolo con ampia motivazione non specificatamente censurata;

il secondo motivo censura la sentenza nella parte in cui non ha ritenuto esistenti i prospettati seri motivi di carattere umanitario giustificativi della permanenza del ricorrente sul territorio nazionale: si sostiene che la corte d’appello non abbia verificato “se la prospettazione del quadro generale del paese (..) fosse quanto meno idonea ad integrare una situazione di vulnerabilità”; il secondo motivo è inammissibile poichè non è vero che la corte territoriale abbia mancato di svolgere la valutazione richiesta; il giudice del merito ha semplicemente, e giustamente, effettuato la valutazione nei limiti di quanto allegato dalla parte (e v. per tutte Cass. n. 27336-18);

ha sottolineato che i motivi di allontanamento del richiedente risiedevano nel generico stato di insicurezza asseritamente caratterizzante il paese, senza tuttavia sussistenza di alcun collegamento tra questo e la condizione soggettiva dal medesimo richiedente rappresentata;

tale situazione era quella di un soggetto niente affatto vulnerabile poichè munito di un adeguato lavoro (di meccanico) – per incidens svolto anche in Libia, paese di transito – e di connessa buona capacità di guadagno;

è evidente che l’attuale doglianza postula un tentativo di rivisitazione di un tale giudizio, istituzionalmente riservato al giudice del merito; le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 2.050,00 EURO oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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