Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22003 del 17/10/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 22003 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 8425 2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente 2014
2546

contro
PESCA SPORTIVA CON RISTORO ISOLA VERDE DI TIENGO
VITTORINO & C. SAS in persona del Socio accomandatario
e del Socio accomandante, DOLCETTO ROBERTA, TIENGO
VITTORINO, elettivamente domiciliati in ROMA VIA
SAVASTANO 20, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

Data pubblicazione: 17/10/2014

DE STEFANO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FRANCO PORTESAN giusta delega a margine;
– controrícorrenti avverso la sentenza n. 71/2006 della COMM.TRIB.REG. di
VENEZIA, depositata il 30/01/2007;

udienza del 02/07/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DI MATTEO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato DE STEFANO
che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
raccoglimento per quanto di ragione del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

8425-08

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 30 gennaio 2007 la commissione
tributaria regionale del Veneto ha confermato la decisione
con la quale la commissione tributaria provinciale di
Rovigo aveva accolto cinque ricorsi proposti dalla Isola

Verde s.a.s. e dai soci Vittorino Tiengo e Roberta
Dolcetto, avverso altrettanti avvisi di accertamento di
maggiori ricavi per gli esercizi 1997 e 1998, ai fini
dell’imposte dirette e dell’Iva.
La ricostruzione dei ricavi era avvenuta in applicazione
dei parametri e degli studi di settore.
La commissione tributaria regionale ha motivato la
decisione ritenendo gli avvisi (i) affetti da vizio di
motivazione, non essendo stati specificati i parametri
concretamente utilizzati nella ricostruzione del reddito
d’impresa, e (ii) infondati nell’applicazione di studi non
ancora in vigore all’epoca dei fatti; in ogni caso (iii)
ha infine ritenuto gli avvisi medesimi comunque
adeguatamente contraddetti dall’esistenza delle addotte
difficoltà economiche e ambientali nelle quali la società
si era trovata a operare, tenuto conto che una discarica
attiva aveva reso problematico l’esercizio dell’attività
sociale di pesca sportiva con ristorazione.
L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione
deducendo sette motivi.
Gli intimati – società e soci – hanno resistito con
controricorso.

1

Motivi della decisione
I. – Il ricorso è infondato con specifico riferimento al
primo motivo, il cui esame si rivela assorbente nel senso
che segue, così da rendere superfluo lo scrutinio dei
restanti mezzi.
Col primo motivo, invero, A4

attinge la

ratio decidendi

mercé la quale la commissione tributaria ha confermato
l’annullamento dell’atto per vizio di motivazione.
Viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli
artt. 42 del d.p.r. n. 600 del 1973, 7 della l. n. 212 del
2000 e 3 della l. n. 241 del 1990.
Si afferma che l’avviso di accertamento possiede carattere
di provocatio ad opponendum e che in tal limitato senso
l’atto soddisfa l’obbligo di motivazione ogni volta che il
contribuente sia stato posto in grado di conoscere la
pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali. Da qui
l’amministrazione assume che, nel caso di specie,
l’obbligo di motivazione andava ritenuto soddisfatto dal
semplice riferimento dell’atto al procedimento di
applicazione dei parametri ex art. 3, commi dal 181 al
189, della 1. n. 549-95.
Osserva di contro il collegio che il motivo è infondato
nell’affermazione di principio che lo sorregge ed è infine
anche inammissibile per difetto di autosufficienza.
– Occorre partire dalla precisazione che, sebbene
ancora richiamata da alcune pronunce (tra gli ultimi
riferimenti al principio v., ben vero con opportune
limitazioni condizionanti e, in parte, contrastanti, Cass.

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n. 7360-11; n. 20054-06), la teoria dell’accertamento
tributario come

provocati° ad opponendum

può ritenersi

pressoché espunta dal più recente e accorto panorama
giurisprudenziale.
Diversamente da quanto affermato dalla ricorrente,
l’avviso di accertamento – comunque composto nella sua

motivazione (a differenza di quanto invece ritenuto dalle
meno recenti sentenze di questa corte) – non può essere
qualificato alla stregua di mezzo semplicemente
finalizzato a indurre il destinatario ad avvalersi dei
rimedi processuali oppositori.
Non può esserlo, in particolare, dopo che la riforma del
processo tributario del 1992 ha eliminato ogni spazio di
contiguità tra le commissioni tributarie e
l’amministrazione erariale. La

provocati° ad opponendum

postula invero l’identità (magari per comune scaturigine)
dell’organo emittente l’atto opponibile e dell’organo
chiamato a decidere sull’opposizione.
E non può esserlo dopo l’emanazione, nel 2000, dello
statuto dei diritti del contribuente, che ha
definitivamente sancito, mediante l’art. 7, la funzione
specifica della motivazione degli atti tributari secondo
quanto prescritto dall’art. 3 della 1. n. 241 del 1990.
Di contro l’avviso di accertamento, nella
combinazione dei dati normativi appena citati, è oggi
costruito come atto terminale di un ben preciso
procedimento amministrativo, l’esito del quale deve
trovare riscontro nella motivazione dell’atto stesso,

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mediante indicazione dei presupposti di fatto acquisiti e
delle ragioni giuridiche della pretesa fiscale.
Tenuto conto dell’importanza che il profilo riveste anche
in prospettiva futura (essendo il sistema fiscale oramai
orientato nel senso dell’immediata esecutorietà

soffermarsi ulteriormente in ordine a esso, precisando
quanto segue.
Il fine precipuo della motivazione è senza dubbio, come
spesso questa corte ha avuto modo di osservare, quello di
salvaguardare il diritto di difesa del contribuente, che
IN” 1~.

Irtekev..

4ikevjr0.

resta inciso dall’atto gaboomidtntee».
l

Ma deve aversi in chiaro che su codesto fine non può dirsi
esaurita la questione motivazionale dell’atto tributario.
Il fine di salvaguardia del diritto di difesa è certamente
essenziale, in quanto la motivazione dell’atto delimita
l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella
successiva fase processuale contenziosa, nella quale il
contribuente, nell’esercizio di quel diritto di difesa,
può chiedere la verifica dell’effettiva correttezza della
pretesa enunciata nell’atto (v. di recente Cass. n. 981014).
La necessaria specificità della motivazione dell’atto
impugnato è una naturale conseguenza, perciò, dell’onere
del contribuente di enunciare con la dovuta specificità i
motivi di ricorso (art. 18 del d.lgs. n. 546-92), essendo
quello tributario un processo impugnatorio (ancorché, come
si dice, di impugnazione-merito).

4

ki

dell’avviso di accertamento), reputa il collegio di

L’essere il processo impugnatorio implica che è esclusa la
cognizione del rapporto obbligatorio al di fuori dell’atto
che sia stato emesso e che sia stato impugnato (v. da
ultimo, per utili riferimenti, Cass. n. 10059-14).
Per cui, in definitiva, l’onere del contribuente di
enunciare i motivi di ricorso a pena di inammissibilità

suppone che la motivazione dell’atto a sua volta consenta
l’enunciazione di quegli specifici motivi di gravame, in
quanto il gravame processuale avverso l’atto suppone
desumibili argomentazioni fatte valere in contrapposizione
a quelle evinte dall’atto che si impugna.
Tutto questo conferma la funzione precipua della
motivazione dell’atto quale elemento inteso a garantire
una corretta dialettica tra l’amministrazione e il
contribuente nel processo.
Ma è da sottolineare che con la funzione suddetta ne
concorre un’altra, autonoma e non recessiva, direttamente
associata al principio di buona amministrazione, che, al
pari del principio di imparzialità, afferisce (art. 97
cost.) al corretto formarsi dell’azione amministrativa in
sé. Il principio di buona amministrazione esige che
l’azione amministrativa risulti esplicata in modo
.04/”.
dell’interesse
appropriato Vvista
perseguimento
del
presidiato dalla legge.
Ebbene, in questo senso, non è casuale che l’art. 7 della
l. n. 212 del 2000, richiamando l’art. 3 della legge n.
241 del 1990, abbia imposto all’amministrazione erariale
di motivare i suoi provvedimenti indicando i presupposti

5

di fatto e le ragioni giuridiche “della decisione” in
concreto assunta.
Il legislatore ha così chiaramente manifestato l’intento
di costruire la motivazione, non come enunciazione mera di
una pretesa soggetta a verifica processuale (id est, quale
causa petendi del futuro giudizio inteso a valutarla, come

in sostanza ritenuto dall’amministrazione nel suo
ricorso), ma come ratio di una decisione assunta all’esito
di una istruttoria (potremmo dire) primaria, svolta nella
fase procedimentale e finalizzata, per il principio di
buona amministrazione, ad assicurare la realizzazione di
un’azione (amministrativa) efficiente e congrua. Di
un’istruttoria, cioè, che appunto in vista di tale
obiettivo deve precedere l’emissione dell’atto, e di cui,
quindi, l’atto finale deve dar conto, seppure in relazione
agli esiti finali del procedimento, compendiabili nei
presupposti di fatto riscontrati e nella enunciazione
delle ragioni giuridiche da cui l’azione possa dirsi
sostenuta.
In questa prospettiva generale, l’atto impositivo disvela
il nesso corrente tra la norma tributaria e l’obbligazione
affermata esistente nella situazione concreta, onde
circoscrivere la materia del contendere che, invece, sarà
oggetto di prova nel processo. Invero – e anche questo va
precisato – nel processo l’amministrazione deve riversare,
ex artt. 23 e 32 del d.lgs. n. 546 del 1992, gli elementi
di prova richiamati nell’atto impositivo e può dedurne di

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nuovi nei limiti del principio di consequenzialità in
rapporto agli avversi motivi di ricorso.
Tutto quanto esposto costituisce la ragione di fondo per
cui non è accettabile, neppure per comodità descrittiva,
l’equazione da cui la ricorrente ha preso avvio nel caso
di specie, secondo la quale la motivazione dell’atto

dovrebbe adempiere alla ben più limitata funzione della
provocati° ad opponendum.

IV. – Ora, vi è che la commissione tributaria regionale ha
confermato l’annullamento degli avvisi di accertamento di
cui è causa innanzi tutto sottolineandone la carenza di
motivazione “nel non specificare a quali parametri ci si
[era] riferiti per porre in essere gli avvisi”.
La valutazione postula un accertamento di fatto che, in
linea generale, è coerente con l’insegnamento di questa
corte, secondo il quale l’accertamento tributario
standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli
studi di settore costituisce un sistema di presunzioni
semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è
ex lege

determinata dallo scostamento del reddito

dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri
strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica
della normale redditività – ma nasce solo in esito al
contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la
nullità dell’accertamento, con il contribuente (v.
soprattutto sez. un. n. 26635-09).
In tale contesto si è più volte affermato che la
motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi

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nell’enunciazione del parametro e nel rilievo dello
scostamento, ma va integrata con la dimostrazione
dell’applicabilità in concreto dello

standard prescelto,

che quindi va specificamente enunciato unitamente alle
ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni
sollevate dal contribuente (v. tra le tante Cass. n.

Nella

specie

l’amministrazione

assume

che

11633-13; n. 4148-09; n. 23602-08).
il

contraddittorio era stato attivato, ma che semplicemente
non aveva avuto l’esito dell’adesione del contribuente.
Ne consegue che, valutata in un simile contesto di
risultanze, l’affermazione del giudice di merito non
contrasta giuridicamente con la giurisprudenza della
corte.
Semmai l’amministrazione, avendo censurato la sentenza
della commissione tributaria regionale sotto il profilo
della congruità del giudizio costì espresso in ordine alla
motivazione dell’avviso,

doveva rendere il ricorso

autosufficiente sullo specifico profilo, ex art. 366
c.p.c.,

riportando

innanzi

tutto

la

motivazione

dell’avviso in concreto adottata, al fine di consentirne
una verifica di congruità in base al ricorso medesimo.
L’avviso, infatti, non è un atto processuale, bensì appunto – un atto amministrativo (v.

ex plurimis Cass. n.

9536-13; n. 8312-13). E la legittimità del medesimo è
necessariamente

integrata

dalla

motivazione

dei

presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a
suo fondamento.

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MENTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P-R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5
NOTERIATRUNSIMA
V. – Stando così le cose, il primo motivo dell’odierno
ricorso va rigettato.
Restano assorbiti tutti i restanti motivi, giacché la
sentenza resta ferma in base alla citata ratio decidendi rivelatasi esatta – implicante la nullità dell’atto per

La difficoltà della questione giuridica affrontata, ancora
attuale e al centro di non sopiti dibattiti, giustifica la
compensazione delle spese processuali.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese
processuali.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta

vizio della motivazione.

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