Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22015 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/09/2017, (ud. 11/05/2017, dep.21/09/2017),  n. 22015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18052-2016 proposto da:

C.G., B.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DARDANELLI 37, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

CAMPANELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato ROCCO SUMA;

– ricorrenti –

contro

CA.DO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 210/2016 del TRIBUNALE di TARANTO, emessa il

14/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/05/2017 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

Considerato che:

C.G. e B.P. hanno evocato in giudizio davanti al Giudice di Pace di Taranto la Srl Edilsud Costruzioni deducendo di avere subito un danno, pari all’importo di Euro 1032,92, per la sanzione irrogata dal comune di Palagianello per le riscontrate difformità edilizie dell’immobile acquistato dalla società convenuta, precisando che quest’ultima, nell’atto di compravendita del 22 novembre 2002, aveva dichiarato che il fabbricato non aveva subito alcuna modifica, successivamente riscontrata in occasione della richiesta di permesso a costruire per lavori di manutenzione straordinaria e di realizzazione di un vano interrato. Con sentenza n. 2434 del 2012 il Giudice di Pace di Taranto rigettava la domanda;

avverso tale decisione proponevano appello C.G. e B.P. ed il Tribunale, con sentenza pubblicata il 20 gennaio 2016, rigettava l’appello con condanna al pagamento delle spese di lite, rilevando che il contratto preliminare prevedeva, nella clausola n. 7, di eseguire delle opere aggiuntive concordate da inserire in un documento allegato e sottoscritto dalle parti che, al contrario non era stato predisposto. Pertanto, la mancata previsione delle variazioni edilizie nel contratto preliminare e la mancata formalizzazione di un atto congiunto, come previsto dalla clausola n. 7, e la dichiarazione di parte attrice contenuta nell’atto pubblico e quella di conformità presentata al Comune non impugnate di falso, impediscono di affermare la responsabilità della parte venditrice per le riscontrate difformità;

avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione C.G. e B.P. sulla base di due motivi e depositano memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

la motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione, non avendo il presente provvedimento alcun valore nomofilattico;

con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione di norme di legge ritenendo errata la motivazione del giudice di appello nel sussumere la vicenda nell’ambito dell’art. 1489 c.c., e non nell’art. 1494 c.c., norma relativa alla garanzia per vizi della cosa e all’azione di esatto adempimento, poichè la pretesa riguardava l’accertamento di un danno economico subito dagli attori determinato dall’omissione della impresa costruttrice, sulla base di un comportamento colposo della stessa, che consente di risarcire il danno costituito anche dalle spese sostenute. Sotto altro profilo la società costruttrice risponderebbe per violazione del principio di esecuzione del contratto secondo buona fede, non avendo informato gli acquirenti delle variazioni intervenute nella consistenza dell’immobile. Inoltre, la mancata comparizione a rendere l’interrogatorio formale da parte del legale rappresentante della società può essere intesa come accettazione tacita delle circostanze deferite;

con il secondo motivo lamentano l’omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 codice di rito in ordine all’intera domanda istruttoria e inadeguatezza della motivazione. Il giudice di appello avrebbe omesso di motivare sulle ragioni per le quali non ha ritenuto di “effettuare un’istruttoria più attenta”;

il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità poichè il giudice di appello ha adottato la decisione rilevando che la pretesa degli appellati si fondava sulla circostanza che, durante la costruzione, erano state apportate variazioni concordate rispetto al progetto originario, individuando il comportamento antigiuridico della società costruttrice nell’avere omesso di comunicare tali variazioni all’ufficio tecnico comunale. Orbene, ai sensi del contratto preliminare, tali variazioni avrebbero dovuto essere inserite in un allegato aggiunto, sottoscritto dalle parti che, invece, pacificamente non è stato formalizzato, con evidente condivisione delle responsabilità tra le parti. Pertanto, le censure non colgono nel segno, poichè non tengono in alcuna considerazione tale profilo decisivo. Infine, il motivo difetta di autosufficienza, riguardo all’argomentazione relativa agli effetti della mancata comparizione del legale rappresentante in sede di interrogatorio formale; i ricorrenti hanno omesso di allegare, individuare e trascrivere il contenuto dei capitoli di prova;

il secondo motivo è inammissibile attesa l’erronea sussunzione del vizio, che i ricorrenti intendono far valere in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale omessa motivazione sulle ragioni della mancata valutazione di ulteriori elementi istruttori), mentre si dolevano in realtà della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione a tale omessa pronuncia, prospettando, così, un vizio che avrebbe dovuto far valere ai sensi del n. 4 del medesimo art. 360 (Sez. 3, Sentenza n. 21165 del 17/09/2013, Rv. 628690 – 01). In ogni caso la censura è inammissibile, poichè il nuovo testo dell’articolo 360 n. 5 non consente una siffatta valutazione, che comunque non potrebbe essere presa in considerazione in quanto la censura, (oltremodo) genericamente formulata, riguarderebbe la mancata deduzione, da parte del giudice di appello, delle ragioni “che lo avrebbero portato ad escludere la necessità di effettuare un’istruttoria più attenta”;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; nessun provvedimento va adottato sulle spese poichè controparte non ha espletato, in questa sede, attività difensiva. Si deve dare atto, invece, della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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