Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22005 del 17/10/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 22005 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 9959-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;
ricorrente 2014
2548

contro
BRANDCARS SRL in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.
CACCINI 1, presso lo studio dell’avvocato VAGNOZZI
DANIELE, che lo rappresenta e difende unitamente agli
avvocati TARABINI GIORGIO, ANDREINA DEGLI ESPOSTI

Data pubblicazione: 17/10/2014

giusta delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 92/2007 della COMM.TRIB.REG. di
TRIESTE, depositata il 10/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DI MATTEO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udienza del 02/07/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO

994-99

Svolgimento del processo
La Brandcars s.r.l. impugnò un avviso di accertamento
dell’agenzia delle entrate, ufficio di Pordenone, col
quale era stata contestata, per quanto di interesse in
questa sede, l’indetraibilità dell’Iva in relazione a

fatture emesse dalla società Cosmo Service, concernenti
operazioni soggettivamente inesistenti.
Radicatosi

il

contraddittorio,

l’adita

commissione

tributaria provinciale respinse il ricorso.
La sentenza venne riformata,

in parte qua,

della

commissione tributaria regionale del Friuli.
La commissione tributaria regionale ritenne gravare
interamente sull’amministrazione l’onere della prova della
partecipazione della società alla frode perpetrata a mezzo
dell’interposizione di una cd. cartiera (tale essendo
stata, secondo l’amministrazione medesima, Cosmo Service
all’interno di una ipotizzata frode carosello).
Ritenne

invece

la contribuente tenuta a provare

semplicemente l’effettività della transazione commerciale
e il pagamento dell’imposta.
In questo senso affermò che l’onere della prova, come
sopra determinato in capo all’amministrazione, non fosse
stato assolto.
Contro la sentenza d’appello, depositata il 10 gennaio
2008 e non notificata, l’amministrazione ha proposto
ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L’intimata ha replicato con controricorso.

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Motivi della decisione
I. – Con i motivi di ricorso l’amministrazione deduce:
(i) violazione degli artt. 17, 19 e 21 del d.p.r. n. 633
del 1972 e dell’art. 2697 c.c., sostenendo che, al
contrario di quanto affermato in sentenza, non era
richiesta, ai fini della indetraibilità dell’Iva rispetto

a fatture soggettivamente inesistenti, una prova specifica
della consapevole partecipazione del contribuente alla
frode, in quanto, in casi del genere, il contribuente, per
ottenere

il

diritto

alla

detrazione,

non poteva

trincerarsi dietro la semplice dichiarazione di buona
fede.
(ii) contraddittoria e insufficiente motivazione della
sentenza, nella misura in cui la commissione tributaria
regionale avrebbe inteso porre in dubbio l’esistenza
dell’accordo fraudolento intercorso tra le società
intervenute a monte della frode carosello (la Universal e
la Cosmo Service), seppur dando per scontata, poi,
l’avvenuta realizzazione dell’accordo stesso in vista
dell’affermazione

di

inesistenza

soggettiva

delle

operazioni fatturate;
(iii)

insufficiente motivazione della sentenza nella

misura in cui la commissione tributaria regionale avrebbe
valorizzato il dubbio di cui sopra al fine di ritenere le
relative circostanze inidonee a far presumere il
coinvolgimento nella frode della società Brandcars, senza
dar conto delle ragioni in forza delle quali andava
disatteso il complesso degli elementi probatori forniti

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dall’ufficio a mezzo del verbale di constatazione prodotto
in giudizio;
(iv) omessa motivazione della sentenza in ordine ai
seguenti specifici elementi indiziari: (a) l’essersi la
Brandcar rivolta a una società, quale Cosmo Service,
neocostituita, sconosciuta e priva di esperienza nel

settore; (b) l’essere stati gli acquisti di autovetture
effettuati tutti nell’arco di un anno, trascorso il quale
la Cosmo Service aveva cessato l’attività; (c) l’essere
stato il contegno di Cosmo Service improntato a
irrazionalità e antieconomicità, come rivelato dalla
sistematica sottofatturazione delle merci vendute; (d)
l’essere stata Brandcars la prima cessionaria della Cosmo
Service, così da potersi rendere conto della natura
fittizia della medesima;
(v) violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 in
ordine all’affermazione secondo la quale non poteva
affermarsi che le vendite di Cosmo Service fossero
avvenute a prezzi “fuori mercato”, giacché la circostanza,
esplicitamente dedotta nell’avviso di accertamento, non
contestata dinanzi al giudice di primo grado, era stata
introdotta per la prima volta in appello;
(vi) omessa motivazione della sentenza al riguardo del
giudizio in tal

senso espresso dalla commissione

tributaria regionale, dal momento che la commissione,
affermando che la contribuente aveva fornito “cospicui
elementi documentali

(..) di una realtà del tutto

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opposta”, aveva omesso di indicare da quali documenti era
stata tratta una simile affermazione.
Il

ricorso,

i cui motivi possono essere

congiuntamente esaminati perché connessi, è da ritenere
fondato nei limiti della prima, della terza, della quarta
e della sesta censura.

Difatti la seconda è infondata nel presupposto, mentre la
quinta resta assorbita dalle considerazioni che seguono.
III. – E’ posta, in linea generale, l’annosa questione
della ripartizione dell’onere della prova in fattispecie
in cui l’amministrazione abbia contestato la indebita
detrazione dell’Iva in ragione della inesistenza
soggettiva delle operazioni commerciali.
A tal proposito, e a dispetto di quanto ipotizzato col
secondo motivo di ricorso, non è dubitabile che
l’impugnata sentenza abbia previamente stabilito la
falsità, sul piano subiettivo, delle operazioni

de quibus,

essendo netta l’affermazione altrimenti inutile
secondo cui l’ “elemento cardine dell’intero processo” era
costituito (semplicemente) dal “ruolo svolto dalla società
ricorrente nelle operazioni commerciali in questione”.
Il senso dell’affermazione della sentenza non può essere
altro che questo: essendo pacifico che nella catena delle
operazioni commerciali, la fatturazione si inscriveva in
una combinazione fraudolenta a tipo di frode carosello, in
cui la prestazione non era stata eseguita dal soggetto
emittente la fattura e percipiente l’Iva in rivalsa (Cosmo
Service), e posto che l’Iva sulla compravendita delle

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autovetture era stata comunque assolta dall’acquirente
Brandcars, l’oggetto del processo coinvolgeva non già la
circostanza – giustappunto pacifica – della esistenza
della frode perpetrata dai soggetti coinvolti nella catena
di cessione (Universal e Cosmo Service), quanto piuttosto
la circostanza della consapevole partecipazione a detta

frode della società cessionaria.
L’impugnata sentenza ha concluso in senso negativo,
movendo dall’affermazione che “al contribuente non può
porsi a carico altro se non di provare la effettività
della transazione ed il pagamento dell’imposta giacché la
prova che il dante causa è solvibile (o meglio, intende
assolvere a sua volta all’Iva), che ha una consistenza sul
piano organizzativo, strutturale, e commerciale e che non
costituisce mera “cartiera”, è prova che, materialmente,
nessun avente causa è in grado di fornire. Si tratterebbe
in buona sostanza di fornire una prova negativa di non
essere colluso”.
In consecuzione, l’impugnata sentenza ha valutato come non
probanti alcuni elementi tratti dal verbale di
constatazione della guardia di finanza circa (a) il ruolo
delle persone fisiche agenti per conto delle società
intervenute nella catena di cessione (Francesco Renato,
per Universal, e Basili Lucchi, per Cosmo Service), (b) la
riconducibilità ad apposita richiesta di Universal della
decisione della cessionaria di trattare gli acquisti con
Cosmo Service, (c) la viltà dei prezzi di cessione

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praticati in rapporto ai valori di mercato delle
autovetture.
IV.

Sennonché

la

premessa

giuridica

svolta

dall’impugnata sentenza è errata, in quanto basata su una
petizione di principio; mentre la valutazione degli
elementi

di

fatto

della

controversia,

effettuata

l’atteggiarsi della fattispecie,

atomisticamente e in scarsa coordinazione logica con
è insufficiente in

rapporto a ciò che, invece, il giudice del merito avrebbe
dovuto accertare.
V.

Sul tema delle fatturazioni per operazioni

soggettivamente inesistenti, il più recente orientamento
manifestatosi in sede comunitaria (cfr. c. giust. 31-12013 in C-642/111, 6-12-2012 in causa C-285/11, 21-6-2012
nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11) è nel senso che il
diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’Iva di cui
sono debitori l’Iva dovuta o versata a monte per i beni
acquistati e per i servizi loro prestati, essendo
principio fondamentale del sistema comune dell’Iva, non è,
in linea di principio, suscettibile di limitazioni.
E’ stato su questa linea anche precisato che (v. in
particolare c. giust. 6-12-2012 in causa C-285/11 e c.
giust. 21-6-2012 nelle cause riunite C- 80/11 e C-142/11),
ai fini della detrazione, non è rilevante stabilire se
l’Iva dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o
successive, riguardanti i beni interessati, sia stata, o
meno, versata all’erario, in quanto l’Iva si applica a
qualsiasi operazione di produzione o distribuzione,

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detratta l’imposta gravante direttamente sul costo dei
diversi elementi costitutivi del prezzo.
Ciò nondimeno, con le medesime citate decisioni è stato
pure con chiarezza evidenziato che per poter beneficiare
del diritto alla detrazione comunque occorre, tra l’altro,
che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano

stati forniti, a monte, da un altro soggetto (passivo)
Iva. Evenienza codesta che non si riscontra
nell’ipotesi in cui la prestazione rappresentata nella
fatture risulti eseguita da soggetto diverso
dall’emittente la fattura.
Inoltre, è stato precisato che, al fine della lotta alle
evasioni, alle elusioni e agli abusi (costituente
obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva
comunitaria 2006-112/CE), è sempre consentito agli Stati
membri stabilire, nel rispetto della parità di trattamento
tra le situazioni di diritto interno e quelle di diritto
comunitario e a condizione che non si dia luogo a
formalità connesse con il passaggio di una frontiera,
altri obblighi ritenuti necessari ad assicurare l’esatta
riscossione dell’Iva e a evitare le evasioni (cfr. ancora
c. giust. 6-12-2012 in causa C-285/11; e anche ben vero c.
giust. 21-6-2012 nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11).
Sicché, in tale prospettiva, resta netta l’affermazione
che è infine demandato alle autorità nazionali negare il
diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di
elementi oggettivi, e conformemente alle norme nazionali

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sull’onere della prova, che lo stesso diritto è invocato
fraudolentemente o abusivamente.
VI. – La conseguenza concreta ritraibile dai superiori
principi è la seguente.
Se da un parte non è compatibile con il regime del diritto
alla detrazione negare il diritto al soggetto passivo che

non sapeva e non avrebbe potuto sapere in base
all’ordinaria diligenza che l’operazione interessata si
inscriveva in un’evasione commessa dal fornitore, o che
altra operazione nell’ambito della catena delle cessioni,
precedente o successiva a quella realizzata da detto
soggetto passive, era stata viziata da evasione dell’Iva
(giacché l’istituzione di un sistema di responsabilità
oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per
garantire i diritti dell’Erario (cfr. esplicitamente c.
giust. 31-1-2013 in C-642/111, con richiamo alle altre
suddette decisioni), conforme al diritto comunitario deve,
invece, ritenersi negare a un soggetto passivo il diritto
medesimo qualora risulti, alla luce di elementi oggettivi
e sulla base delle norme nazionali sull’onere della prova,
che quel soggetto passivo, al quale sono stati ceduti o
forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto
alla detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso
dell’ordinaria diligenza, che, con il proprio acquisto,
partecipava a un’operazione inscritta in evasione
dell’Iva, commessa dal fornitore o da un altro operatore
intervenuto a monte o a valle nella catena di tali
cessioni o prestazioni.

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VII. – In coerenza con tale regola comunitaria, questa
corte ha avuto modo di affermare il seguente principio di
diritto.
In ipotesi di fatturazione per operazione soggettivamente
inesistente risolventesi nella diretta acquisizione della
prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso

fattura e percepito l’Iva in rivalsa, la prova che la
prestazione non è stata effettivamente resa dal
fatturante, perché sfornito di dotazione personale e
strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce, di
per sé, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di “buona
fede” del contribuente, poiché l’immediatezza dei rapporti
(cedente o prestatore – fatturante – cessionario o
committente) induce ragionevolmente a escluderne
l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento
dell’Iva a soggetto non legittimato alla rivalsa, né
assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con
l’effetto che, in tal caso, sarà il contribuente a dover
provare di non essere stato a conoscenza del fatto che il
fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non
il fatturante, ma altro soggetto, altrimenti dovendosi
negare il diritto alla detrazione dell’Iva versata (v.
Cass. n. 6229-13).
Può qui aggiungersi che non si tratta, ovviamente, di
un’inversione dell’onere della prova in ordine ai fatti
costitutivi della pretesa, non confacente alla regola
generale di riparto di cui all’art. 2697 c.c., quanto
piuttosto della normale dialettica tra prova e controprova

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che presidia il corretto delinearsi di un rapporto tra
parti processuali.
Sicché,

in

sostanza,

il

principio

completa,

condivisibilmente, il quadro delle affermazioni rilevanti
in ordine alla ripartizione dell’onere della prova in casi
del genere, in cui sia negato il diritto alla detrazione

per essere le fatture relative a operazioni
soggettivamente inesistenti.
Difatti, potendo l’onere essere assolto anche mediante
l’uso di presunzioni (v., nella sostanza, Cass. n. 2356012), rileva poi il fatto che, nelle ipotesi più semplici,
consistenti – come nella specie – in operazioni di tipo
triangolare, l’onere medesimo – per quanto certamente
incombente all’amministrazione (diversamente da quanto
sostenuto nel primo motivo dell’odierno ricorso) – può
esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova
che il soggetto interposto è privo di dotazione personale
e organizzativa (v. Cass. n. 24426-13), così da indurre
ragionevolmente a escludere l’ignoranza incolpevole del
contribuente in merito all’avvento versamento dell’Iva a
chi non era legittimato alla rivalsa.
VIII. – Appare di tutta evidenza che la decisione
impugnata non è in linea coi citati principi, essendo
basata sull’infondata premessa – tratta dall’apodittica
sottolineatura di un’impossibilità di assolvimento – che,
finanche in casi di operazioni triangolari semplici, e
finanche ove siano stati indicati elementi per affermare
l’inconsistenza strutturale del soggetto emittente la

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fattura, nessun onere probatorio aggiuntivo incomberebbe
al contribuente che assumesse di detrarre l’Iva risultante
dalla

fatturazione;

il

quale

quindi

potrebbe

legittimamente limitarsi a provare la effettività della
transazione commerciale e il pagamento dell’imposta.
Così decidendo, tuttavia, il giudice d’appello ha mancato

di valutare gli elementi di causa al fine di accertare,
invece, se ricorressero – in base a quanto evidenziato
dall’amministrazione

gli elementi indice di una

situazione anomala dell’emittente la fattura, tale da
allertare un operatore mediamente esperto e da escludere,
per tale via, l’esistenza della necessaria condizione
ignoranza incolpevole.
Ne deriva che l’impugnata sentenza va cassata.
Segue il rinvio della causa alla medesima commissione
tributaria regionale, diversa sezione.
Questa provvederà ai conferenti accertamenti uniformandosi
al principio di diritto esposto al superiore punto VII.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese relativo
al giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
p.q.m.
La Corte accoglie il primo, il terzo, il quarto e il sesto
motivo, rigetta il secondo e dichiara assorbito il quinto;
cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti
e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione,
alla commissione tributaria regionale del Friuli.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta
sezione civile, addì 2 luglio 2014.

11

ANIENT£ DA REGISTICAZIONe
AI SENSI DEL D.RR. 26/4/1946

N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5
MATE TRIBUTARIA

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