Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21994 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/09/2017, (ud. 04/04/2017, dep.21/09/2017),  n. 21994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3085/2016 proposto da:

M.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FARINI 62, presso lo studio dell’avvocato LUCIO GOLINO, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSOB COMMISSIONE NAZIONALE SOCIETA’ BORSA, elettivamente

domiciliata in ROMA, V. MARTINI GIOVANNI BATTISTA 3, presso lo

studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLO PALMISANO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

UNICREDIT SPA, C.L.;

– intimate –

avverso il decreto n. 1939/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Ritenuto che:

– M.M.C. convenne in giudizio la CONSOB, chiedendo l’annullamento della Delib. con la quale le era stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 80.000,00 per irregolarità riscontrate nella prestazione dei servizi di investimento posti in essere nell’ambito dell’attività di intermediazione mobiliare (in particolare, per aver inoltrato ai clienti falsi rendiconti ed aver eseguito operazioni di compravendita di strumenti finanziari in assenza della relativa autorizzazione);

– la convenuta resistette alla domanda, chiedendone il rigetto;

– la Corte d’Appello di Bologna rigettò il ricorso;

– per la cassazione del decreto ricorre M.M.C. sulla base di un unico motivo;

– resiste con controricorso la CONSOB;

Atteso che:

– l’unico motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione ella L. n. 689 del 1981, art. 13 e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 octies, comma 2, per non aver la Corte di Appello considerato che i fatti contestatile erano stati accertati non da un funzionario o preposto della Consb, bensì da una società di servizi partecipata dalla sua datrice di lavoro – la Unicredit s.p.a. -, come tale priva della qualità di pubblico ufficiale, che non era stata compiuta alcuna autonoma attività d’indagine e che, comunque, i fatti in contestazione erano falsi) è manifestamente infondato, in quanto: a) in base alla L. n. 689 del 1981, art. 13, gli organi addetti al controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro “possono, per l’accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica”, con la conseguenza che la notizia dell’infrazione può essere attinta anche da una fonte informativa esterna; b) l’art. 187 octies, comma 2, del Testo Unico della Finanza non esclude la possibilità, per la Consob, di ricorrere a fonti informative esterne, prevedendo che “… compie tutti gli atti necessari all’accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui al presente titolo, utilizzando i poteri ad essa attribuiti dal presente decreto”; c) l’art. 8 dello stesso Testo Unico, al comma 1, stabilisce che “La Banca d’Italia e la CONSOB possono chiedere, nell’ambito delle rispettive competenze, ai soggetti abilitati la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti con le modalità e nei termini dalle stesse stabiliti” (cfr. pagg. 6 e 9 del decreto impugnato), sicchè nulla impedisce di poter porre a fondamento della contestazione le circostanze fattuali emergenti dai documenti trasmessi dai terzi, soprattutto, laddove come nel caso di specie, denotino con evidenza le violazioni commesse; d) la contestazione delle infrazioni è avvenuta sulla base del rapporto informativo inviato, all’esito di verifiche interne, da una società terza, della documentazione acquisita e di quella rinvenuta nella disponibilità della M.; e) le affermazioni concernenti l’asserita falsità degli addebiti mossi sono del tutto apodittiche e, comunque, sollecitano una rivalutazione delle risultanze istruttorie che è preclusa in sede di legittimità; f) il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016);

Inoltre deve ordinarsi la cancellazione a cura della Cancelleria, in quanto contrarie al precetto di cui all’art. 89 c.p.c., delle espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate dalla difesa del ricorrente alla pag. 15 del ricorso e precisamente quelle dal 10 al al 13 rigo dalle parole “Non appare…. sino a desolante” e dell’intero paragrafo 3.

Ritenuto che alla soccombenza segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, e che ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater;

Ritenuto infine che per i contenuti del ricorso come sopra individuato, si rende opportuna la trasmissione, con separata ordinanza, degli atti del presente procedimento al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma per le opportune valutazioni circa osservanza del dovere di probità e la conformità alla dignità ed al decoro della professione prescritto dall’art. 88 c.p.c. (cfr. Cass. n. 11978/2003, sul dovere di segnalazione con separata ordinanza).

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi accessori come per legge; dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater.

Manda alla Cancelleria di procedere alla cancellazione, in quanto contrarie al precetto di cui all’art. 89 c.p.c., delle espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate dalla difesa del ricorrente alla pag. 15 del ricorso e precisamente di quelle dal 10 al 13 rigo dalle parole ” Non appare…. sino a desolante ” e dell’intero paragrafo 3.

La presente ordinanza è stata redatta con la collaborazione dell’assistente di studio Dott. Andrea Penta.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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