Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22008 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 15/06/2018, dep. 11/09/2018), n.22008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17958-2017 proposto da:

B.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30,

presso lo studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati LEOPOLDO CITI, DANIELA GUERRIERI;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato MARIA FRANCESCA CORRADI,

rappresentato e difeso dagli avvocati VALERIO PARDINI, LINA CINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 899/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/4/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/6/2018 dal Consigliere Dott. ALDO CARRATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 80/2009 il Tribunale di Pisa – sez. dist. di Pontedera accoglieva la domanda proposta da B.O. nei confronti di C.M. volta all’ottenimento del pagamento della somma di Euro 10.657,10, determinato dal cumulo dell’importo di Euro 1.596,59, a titolo di rimborso del maggior importo versato per un quantitativo di rotoli di fieno già ritirati, e di quello di Euro 9.087,51, quale mancato guadagno, stante l’impossibilità del ritiro dei rimanenti 149 rotoli già acquistati ma spostati dal C..

Sull’appello formulato dal C. e nella costituzione dell’appellato, la Corte di appello di Firenze, accogliendo parzialmente il gravame, in riforma dell’impugnata sentenza (che veniva confermata nel resto), rigettava la sola domanda – siccome non adeguatamente provata – del B. relativa al risarcimento del danno per mancato guadagno, condannando l’appellante alla rifusione di 1/5 delle spese dei due gradi di giudizio, che per i residui 4/5 venivano dichiarate compensate.

Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo, il B.O., al quale ha resistito con controricorso il C.M..

Con il formulato motivo il ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. in relazione all’art. 2697 c.c., sul presupposto che il danno da mancato guadagno per colui che eserciti a scopo di lucro il commercio di beni dovrebbe essere presunto fino a prova contraria (come era stato ritenuto dal giudice di primo grado), ragion per cui tale principio si sarebbe dovuto applicare anche nel caso di specie in considerazione della circostanza che, essendo egli un commerciante all’ingrosso di foraggi, avendo provveduto, nonostante il C. gli avesse venduto anche rotoloni non suoi, ad acquistare anche i 120 rotoloni di proprietà di un terzo, sussisteva la ragionevole certezza che esso ricorrente avrebbe rivenduto anche i 149 rotoloni nel dicembre 2003 asportati dal capannone del C. ove erano stati depositati.

Su proposta del relatore, il quale riteneva che l’avanzato motivo di ricorso potesse essere ritenuto manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, in prossimità della quale il difensore del ricorrente ha depositato memoria ai sensi del citato art. 380-bis.

Rileva il collegio che l’unica censura dedotta con il ricorso deve essere respinta, in tal senso trovando conferma la proposta già formulata dal relatore ai sensi del citato art. 380-bis c.p.c..

Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, la Corte di appello di Firenze non è incorsa, nell’impugnata sentenza, nella denunciata violazione di legge, dal momento che – per giurisprudenza consolidata di questa Corte – l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante esige la prova adeguata, anche in via presuntiva (ma comunque univoca), dell’esistenza di elementi oggettivi e sicuri dai quali desumere, in termini di certezza o – in ogni caso – di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’emergenza di un pregiudizio economicamente valutabile, non risultando sufficiente, a tal fine, in linea presuntiva, la sola qualità di imprenditore commerciale dell’assunto creditore.

Altrettanto legittimamente la Corte territoriale ha ritenuto che il relativo onere probatorio incombeva, nella specie, sul B., che, tuttavia, non l’aveva adeguatamente assolto, poichè – a tale scopo -sarebbe stato necessario riscontrare in concreto che era stata acquisita la disponibilità di potenziali acquirenti dei rotoli di fieno al prezzo già concordato con il C. o, quantomeno, che fossero in corso delle avanzate trattative per la vendita ad un determinato prezzo. Tali specifiche circostanze non erano state, però, comprovate dall’attuale ricorrente che vi era onerato, non potendo ritenersi le stesse presuntivamente sussistenti per effetto della sua mera qualità di commerciante all’ingrosso di foraggi.

Non avendo, quindi, il B. offerto la prova, in termini di ragionevole certezza (non bastando l’allegazione della sola presunzione ricollegata alla sua qualifica soggettiva imprenditoriale), dell’utilità patrimoniale che avrebbe potuto effettivamente conseguire ove l’obbligazione della controparte fosse stata adempiuta, la Corte toscana ha correttamente escluso il riconoscimento del danno da lucro cessante.

Al riguardo si rileva che, anche recentemente, è stato affermato (cfr. Cass. n. 5613/2018, ord.) che il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi i mancati guadagni meramente ipotetici perchè dipendenti da condizioni incerte, sicchè la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subito (in senso conforme v., già, Cass. n. 24632/2015).

Nella presente sede di legittimità, inoltre, non può trovare ingresso la sollecitazione alla rivalutazione di ulteriori elementi potenzialmente probatori indicati in ricorso (quali le risultanze delle fatture emesse dal B. subito dopo l’accertata sottrazione dei rotoloni da parte del C., dalle quali si sarebbe potuto desumere il prezzo che egli praticava ai propri clienti), perchè – ove si fosse trattato di circostanza decisiva ai fini della controversia e che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti – lo stesso ricorrente avrebbe dovuto proporre il vizio enucleato nel nuovo n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1 il quale, però, non risulta essere stato formulato.

Alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte il ricorso deve, quindi, essere rigettato, con conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Sussistono, inoltre, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1- quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte dello stesso ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parti a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte di cassazione, il 15 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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