Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22002 del 13/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/10/2020, (ud. 18/04/2019, dep. 13/10/2020), n.22002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. MUCCI Robert – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 14611/2017 proposto da:

IDROENERGIA S.C.R.L., incorporata per fusione da COMPAGNIA VALDOSTANA

DELLE ACQUE TRADING S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio n. 43,

presso lo studio degli Avv. Paolo Puri e Alberto Mula che, anche

disgiuntamente, la rappresentano e difendono giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 393/17 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

DEL VENETO, depositata il 20 marzo 2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

aprile 2019 dal Cons. ROBERTO MUCCI;

udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale DE

RENZIS LUISA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avv. ALBERTO MULA;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato dello Stato FRANCESCA

SUBRANI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La CTR del Veneto ha rigettato il gravame interposto da Idroenergia s.c.r.l. – società consortile che gestisce un impianto di autoproduzione di energia elettrica ceduta ai consorziati, poi incorporata da Compagnia Valdostana delle Acque Trading s.r.l. avverso la sentenza della CTP di Treviso di rigetto del ricorso della società avverso due avvisi di pagamento dell’anno 2008, relativi alle province di Treviso e Belluno, per omesso versamento dell’accisa relativa all’energia elettrica autoprodotta da fonti rinnovabili, ma non autoconsumata bensì commercializzata; gli avvisi erano stati emessi a seguito del mutamento di indirizzo circa la nozione di autoproduttore rilevante nella specie, avendo l’amministrazione finanziaria ritenuto non applicabile l’esenzione del pagamento dell’accisa D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, ex art. 52, comma 3, lett. b) (T.U. accise), sicchè era stato richiesto il pagamento dell’accisa e degli interessi sulle somme non pagate, ma non delle sanzioni in applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10.

2. Ha ritenuto, in sintesi, la CTR: i) non maturata la prescrizione quinquennale della pretesa fiscale, decorrendo essa dalla data di presentazione della dichiarazione annuale relativa al consumo; ii) inapplicabile nella specie la nozione di autoproduttore di cui al D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 (cd. decreto Bersani di liberalizzazione del settore elettrico), con conseguente legittimità del mutamento di indirizzo amministrativo circa la non spettanza dell’agevolazione in questione ai consorzi che somministrino l’energia ai consorziati; iii) inapplicabile la L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 11, ai fini del chiesto annullamento del recupero d’imposta, non sovvenendo nella specie un formale interpello specificamente concernente la non debenza dell’imposta.

3. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Idroenergia affidato a tre motivi, illustrati con memoria, cui replica l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso, appare utile una rapida ricognizione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie, anche a seguito delle modifiche al T.U.A. conseguenti alla attuazione, con D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26 e a far data dal 1 giugno 2007, della Dir. n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. La normativa in questione non ha subito modifiche rilevanti in questa sede ad opera del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella L. 26 aprile 2012, n. 44.

4.1. Ai sensi dell’art. 52 T.U.A., comma 1, “l’energia elettrica (codice NC 2716) è sottoposta ad accisa, con l’applicazione delle aliquote di cui all’allegato I, al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per l’energia elettrica prodotta per uso proprio”.

Obbligati al pagamento dell’accisa sono, tra gli altri, anche “gli esercenti le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio” (art. 53 T.U.A., comma 1, lett. b),), purchè non esclusi dal pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 52 T.U.A., comma 2. Per quanto qui interessa, non è sottoposta ad accisa solo l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza non superiore a 20 kW” (art. 52 T.U.A., comma 2, lett. a).

L’officina di produzione è “costituita dal complesso degli apparati di produzione, accumulazione, trasformazione e distribuzione dell’energia elettrica esercitati da una medesima ditta, anche quando gli apparati di accumulazione, trasformazione e distribuzione sono collocati in luoghi distinti da quelli in cui si trovano gli apparati di produzione, pur se ubicati in comuni diversi” (art. 54 T.U.A., comma 1).

I soggetti obbligati al pagamento delle accise e, in particolare, gli esercenti officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, “hanno l’obbligo di denunciare preventivamente la propria attività all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane competente per territorio e di dichiarare ogni variazione (…)” (art. 53 T.U.A., comma 4). A seguito della denuncia, l’ufficio competente, verificata la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge ed effettuati i necessari controlli, rilascia alle officine di produzione di energia elettrica una licenza di esercizio (art. 53 T.U.A., comma 7) e queste ultime sono tenute a presentare, entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce, “una dichiarazione di consumo annuale, contenente, (…), tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito d’imposta relativo ad ogni mese solare, nonchè l’energia elettrica prodotta, prelevata o immessa nella rete di trasmissione o distribuzione” (art. 53 T.U.A., commi 8 e 9).

Ai sensi dell’art. 55 T.U.A., comma 1, l’accertamento e la liquidazione dell’accisa sono effettuati proprio sulla base della menzionata dichiarazione di consumo annuale, mentre “il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo”, salva la sussistenza di fatti illeciti (art. 57 T.U.A., comma 2).

Infine, ai sensi dell’art. 52 T.U.A., comma 3, lett. b), è esentata da accise l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.

4.2. La formulazione della disposizione riprende, sostanzialmente, il testo della L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 10, comma 6, che, con riferimento alle addizionali erariali, così recita: “Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui al Protocollo sui cambiamenti climatici, adottato a Kyoto il 10 dicembre 1997, l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, consumata dalle imprese di autoproduzione e per qualsiasi uso in locali e luoghi diversi dalle abitazioni è esclusa dall’applicazione delle addizionali erariali (…)”. Le menzionate addizionali erariali sono state poi abrogate dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 28, comma 1, che, peraltro, estende all’imposta erariale di consumo di cui all’art. 52 T.U.A. “tutte le agevolazioni previste, fino alla data di entrata in vigore della presente legge, per l’addizionale erariale sull’energia elettrica” (L. n. 388 del 2000, art. 28, comma 3), con disposizione poi assorbita dalla nuova formulazione dell’art. 52 T.U.A., conseguente alla novella di cui al citato D.Lgs. n. 26 del 2007.

4.3. Il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, attuativo della Dir. n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, stabilisce che, agli effetti del menzionato decreto, “Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonchè per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

5. Dalla lettura coordinata delle norme sin qui citate si evince che, ai fini della presente controversia, tutte le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio sono soggetti obbligati al pagamento delle accise e devono denunciare preventivamente la propria attività, ottenere il rilascio di una licenza di esercizio e depositare annualmente una dichiarazione di consumo.

Sono, dunque, soggetti obbligati al pagamento delle accise anche gli autoproduttori indicati dal D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, e, specificamente, quei soggetti che producono energia elettrica e la utilizzano in misura non inferiore al 70 per cento annuo per uso proprio ovvero per uso degli appartenenti ai consorzi o alle società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.

Invero, sono esentati dal pagamento delle accise unicamente le officine di produzione che producono energia elettrica per uso proprio a condizione che: a) la produzione avvenga con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) detti impianti abbiano una potenza disponibile superiore a 20 kW; c) l’energia autoprodotta venga anche autoconsumata per usi differenti da quello abitativo.

6. Tutto ciò premesso, appare opportuno esaminare preliminarmente il secondo e il terzo motivo di ricorso che investono direttamente l’applicazione delle disposizioni sin qui menzionate.

7. Con il secondo motivo Idroenergia denuncia violazione dell’art. 52 T.U.A., comma 3, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, e degli artt. 2602 ss. c.c., evidenziandosi che la nozione di autoproduttore va correttamente ricavata dal cd. decreto Bersani, non facendovi il T.U.A. alcun riferimento.

7.1. Il motivo è infondato.

7.2. Come già anticipato, la nozione di autoproduzione di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell’art. 52 T.U.A., comma 3, lett. b), i quali non rientrano nella menzionata definizione.

Valgano le seguenti considerazioni: a) il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, afferma che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale; b) le finalità del cd. decreto Bersani, in linea con la Dir. n. 96/92/CE, sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica mentre il T.U.A., come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della Dir. n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della U.E. in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del T.U.A.; c) l’esenzione prevista dall’art. 52 T.U.A., comma 3, lett. b), con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società consortile che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la società consortile ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati (nello stesso senso, sebbene con riferimento alle addizionali locali sull’energia elettrica, Sez. 5, 9 aprile 2014, n. 8293; Sez. 5, 12 settembre 2008, n. 23529), pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa; d) la giurisprudenza riguardante la traslazione delle agevolazioni IVA spettanti alla società consortile sui singoli consorziati attraverso il meccanismo del cd. ribaltamento dei costi e dei ricavi (Sez. 5, 4 ottobre 2018, n. 24320; Sez. 5, 9 febbraio 2018, n. 3166; Sez. 5, 26 luglio 2017, n. 18437) segue uno schema differente, in quanto, nelle fattispecie considerate, il contratto di appalto stipulato dal committente con la società consortile è direttamente imputabile alle società consorziate, con conseguente neutralità del consorzio, che non esercita attività commerciale in proprio; nel caso dell’autoproduzione, invece, è la società consortile a svolgere, legittimamente (cfr. Sez. U, 14 giugno 2016, n. 12190), attività commerciale in proprio e a cedere il prodotto ai consorziati: laddove lo scopo consortile non è certo quello di godere della agevolazione fiscale, ma quello di approvvigionarsi di energia elettrica a costi contenuti.

7.3. A ciò si aggiunga che la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 911, applicabile solo con riferimento all’anno d’imposta 2016 (e, pertanto, non alla presente controversia), ha previsto che “il D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8), in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.

La disposizione richiama pedissequamente solo il decreto Bersani, la art. 2, comma 2, prima parte, includendo, pertanto, nell’esenzione i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, ma non estendendo l’esenzione agli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.

Tale innovazione offre un ulteriore spunto argomentativo per confermare la tesi più sopra sostenuta: l’estensione dell’esenzione alle sole società cooperative di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, implica, a contrario, che i consorzi e le società consortili, già esclusi, rimangono fuori dal campo applicativo della norma anche per gli anni d’imposta successivi al 2016.

7.4. Poichè, nella fattispecie, non è in contestazione che si chieda l’esenzione con riferimento alla sola energia prodotta e ceduta dalla ricorrente in favore dei consorziati (e non anche con riferimento all’energia autoprodotta ed autoconsumata), il motivo proposto non può che essere rigettato.

7.5. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di accise sull’energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kW, beneficia dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b), (nella sua formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 26 del 2007) limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche a quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati”.

8. Con il terzo motivo di ricorso – da esaminare, come detto preliminarmente – si denuncia la violazione degli artt. 15 e 57 T.U.A. evidenziando che il diritto di credito per accise si prescrive in cinque anni dal consumo e che la pretesa si era prescritta già il 31 dicembre 2013 con riferimento al consumo intervenuto nel 2008.

8.1. Il motivo è infondato.

8.2. Secondo un recente arresto di legittimità, cui si intende dare continuità, “il termine quinquennale di prescrizione che, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 57, comma 3, decorre dalla “data in cui è avvenuto il consumo”, va riferito alla data di presentazione della dichiarazione annuale da parte del contribuente-fabbricante, responsabile dell’attuazione del tributo, assumendo rilievo il momento in cui l’Ufficio è posto nelle condizioni di verificare l’adempimento degli obblighi di cui al citato D.Lgs., art. 55, comma 1″.

Tale principio di diritto, sebbene faccia riferimento a disposizioni del T.U.A. nella versione antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 26 del 2007, è sicuramente applicabile anche a seguito della novella, non essendo sostanzialmente mutato il contesto normativo.

8.3. L’art. 57 T.U.A., comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, ricollega il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta, determinato in cinque anni, alla data in cui è avvenuto il consumo, salva la presenza di illeciti penali o amministrativi. Tuttavia, il credito per accisa implica specifici adempimenti del contribuente, obbligatori per legge, rispetto ai quali l’intervento dell’amministrazione doganale risulta solo eventuale: le attività di accertamento necessarie, anche sul piano cronologico, sono, in realtà, demandate al contribuente-produttore, che assume la responsabilità dell’attuazione del tributo.

Ne deriva che l’azione successiva dell’amministrazione si caratterizza come controllo di quanto il contribuente ha realizzato: l’atto di accertamento ha ad oggetto i fatti imponibili non direttamente, ma attraverso un’attività secondaria, propria del contribuente-produttore, che ha, in concreto, quale obbiettivo gli atti posti in essere (od omessi) dal contribuente medesimo.

8.4. In questo contesto, la “data in cui è avvenuto il consumo” si identifica, in termini univoci, in quella in cui è possibile verificare che il contribuente-produttore abbia adempiuto agli obblighi di legge e, dunque, coincide con quella di presentazione della dichiarazione annuale di cui all’art. 55 T.U.A., comma 1, da effettuare entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui il consumo si riferisce.

8.5. Nel caso di specie, pertanto, è solo dalla data fissata per la presentazione di detta dichiarazione che decorre il termine di prescrizione; con la conseguenza che la notificazione dell’avviso di accertamento, pacificamente intervenuta per la società contribuente il 17 marzo 2014, deve ritenersi comunque tempestiva, indipendentemente da ogni questione che coinvolga la cd. scissione soggettiva degli effetti della notificazione (in proposito, si v. Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24822), con conseguente infondatezza della censura.

9. Residua infine il primo motivo, con il quale si Idroenergia denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 11, evidenziando la ricorrente che l’amministrazione doganale ha cambiato il proprio orientamento dopo averle riconosciuto in passato la qualifica di autoproduttore e il relativo regime di esenzione, con conseguente buona fede della ricorrente nel ritenere dovuta l’esenzione; pertanto, un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata del principio dell’affidamento deve condurre all’annullamento della pretesa fiscale, non solo delle sanzioni e degli interessi, se del caso previa remissione della questione alla Corte costituzionale o rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia U.E.

9.1. Il motivo è infondato.

9.2. Secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, “la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, sicchè deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” (Sez. 5, 9 gennaio 2019, n. 370, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Sez. 2, 3 maggio 2018, n. 10499; Sez. 5, 8 febbraio 2017, n. 12635; Sez. 5, 25 marzo 2015, n. 5934; Sez. 5, 3 luglio 2013, n. 16692; Sez. 5, 13 ottobre 2011, n. 21070; Sez. 5, 10 settembre 2009, n. 19479).

9.3. E’ stato altresì precisato che “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicchè, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2” (Sez. 5, 19 maggio 2017, n. 12635; Sez. 5, 18 maggio 2016, n. 10195; Sez. 5, 9 marzo 2012, n. 3757; Sez. 5, 14 febbraio 2002, n. 2133).

Il principio trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite per il quale “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorchè prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sè e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta” (Sez. U, 2 novembre 2007, n. 23031, in motivazione).

9.4. E’ vero che, giusta la valenza generale del principio del legittimo affidamento, è stato anche affermato che i casi di tutela espressamente enunciati dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), vanno considerati quali situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, atteso che la regola è idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Sez. 5, 12 gennaio 2018, n. 620; Sez. 6-5, 14 gennaio 2015, n. 537; Sez. 5, 22 settembre 2003, n. 14000; Sez. 5, 10 dicembre 2002, n. 17576; si v. anche Sez. 5, 22 aprile 2015, n. 8197, che esprime analogo principio pur affrontando la questione unicamente dal punto di vista delle sanzioni).

Tuttavia, come chiarito da Sez. 5, 20 novembre 2013, n. 25966, dire che la L. n. 212 del 2000, art. 10, sia una norma aperta significa unicamente “che la induzione in errore incolpevole del contribuente può essere determinata anche da differenti circostanze di fatto ovvero anche da altre condotte, imputabili ad errore della Amministrazione finanziaria, dalla stessa norma non espressamente considerate”. Si tratta, pertanto, di condotte diverse da quelle tipizzate, vale a dire le errate “indicazioni contenute in atti” dell’Amministrazione ovvero i “fatti (…) conseguenti a ritardi, omissioni od errori” della stessa (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2) o ancora le “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma impositiva” (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3), in presenza delle quali la tutela del legittimo affidamento può venire ad incidere sulla stessa debenza del tributo (si tratta appunto della peculiare ipotesi esaminata da Sez. 5, n. 17576/2002 cit.).

9.5. Situazioni siffatte, in cui la tutela del legittimo affidamento viene ad incidere sulla stessa debenza del tributo, sono caratterizzate da circostanze concrete di natura eccezionale, dovendo escludersi che rientrino in tali ipotesi quelle in cui l’induzione in errore sia da ascriversi ad informazioni fornite dall’amministrazione doganale con atti interpretativi di carattere generale o con erronee prassi applicative: dette ipotesi sono già espressamente contemplate dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, e sono, dunque, inidonee ad esonerare il contribuente dalla obbligazione tributaria (cfr. sempre Sez. 5, n. 25966/2013 cit.).

9.6. Venendo al caso di specie, la società contribuente afferma che in svariati atti dell’amministrazione finanziaria le è stata riconosciuta la qualità di autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili escluso dall’obbligo di pagamento delle accise, così ingenerando il legittimo affidamento della stessa nella menzionata esenzione.

Si tratta, peraltro, di valutazioni che l’amministrazione doganale ha assunto in conseguenza della determinazione del deposito cauzionale (Ufficio delle dogane di Torino del 2 agosto 2000; Direzione regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta del 17 aprile 2009) ovvero in sede di accertamento ispettivo (Ufficio delle dogane di Aosta), atti che già rientrano a pieno regime nella formulazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2.

Nè può darsi specifica rilevanza ad altri provvedimenti (emessi dall’ufficio di Treviso) che nulla dicono in relazione alla questione di cui si discute ovvero si limitano a riconoscere alla ricorrente la qualifica di autoproduttore esentato dal pagamento dell’imposta erariale sul consumo (provvedimento della Direzione regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta del 21 giugno 2005), senza specificare se, ai fini dell’esenzione, l’energia autoprodotta deve essere autoconsumata ovvero può anche essere ceduta ai soci consorziati (questione dirimente, come più sopra evidenziato).

9.7. Le conclusioni della CTR sono, dunque, conformi a diritto, spettando alla società contribuente, in ragione del legittimo affidamento specificamente tutelato dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, unicamente l’esenzione dalle sanzioni e dagli interessi, puntualmente riconosciuta.

9.8. La norma così interpretata non è incostituzionale, perchè al principio, di rilievo costituzionale, del legittimo affidamento fa comunque da contraltare il principio, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonchè gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, già menzionati dalle Sezioni Unite di questa Corte.

9.9. Nè è possibile dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale, tenuto conto che, come evidenziato dalla stessa parte ricorrente, la Corte di Giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento “si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito” (ex multis, C.G.U.E., 14 giugno 2017, in causa C26/16, punto 76; C.G.U.E., 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; C.G.U.E., 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia “il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione” (C.G.U.E., 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; C.G.U.E., 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6).

Rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo 1 ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi.

9.10. Ne consegue che, se l’amministrazione finanziaria non ha fornito una corretta interpretazione del dato normativo, non per questo è possibile escludere il diritto alla riscossione dell’imposta, opportunamente temperato, nel caso di specie, con la mancata applicazione di sanzioni ed interessi.

9.11. Quanto all’applicabilità della L. n. 212 del 2000, art. 11, si sostiene che l’amministrazione finanziaria, rispondendo a istanze della società integranti, di diritto o di fatto, gli estremi dell’interpello avrebbe riconosciuto l’esenzione dall’accisa in capo alla ricorrente, con il conseguente effetto preclusivo previsto dalla richiamata norma.

9.12. Tuttavia, i provvedimenti assunti dall’amministrazione doganale, con i quali è stata riconosciuta a Idroenergia la qualifica di soggetto esente da accisa, non sono stati resi all’esito di una regolare procedura di interpello per come disciplinata dalla L. n. 212 del 2000, art. 11.

Invero, l’interpello del 28 febbraio 2005 è stato ritenuto inammissibile dall’amministrazione doganale (con provvedimento della Direzione regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta del 21 giugno 2005), sicchè ogni valutazione compiuta nella risposta comunque fornita (peraltro, riguardante l’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica e non specificamente le accise) non può in alcun modo vincolare i successivi atti posti in essere dall’amministrazione medesima. Gli altri atti, invece, non sono stati emessi a seguito di regolare procedura di interpello, procedura che sola può determinare l’effetto vincolante previsto dalla citata disposizione di legge.

Del resto, l’efficacia della risoluzione o della circolare che segue l’interpello “vincola l’Amministrazione, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 3, con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza o, al più, con riguardo ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello” (Sez. 5, 13 gennaio 2017, n. 735).

9.13. Nel caso di specie, si tratta di accise (e non di addizionali provinciali) relative all’anno 2008, successivo, pertanto, all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 26 del 2007, che ha comportato una integrale rivisitazione della materia; con riferimento a tale anno nessuna istanza di interpello risulta presentata all’amministrazione doganale; nè i provvedimenti citati sub 9.6 sono qualificabili come risposta ad un interpello.

9.14. Vale da ultimo evidenziare che non è irragionevole, sotto il profilo costituzionale ed unionale, la diversità di disciplina degli effetti prevista dalla L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 11. Infatti, l’ipotesi prevista da quest’ultima disposizione, che comporta la gravi conseguenza della nullità dell’atto impositivo, riguarda una situazione in cui l’amministrazione finanziaria ha dato una risposta specifica ad un formale quesito del contribuente, ingenerando nello stesso il ragionevole convincimento della correttezza della soluzione fornita, laddove negli altri casi si tratta di indicazioni di carattere generale o particolare formulate in via di prassi generale o applicativa, senza che la specifica problematica sia stata formalmente posta dal contribuente alla puntuale valutazione dell’ufficio.

10. In conclusione, il ricorso va rigettato.

La novità di alcune delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

Doppio contributo unificato a carico della ricorrente, sussistendone le condizioni di legge.

PQM

rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2020

 

 

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