Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22011 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 15/06/2018, dep. 11/09/2018), n.22011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10926/2017 proposto da:

PFM ARREDO SNC, rappresentata e difesa dall’avvocato BENIAMINO

ALIBERTI;

– ricorrente –

contro

H.X. HOTEL (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

EMANUELE FILIBERTO 161, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

CAMILLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FILIPPO BRIVIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 994/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 19/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La PFM Arredo s.n.c. ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 994/2016 del 19 ottobre 2016.

Resiste con controricorso H.X., titolare dell’Hotel (OMISSIS).

La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

La sentenza impugnata, pronunciando sull’appello formulato dalla stessa PFM Arredo s.n.c. contro la decisione resa in primo grado il 23 dicembre 2015 dal Tribunale di Bergamo, ha confermato il difetto di legittimazione passiva di H.X., titolare dell’Hotel (OMISSIS), rispetto alla pretesa di pagamento del corrispettivo dei lavori edili (pari ad Euro 426.600,00, oltre interessi) azionata in via monitoria dall’appaltatrice PFM Arredo, essendo stato il contratto d’appalto stipulato da H.S., titolare dell’Hotel (OMISSIS). La Corte d’Appello ha evidenziato come tale conclusione non fosse smentita nè dalle risultanze dell’espletata CTU, nè dalla circostanza che l’intervento di ristrutturazione edilizia fosse da eseguire presso l’Hotel (OMISSIS), essendone stato comunque committente H.S., per aver sottoscritto il contratto. Neppure, secondo i giudici di merito, poteva rilevare ai fini di imputare il rapporto contrattuale a H.X. l’emissione delle fatture nei confronti dell’Hotel (OMISSIS). Inoltre, proseguiva la sentenza impugnata, non era stato prodotto alcun contratto concluso documentalmente tra PFM Arredo s.n.c. e H.X., titolare dell’Hotel (OMISSIS), nè erano stati allegati elementi specifici comprovanti la conclusione verbale di un tale contratto diretto tra le parti in causa. Circa il fatto dell’avvenuto pagamento parziale dei lavori con addebito su conto corrente intestato a H.X., la Corte di Brescia ha ritenuto trattarsi, al pari del primo giudice, di adempimento del terzo. La sentenza oggetto di ricorso ha quindi evidenziato la indiscussa diversità tra le due imprese individuali, quella che aveva concluso il contratto e quella che era beneficiaria dei lavori.

Il primo motivo di ricorso della PFM Arredo s.n.c. allega la violazione degli artt. 81 e 115 c.p.c. e l’errata statuizione in ordine alla carenza di legittimazione passiva dell’Hotel (OMISSIS) ed alla titolarità del rapporto controverso, argomentando come la verifica della sussistenza della legittimazione ad causam debba essere compiuta con riferimento alla prospettazione dei fatti delineati nell’atto introduttivo della causa. La prima censura prosegue sostenendo che la Corte di Brescia avrebbe poi dovuto accertare nel merito che l’Hotel (OMISSIS), avendo ricevuto le prestazioni rese dalla PFM Arredo, doveva provvedere al saldo di quanto dovuto, non essendo a ciò tenuto l’Hotel (OMISSIS), il quale aveva sottoscritto il contratto iniziale in attesa della formale iscrizione dell’Hotel (OMISSIS) nel Registro delle imprese. Tale conclusione era avvalorata, quanto meno per facta concludentia, dalla intestazione delle fatture e dai documenti bancari di pagamento, nonchè dalle risultanze delle CTU circa l’effettuazione dei lavori.

Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 1180 c.c. e l’illogicità e contraddittorietà della sentenza impugnata, non essendo, in base agli elementi istruttori di causa, l’Hotel (OMISSIS) terzo adempiente, ma titolare sostanziale del rapporto contrattuale d’appalto per cui è causa.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

I due motivi di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, rivelano diffusi profili di inammissibilità e risultano comunque infondati.

Sono inammissibili le doglianze di illogicità e contraddittorietà della sentenza impugnata, nonchè quelle, contenute in entrambi i motivi, che, dietro il paravento della violazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurano in realtà non l’interpretazione della fattispecie astratta delle disposizioni di legge richiamate, quanto la ricostruzione della fattispecie concreta operata dalla Corte d’Appello sulla base dell’apprezzamento delle emergenze istruttorie, ricostruzione che è sindacabile soltanto nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Lo stesso parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, contempla unicamente il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Tale ultimo attributo è, nella specie, comunque da negare, perchè è da intendere in tal senso decisivo solo un fatto che, se esaminato dal giudice, avrebbe ex se portato ad una diversa soluzione della controversia, laddove l’omesso esame di elementi istruttori non si risolve nella corretta prospettazione di un vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove i fatti storici (nella specie, le circostanze attinenti alle fatture ed agli addebiti bancari dei pagamenti effettuati) siano stati comunque presi in considerazione nella sentenza impugnata (pagina 5). La valutazione degli esiti delle prove, come la scelta, tra le varie emergenze istruttorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; tale attività selettiva si estende all’effettiva idoneità del teste a riferire la verità, in quanto determinante a fornire il convincimento sull’efficacia dimostrativa della fonte-mezzo di prova (cfr. da ultimo Cass. Sez. 6-3, 04/07/2017, n. 16467). L’inammissibilità della censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ove così riqualificate le doglianze della ricorrente) ricorrerebbe, nel caso in esame, altresì dalla constatazione che la sentenza della Corte d’Appello è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione del Tribunale (idest, il difetto di prova dell’esistenza di un contratto d’appalto intercorrente tra PFM Arredo s.n.c. e H.X., titolare dell’Hotel (OMISSIS)), sicchè ricorre l’ipotesi prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione a far tempo dall’11 settembre 2012).

Anche la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., è priva di consistenza, in quanto tale violazione può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).

La Corte di Brescia ha, comunque, deciso la questione di diritto in maniera conforme alla giurisprudenza di questa Corte, atteso che la stipulazione di un contratto d’appalto privato certamente non richiede la forma scritta nè ad substantiam, nè ad probationem, potendo lo stesso perciò essere concluso anche per facta concludentia, sicchè, per darne dimostrazione in giudizio, possono assumere rilevanza altresì le prove testimoniali o le presunzioni; tuttavia, l’appaltatore che agisca in giudizio per ottenere il pagamento del corrispettivo, ha l’onere di dar prova dell’esistenza del contratto e del suo specifico contenuto. Ciò la PFM Arredo s.n.c. avrebbe dovuto fare dimostrando di aver ricevuto direttamente da H.X., titolare dell’Hotel (OMISSIS), o per conto di questi, l’incarico per il compimento delle opere edili azionate in questo giudizio.

In ordine a quanto esposto nel primo motivo di ricorso, la titolarità della posizione soggettiva passiva di committente delle opere appaltate, perciò tenuto al pagamento del corrispettivo, è un elemento costitutivo della domanda di adempimento proposta dall’appaltatore ed attiene al merito della decisione, sicchè spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (arg. da Cass. Sez. U, 16/02/2016, n. 2951). Peraltro, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo relativo al corrispettivo dovuto per un appalto, laddove il convenuto contesti di aver commesso i lavori, la fattura emessa dall’appaltatore non costituisce idonea prova della titolarità del rapporto contrattuale, trattandosi di documento di natura fiscale proveniente dalla stessa parte (cfr. Cass. Sez. 2, 11/05/2007, n. 10860). E’ risultato piuttosto accertato, da parte dei giudici del merito, che le opere per cui è causa furono effettuate dalla PFM Arredo a seguito di contratto stipulato con H.S., titolare dell’Hotel (OMISSIS), il che determinava un’obbligazione diretta e personale di questo per i lavori in questione. Nel contratto di appalto la qualità di committente può anche non coincidere con quella del soggetto a favore del quale i lavori vanno eseguiti, di tal che chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un appaltatore affinchè questi compia le opere a favore di un terzo, con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente e l’appaltatore, il quale resta obbligato verso il primo ad adempiere alla prestazione a favore del terzo, mentre il primo resta obbligato al pagamento del compenso (cfr. Cass. Sez. 2, 22/06/2017, n. 15508). Così ricostruita la vicenda genetica del rapporto obbligatorio d’appalto, costituisce frutto di ulteriore accertamento di fatto, devoluto in via esclusiva al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la circostanza che soggetto diverso dall’originario committente, quale appunto H.X., titolare dell’Hotel (OMISSIS), avesse poi parzialmente eseguito, quale terzo, la prestazione di pagamento del corrispettivo con intervento spontaneo ed unilaterale, non legato, cioè, a precedenti accordi o convenzioni, in virtù della regola generale dettata dall’art. 1180 c.c., comma 1, senza che tale adempimento potesse ingenerare confusione sulla titolarità del rapporto.

Il ricorso va perciò rigettato e la società ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 15 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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