Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22017 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, (ud. 08/02/2018, dep. 11/09/2018), n.22017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30007-2014 proposto da:

C.F.M., rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO

CARTEI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di LIVORNO, depositata il

14/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/02/2018 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS.

Fatto

FATTO E DIRITTO

PREMESSO CHE:

L’avvocato C.F.M. ha proposto opposizione, D.P.R. n. 115 del 2202, ex art. 170 e D.Lgs. n. 151 del 2011, art. 15, contro il decreto con cui il Tribunale di Livorno le ha liquidato i compensi quale difensore di Ci.Ni., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, affermandone l’erroneità in quanto è stata liquidata la metà della somma cui è stata condannata nel processo la parte soccombente, con ciò violando la disciplina vigente come interpretata dalle sezioni penali di questa Corte e dalla pronuncia n. 270/2012 della Corte costituzionale, e non è stato riconosciuto il diritto al rimborso delle spese anticipate e documentate.

Il Tribunale di Livorno – con ordinanza 14 ottobre 2014, n. 14436 – ha disposto il pagamento delle spese vive documentate e per il resto ha confermato il decreto.

Contro l’ordinanza ricorre in cassazione C.F.M..

Il Ministero della giustizia resiste con controricorso, con cui chiede il rigetto del ricorso perchè inammissibile e/o infondato.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO CHE:

1. Il ricorso è articolato in due motivi:

a) Il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione-falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, comma 1, art. 83, comma 1, art. 130, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”: il giudice di merito avrebbe sostanzialmente omesso di pronunciare sulla domanda principale o, meglio, di esaminare i motivi di gravame dedotti a sostegno dell’opposizione, con i quali la ricorrente lamentava che l’importo non era stato determinato, come aveva richiesto, in base ai parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012.

Il denunciato vizio di omessa pronuncia non sussiste. Il Tribunale (p. 5 del provvedimento impugnato) ha dichiarato l’infondatezza della opposizione “là dove ha lamentato l’erronea quantificazione dei compensi liquidati. Gli stessi – afferma il Tribunale – sono stati correttamente liquidati a favore dell’avv. C. (..) in conformità al D.M. n. 140 del 2012, applicabile alla fattispecie ratione temporis”.

b) Il secondo motivo lamenta violazione-falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, comma 1, art. 83, comma 1, art. 130, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3. Il Tribunale avrebbe poi errato rispetto alla domanda subordinata proposta dalla ricorrente, volta a chiedere che le fosse comunque liquidato il medesimo importo già liquidato in favore dello Stato all’esito della causa civile: il giudice di merito ha ritenuto che il principio della necessaria coincidenza tra l’importo a cui viene condannato l’imputato con la sentenza non trova applicazione per la liquidazione dei compensi maturati dal difensore in un giudizio civile, discostandosi così dal principio di diritto fissato dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione.

Il motivo non può essere accolto. Nell’articolata e ragionata motivazione del provvedimento il Tribunale, premessa la mancanza di una norma espressa che regoli il rapporto tra la quantificazione delle spese contenuta nel provvedimento conclusivo della fase del giudizio innanzi al giudice adito e la liquidazione a favore del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha applicato la disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130, secondo cui “gli importi spettanti al difensore (..) sono ridotti della metà”, dopo aver considerato sia le pronunzie del giudice delle leggi sia l’orientamento della 6 sezione penale.

Il Collegio condivide la conclusione del giudice di merito. Il giudice delle leggi, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità del citato art. 130 per contrasto con gli artt. 3,24,53,111 e 117 Cost., si è limitato, nell’escludere l’asserito contrasto fra la disposizione legislativa e l’art. 53 Cost., a richiamare l’orientamento della 6 sezione penale di questa Corte, per concludere che “nel meccanismo attraverso il quale si procede alla liquidazione dei compensi spettanti al difensore che abbia difeso in giudizi diversi da quelli penali la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, e che comporta l’abbattimento nella misura della metà della somma risultante in base alle tariffe professionali, non è dato riscontrare alcuna forma di prelievo tributario, trattandosi semplicemente di una, parzialmente diversa, modalità di determinazione dei compensi medesimi – giustificata (..) dalla diversità, rispetto a quelli penali, dei procedimenti giurisdizionali cui si riferisce – tale da condurre ad un risultato economicamente inferiore rispetto a quello cui si sarebbe giunti applicando il criterio ordinario (Corte cost., ordinanza 270/2012). Quanto all’orientamento della 6 sezione penale, sviluppato dalla pronuncia 46537/2011, esso sì afferma che “la somma che l’imputato deve rifondere in favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore”, ma tale affermazione viene fatta sulla base di una analisi del rapporto imputato-parte civile-Stato-difensore quale risulta dalle disposizioni specificamente dettate per il processo penale (e va sottolineato che il D.P.R. n. 115 del 2002 detta disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale particolari rispetto a quelle dedicate al processo amministrativo, contabile e tributario, disposizioni che ne 2012 non prevedevano, come oggi prescrive l’art. 106-bis, alcuna riduzione degli importi spettanti al difensore). Inoltre, la citata pronuncia n. 46537 impone la contestualità della condanna in favore dello Stato e della liquidazione in favore del difensore: la necessaria coincidenza tra le spese di difesa (che vanno parametrate ai sensi dell’art. 82 e quindi con l’allora unico limite per il processo penale dei valori medi delle tariffe professionali) e la rifusione in favore del difensore è ottenuta – afferma la pronuncia – con la liquidazione delle spese al difensore direttamente con la sentenza di condanna dell’imputato; il giudice del processo penale, pertanto, nel medesimo dispositivo deve provvedere all’indicazione dello Stato come creditore del pagamento a carico dell’imputato, contestualmente provvedendo alla liquidazione della stessa somma in favore del difensore della parte civile.

Ciò significa, venendo al motivo di ricorso avanzato dalla ricorrente, che la medesima non può, richiamando la giurisprudenza penale, invocare – nel nome della coincidenza tra spese riconosciute allo Stato e spese liquidate al difensore – l’applicazione di una somma uguale a quella che è stata attribuita dal giudice del processo senza applicare la dimidiazione prescritta dall’art. 130, perchè al più, richiamando quella giurisprudenza, può apparire illegittima la condanna alle spese in favore dello Stato contenuta nella sentenza che ha definito il processo (rispetto alla quale, comunque, è privo di legittimazione l’avvocato, che ha accettato la difesa secondo il sistema retributivo del patrocinio a spese dello Stato, potendo essere fatta valere dalla parte soccombente condannata al pagamento delle spese), ma non quella operata dal giudice con il decreto di liquidazione, che ha applicato il disposto di una disposizione, considerata legittima dal giudice delle leggi, che impone che gli importi spettanti al difensore (nei processi civili, amministrativi, contabili e tributari) siano ridotti della metà. Nè a diversa conclusione, ad avviso del Collegio, conduce la pronuncia della 6 sezione civile di questa Corte che ha ravvisato nell’orientamento della 6 sezione penale l’espressione di un principio generale che si presta a trovare applicazione anche nel settore dei giudizi civili (Cass. 18167/2016, ripresa da Cass. 21611/2017). Da un lato la pronuncia non considera, come si è detto, le peculiarità del sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato; dall’altro lato, estendendo il principio della coincidenza degli importi al sistema del processo civile, che distingue tra condanna alle spese in favore dello Stato e decreto di liquidazione in favore del difensore, indipendentemente dall’applicazione della dimidiazione dei compensi, porta a una sostanziale disapplicazione dell’art. 130.

Quanto al profilo – che non entra, come si è visto, direttamente in gioco in questa causa – se il giudice del processo, quando, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133, condanna il soccombente alle spese processuali a favore della parte ammessa disponendo che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato, debba seguire i criteri di cui agli artt. 82 e 130 ovvero debba seguire gli ordinari parametri, la conclusione della cassazione penale non pare una conclusione necessaria. Non si vede infatti perchè nel processo civile la parte che risulti soccombente nei confronti della parte non abbiente debba essere avvantaggiata (con evidente violazione del principio di uguaglianza) rispetto alle altri partì soccombenti, mentre d’altro canto – come sottolinea il Tribunale nella sentenza impugnata – la circostanza che nella singola causa lo Stato possa incassare più di quanto liquida al singolo difensore compensa le situazioni in cui lo Stato non recupera quanto versa in favore dei difensori e contribuisce al funzionamento del sistema del gratuito patrocinio nella sua globalità.

II. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese sono liquidate in dispositivo seguendo la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 1.500, oltre spese prenotate a debito.

Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-bis, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 8 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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