Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22015 del 31/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 31/10/2016, (ud. 20/07/2016, dep. 31/10/2016), n.22015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13549/2012 proposto da:

L.I., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA AUGUSTO RIBOTY, 3, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA

PETTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO CONFORTI;

– ricorrente –

contro

R.M., (OMISSIS), A.G. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 88, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO DE BONIS, che li rappresenta e difende;

COMUNE di ROGGIANO GRAVINA, c.f. (OMISSIS) in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARVISIO 2, presso

lo studio dell’avvocato PAOLO CANONACO, rappresentato e difeso

dall’avvocato BIANCA CAMO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 483/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 02/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato AMEDEO MORETTI, con delega dell’Avvocato BIANCA CAMO

difensore del Comune controricorrente, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del terzo motivo, per il rigetto del primo e del secondo e

per l’assorbimento del quarto motivo del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Cosenza, con la sentenza depositata il 16/8/2005, decidendo sul ricorso possessorio proposto da L.I., confermò il provvedimento possessorio reso il (OMISSIS) dal Pretore di (OMISSIS).

La statuizione possessoria aveva ordinato la rimozione di una cisterna con annessa autoclave posta da R.M. e A.G. a ridosso dell’abitazione della ricorrente. Al contraddittorio della fase di merito, tenutasi dinanzi al Tribunale di Cosenza, aveva preso parte il Comune di Roggiano Gravina, che aveva rilasciato concessione amministrativa per l’installazione.

Proposto appello principale, la R. e l’ A., e incidentale, il Comune di Roggiano Gravina, la Corte di Catanzaro, con sentenza depositata il 2/5/2011, in riforma della sentenza di primo grado, negò la tutela possessoria.

Nel rispetto del perimetro decisorio di legittimità possono richiamarsi i profili salienti della vicenda siccome appresso.

La L. aveva adito il giudice in via possessoria dolendosi del fatto che il R. e l’ A. avevano collocato nel fosso di pertinenza dell’abitazione della prima, così violandone il pacifico possesso, le infrastrutture di cui s’è detto. I resistenti, costituitisi, assumevano che trattavasi di area pubblica e che l’installazione era avvenuta previo rilascio di concessione amministrativa da parte del Comune. Quest’ultimo, a sua volta, chiamato a partecipare al giudizio di merito innanzi al Tribunale, si costituiva opponendosi alla domanda.

La Corte d’appello, ritenendo fondato l’appello incidentale del Comune, riformava la decisione di primo grado, giudicando inammissibile la domanda di reintegrazione, “in quanto il suo accoglimento implicherebbe la revoca, da parte del Giudice Ordinario, di un atto costituente espressione della potestà pubblicistica del Comune, in violazione dell’art. 4 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo. La Corte calabrese rigettava, inoltre, le domande subordinate, con le quali l’attrice aveva lamentato la violazione delle distanze legali, l’eccessiva rumorosità dell’autoclave e l’occupazione di una porzione di superficie superiore rispetto a quella oggetto di concessione.

Con ricorso del 28/5/2011 la L. chiede l’annullamento della sentenza d’appello. Resistono, con controricorso, rispettivamente del 6/7/2012 e del 29/6/2012, il R. e la A. ed il Comune di Roggiano Gravina.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, assumendo che la Corte territoriale errando non aveva dichiarato la tardività dell’appello incidentale del Comune di Roggiano Gravina: l’appello era sttato proposto con ricorso depositato il 29/12/2005 ed era stato notificato il 15/12/2005 ed il predetto appellante si era costituito solo 22/2/2006, quindi, dopo circa due mesi dalla notifica dell’atto d’impugnazione, oltre, pertanto, il termine di trenta giorni stabilito dagli artt. 325 e 326 c.p.c..

Trattasi di doglianza radicalmente destituita di giuridico fondamento. Come correttamente evidenziato dai resistenti, al Comune venne notificato in data 19/1/2006 (dato non controverso), unitamente alla richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado e al decreto di fissazione dell’udienza di comparizione per il 21/3/2006. Quindi, la costituzione effettuata in cancelleria il 22/2/2006, ben prima dei venti giorni previsti dall’art. 343 c.p.c., comma 1, consentiva la proposizione dell’appello incidentale.

Con il secondo motivo il ricorso denunzia violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 2 e 4, in quanto la ricorrente, davanti alla sollevata eccezione di proprietà, non aveva chiesto l’annullamento dell’atto amministrativo, avendo, invece, proposto domanda di accertamento incidentale su natura e appartenenza del bene. Andava applicata la disposizione di cui al citato art. 2, non vertendosi nell’ipotesi regolata dall’art. 4.

La doglianza è fondata.

In primo luogo non può farsi a meno di ricordare che da lungo tempo non si nutre dubbio sulla giurisdizione del giudice ordinario ove si verta in materia di diritti soggettivi, come quando si controverta sulla pretesa di un privato, il quale, contestando la natura demaniale di un’area da lui occupata, confinane con altra pubblica, impugni l’ordinanza della p.a., la quale gli ingiunga il rilascio del terreno (S.U., n. 7097 del 29/3/2011, Rv. 616931). Così come allorquando la controversia concerna una ordinanza amministrativa di rilascio d’un immobile, sul presupposto della sua demanialità e ciò venga contestato dal privato (S.U., n. 20596 del 9/9/2013, Rv. 627427); oppure investa la proprietà di un immobile e sia necessario accertarne la natura demaniale, contestandosi il potere della p.a. di modificarla (S.U. n. 4127 del 15/3/2012, Rv. 621376). Ciò perchè “il riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo si determina non già in base ai vizi dei vari atti amministrativi adottati dall’amministrazione, ed alle pronunce richieste su di essi (di annullamento piuttosto che di disapplicazione), bensì in relazione al carattere paritario o autoritativo del rapporto intercorrente tra privato e p.a.. Con la conseguenza che ove venga dedotto, al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva, la lesione di un diritto dominicale in relazione ad un rapporto nel quale alla p.a. non è attribuito dalla legge alcun potere autoritativo nè alcuna discrezionalità, la controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.

Erra, pertanto, la Corte territoriale nel reputare che l’accoglimento del ricorso avrebbe illegittimamente inciso sul provvedimento amministrativo concessorio. Poichè non è consentito alla p.a. esercitare la potestà pubblicistica in violazione delle posizioni soggettive di pieno diritto dei privati, l’accertamento della natura dell’area qui in rilievo non può che appartenere alla cognizione del giudice ordinario. Ove un tale accertamento si concludesse con la ricognizione del diritto demaniale del privato il provvedimento della p.a. mostrerebbe la propria assoluta inidoneità ad incidere sulle posizioni soggettive. Solo ove l’accertamento fosse favorevole alla p.a. non sarebbe consentito al giudice ordinario assumere provvedimenti che sconfessino l’agere amministrativo.

Diversamente ragionando, contro ogni logica, evidenza giuridica e in violazione di più principi costituzionali (artt. 102 e 103, in primis), dovrebbe concludersi che tutte le volte che la p.a. abbia emesso un provvedimento, anche ove non sia titolare di potere, al privato resti preclusa la via della tutela del proprio diritto soggettivo davanti al giudice ordinario.

Con il terzo motivo si prospetta violazione degli artt. 907 e 2697 c.c., nonchè vizio motivazionale sopra un fatto controverso e decisivo.

Non si trattava, come aveva erroneamente ritenuto la sentenza d’appello, di tubi o cavi affogati nella parete condominiale, la cui sopportazione si ritiene comunemente dovuta, bensì di una grande cisterna posizionata innanzi alle finestre dell’abitazione della ricorrente. Una tale infrastruttura, secondo la consolidata interpretazione di legittimità, non poteva non considerarsi costruzione. Inoltre l’occupazione aveva riguardato un’area molto più grande rispetto a quanto previsto nella concessione (1,60 m., invece che 1,00 m.), e la differenza assumeva rilievo in relazione alla complessiva esiguità dello spazio interessato.

Il motivo merita di essere accolto.

Il condivisibile principio richiamato in sentenza secondo il quale la disciplina sulle distanze trova deroga nel condominio, ove si tratti di garantire al singolo condomino l’accesso agli apparati tecnologici capaci di assicurare la vivibilità dell’alloggio nel rispetto degli standard attuali d’igiene (cfr., fra le tante, Sez. 2, n. 7752 del 15/7/1995, Rv. 493308) non appare essere richiamato in maniera puntuale, esaustiva e, soprattutto, a proposito.

Invero, oltre a non aver formato accertamento in fatto la circostanza che si verta in una situazione di condominio vero e proprio, da quel che è dato trarre dagli atti conoscibili in sede di legittimità, l’autoclave non risulta essere stata collocata su area condominiale, bensì oggetto di possesso esclusivo della L. o di pubblica proprietà. Infine, anche laddove si trattasse di suolo condominiale, l’installazione avrebbe dovuto essere effettuata con gli accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui (sent. n. 7752, cit.); cioè danni non indispensabili (nella specie viene allegata la lesione di un diritto di veduta esercitato da una finestra, che avrebbe potuto essere tutelato, in tutto o in parte, sotterrando il serbatoio). Nè è dubbio che l’installazione possa costituire, ai fini del rispetto delle distanze, costruzione, dovendosi considerare tale qualsiasi opera, di qualsiasi natura, che si elevi stabilmente dal suolo e che ostacoli l’esercizio della veduta, intesa come possibilità sia di “inspectio” che di “prospectio” (cfr., Sez. 2, n. 17802 del 6/9/2005, Rv. 583353).

Con il quarto ed ultimo motivo, denunziante vizi motivazionali su un fatto controverso e decisivo, nonchè violazione di legge, il ricorso contesta che la rumorosità dell’autoclave aveva perso di rilievo. Dalla CTU, al contrario di quel che si assume in sentenza, non era dato trarre il convincimento che di notte il meccanismo non fosse messo in funzione.

Anche quest’ultimo motivo merita di essere accolto.

Costituiva certamente fatto decisivo dibattuto fra le parti, al fine di verificare la turbativa proveniente dall’apparecchiatura, accertarne, con metodi scientifici, la rumorosità, sia in ore diurne, che notturne (le due situazioni, come noto, non sono sovrapponibili, risultando mutata radicalmente, salvo eccezioni, la soglia del rumore di fondo e le esigenze della vita). Su tale punto devesi registrare una sostanziale omissione di pronunzia, in quanto la Corte di Catanzaro, nonostante avesse espressamente richiesto con l’integrazione peritale, risposta in merito, nulla ha accertato e, quindi, statuito. E’ appena il caso di soggiungere che l’impostazione del timer, nella piena ed incontrollabile disponibilità della controparte, non fornisce risposta sul punto.

Premesso quanto sopra la sentenza impugnata, accolti il secondo, il terzo ed il quarto motivo, e rigettato il primo, deve essere cassata con rinvio per nuova determinazione. Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa e rinvia, anche per le spese alla Corte d’appello di Catanzaro, altra Sezione.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2016

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