Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22005 del 24/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 24/10/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 24/10/2011), n.22005

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 244, presso lo studio dell’avvocato RINALDI EMILIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 27, presso

lo studio dell’avvocato COLLACCIANI ANNA MARIA, che la rappresenta e

difende, giusta memoria di costituzione di nuovo difensore in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/02/2006 R.G.N. 4010/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato RINALDI EMILIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 25 febbraio 2006, la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado ha respinto le domande svolte da N.D., medico convenzionato di medicina generale, nei confronti della Regione Lazio, dirette ad ottenere, secondo quanto indicato nella medesima sentenza, “il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, ovvero per lesione dell’interesse legittimo, ovvero per ingiustificato arricchimento, con riferimento all’attività quale medico generico convenzionato per un numero di assistiti superiore al massimale nel periodo dall’ottobre 1983 al dicembre 1994.

In proposito, la Corte territoriale, ricordato che il compenso spettante al medico convenzionato di medicina generale viene convenzionalmente rapportato al numero degli assistibili, indipendentemente dal numero e specie di prestazioni professionali effettuate e che la legge e la convenzione nazionale stabiliscono un numero massimo di assistibili (normalmente n. 1.500, i quali operano liberamente la scelta del medico, comunicandolo alla ASL), superabile solo su espressa autorizzazione, ha escluso che per gli assistibili eccedenti il massimale assegnato, potesse competere al N. alcun compenso.

Ha infine escluso anche la fondatezza della domanda subordinata di arricchimento ex art. 2041 c.c., essendo mancata nel caso in esame la prova sia della diminuzione patrimoniale subita dal medico – non potendo desumersi dalla mera deduzione di un maggior numero di assistiti un numero maggiore di prestazioni professionali e quindi un aggravio di costi -, che della utilitas acquisita dall’Ente.

N.D. propone ora, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione, notificato il 26 febbraio 2007, affidandolo a cinque motivi, corredati dalla formulazione di quesiti di diritto, non necessari in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata.

La Regione Lazio resiste alle domande con rituale controricorso, depositando infine un memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo, la sentenza impugnata viene censurata dal ricorrente per “violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 325, 327 e 329 anche in relazione all’art. 342 c.p.c. – Inammissibilità dell’appello, omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La sentenza di primo grado avrebbe infatti accolto cumulativamente sia la richiesta (principale) di risarcimento danni per violazione dell’obbligo della Regione di informare tempestivamente il medico convenzionato del numero delle scelte operate in suo favore degli assistiti e di impedirne la lievitazione oltre il massimale, sia la domanda subordinata ex art. 2041 c.c..

L’appello della Regione avrebbe viceversa riguardato, quanto al primo argomento, unicamente il tema della spettanza o non al medico di un compenso per gli assistiti eccedenti il massimale, mai introdotto col ricorso ex art. 414 c.p.c., per cui sulla pronuncia alternativa di primo grado relativa al risarcimento del danno si sarebbe formato il giudicato.

Il dato sarebbe stato tempestivamente dedotto dall’appellato, senza peraltro che la Corte territoriale lo prendesse in considerazione.

2 – Col secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sulla domanda risarcitoria formulata in via principale dal N., perpetuando l’equivoco circa l’effettivo contenuto della stessa, ritenuta di diretto pagamento del compenso in relazione agli assistibili eccedenti il massimale.

3 – Col terzo motivo, il ricorrente lamenta, con riguardo al rigetto della domanda subordinata, la violazione dell’art. 416 c.p.c. e il vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale rilevato che la circostanza dedotta nel ricorso introduttivo “di aver dovuto svolgere attività professionale (assistenza a pazienti eccedenti il massimale) che non poteva essere retribuita” non era stata contestata dalla Regione, che si era limitata ad affermare genericamente che questa non era provata, per cui il fatto avrebbe dovuto essere espunto dal thema probandum.

4 – Col quarto motivo viene dedotta, sempre a proposito della domanda ex art. 2041 c.p.c., la violazione dell’art. 2707 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso che la prova del depauperamento patrimoniale del N. potesse “desumersi in via presuntiva, in quanto il depauperamento viene escluso in conseguenza del mancato accertamento dell’effettività delle prestazioni sanitarie in contestazione”. Viceversa il danno nel caso in esame potrebbe essere provato unicamente per presunzioni, potendosi chiaramente desumere dal fatto noto, rappresentato dalla consistenza delle prestazioni collegabili nell’anno ad un certo numero di assistibili, quello da accertare e relativo al maggior numero di prestazioni derivante dall’aumento degli assistibili.

5 – Col quinto motivo, la sentenza viene infine censurata per violazione dell’art. 2041 c.c. e per vizio di motivazione, laddove aveva affermato che “neppure l’appellato ha dimostrato l’utilitas che l’Ente avrebbe ricevuto dalle prestazioni effettuate oltre il massimale, limitandosi a dedurre che l’utilitas si trarrebbe dalla lettura del tabulato versato in atti, che è del 1994 e contiene unicamente il numero degli assistibili, tra gli altri, dal N., negli anni indicati.

Il ricorso è fondato nei primi due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, nella parte in cui denunciano l’omessa pronuncia del giudice di appello su una deduzione di inammissibilità dell’appello;

assorbiti gli ulteriori.

Risulta chiaramente dalla sentenza impugnata, che la domanda principale del ricorso era, come ampiamente precisato dal ricorrente, relativa al risarcimento danno per inadempimento dell’ente all’obbligo su di esso gravante, secondo la normativa convenzionale, di comunicargli mensilmente il numero delle scelte, revoche delle stesse, etc. (ergo il numero degli assistibili), facendogli presente solo nel 1994 che dal 1983 al 1994 il numero dei cittadini che lo avevano scelto come medico di base aveva superato il massimale stabilito. Da tale inadempimento sarebbe derivato un danno rappresentato dall’aver dovuto effettuare, senza esserne consapevole, prestazioni professionali nei confronti di assistibili, per i quali non gli sarebbe stato erogato alcun compenso.

Tale domanda era stata accolta dal giudice di primo grado.

In sede di appello promosso dalla Regione Lazio, l’appellato aveva eccepito (come dimostra riproducendo il contenuto della sua memoria in appello sul punto) l’inammissibilità dell’appello per avvenuto consolidamento dell’accertamento di primo grado, in ragione del fatto che l’appellante avrebbe investito quest’ultimo con censure non pertinenti, in quanto esclusivamente relative alla insussistenza del diritto del medico al compenso per gli assistiti in carico eccedenti la quota individuale fissata per legge. In assenza, infatti, della autorizzazione prescritta per poter superare il normale massimale di assistibili, a lui non spetterebbe alcun compenso aggiuntivo e quindi egli non potrebbe lamentare alcun danno da risarcire.

Di tale eccezione di inammissibilità dell’appello, effettivamente risultante agli atti dell’appello, consultagli da questo giudice di legittimità in considerazione del tipo di censura svolta, la sentenza impugnata non da alcun conto, omettendo ogni pronuncia, violando la regola di cui all’art. 112 di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La Corte territoriale si limita infatti ad affermare, in accoglimento dell’appello quanto alla domanda principale, che “essendosi perfezionato il rapporto professionale del medico con la U.S.L. con la piena consapevolezza ed accettazione da parte di entrambe le parti che gli accordi collettivi nazionali hanno espressamente previsto un massimale per gli assistiti, nessuna pretesa contrattuale può essere avanzata dal medico che abbia, come nella fattispecie di cui è causa, prestato la sua attività professionale in favore di assistiti eccedenti il numero massimo consentito dalla legge, fatta eccezione per l’ipotesi di deroga autorizzata, prevista dalla legge (L. n. 833 del 1978, art. 48, comma 5) “in relazione a particolari situazioni locali”. La sentenza conclude al riguardo che “pertanto il mancato pagamento di presunte prestazioni svolte dal sanitario nei confronti di assistiti eccedenti il massimale non costituisce un legittimo presupposto per vantare, in sede giudiziale, un diritto che, in applicazione delle regole di interpretazione dei contratti, non è riconosciuto”.

E’ evidente che la motivazione indicata si riferisce ad una domanda di adempimento dell’obbligo di pagare prestazioni professionali effettuate nei confronti di assistitali eccedenti il massimale che il ricorrente non ha mai svolto in giudizio e non affronta il tema centrale su cui fonda la richiesta di risarcimento danni da parte del medico.

Per tali ragioni e nei limiti che ne risultano, i primi due motivi di ricorso vanno accolti e la sentenza va corrispondentemente cassata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma.

P.Q.M.

La Corte accoglie nei limiti indicati in motivazione, i primi due motivi di ricorso, con assorbimento del resto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2011

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