Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21992 del 28/10/2016

Cassazione civile sez. lav., 28/10/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 28/10/2016), n.21992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26617/2011 proposto da:

C.C.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato STUDIO LEGALE

RIZZO, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCO ORLANDO e

MASSIMO CARLINO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ TRASPORTI PUBBLICI DI TERRA D’OTRANTO S.P.A. – S.T.P. P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20/13,

presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI MANFREDONIA, rappresentata

e difesa dall’avvocato CATALDO MOTTA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2613/2010 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 05/11/2010 R.G.N. 3270/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato MASSIMO CARLINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2613/2010, depositata il 5 novembre 2010, la Corte di appello di Lecce respingeva il gravame di C.C.A. e confermava la sentenza del Tribunale di Lecce, che aveva ritenuto prescritto il diritto del ricorrente al risarcimento del danno patrimoniale, biologico ed esistenziale conseguente al provvedimento di destituzione adottato nei suoi confronti dalla Società Trasporti Pubblici di Terra d’Otranto S.p.A. nel 1987 e dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato con sentenza del 22/6/1996.

La Corte osservava che l’azione di risarcimento danni era stata proposta con ricorso notificato nel novembre 2006 e, pertanto, oltre il termine di prescrizione decennale, decorrente dal provvedimento di destituzione, richiamando l’orientamento, secondo il quale la pendenza di una controversia avente ad oggetto l’accertamento del diritto, la cui lesione venga dedotta come titolo di una pretesa di risarcimento danni, non vale a precludere alla vittima un immediato esercizio dell’azione risarcitoria e, quindi, non è suscettibile di configurarsi come causa impeditiva del decorso della relativa prescrizione; osservava altresì, su tale premessa, l’irrilevanza della questione relativa all’efficacia interruttiva della comunicazione del 7/6/2000, posto che a tale data il diritto al risarcimento era già estinto.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il C. con unico motivo; la società ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. e delle norme in materia di prescrizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censura la sentenza impugnata sotto un duplice profilo: a) per avere la Corte territoriale errato nel ritenere che il termine di prescrizione dovesse cominciare a decorrere fin dalla irrogazione del provvedimento espulsivo, avvenuta nel novembre del 1987, anzichè dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 778/96 del 22/6/1996, che aveva definito la controversia, posto che solo da tale momento il ricorrente aveva avuto, con il titolo formato dalla sentenza, la possibilità di far valere il suo diritto al risarcimento; b) per avere la Corte erroneamente ritenuto priva di efficacia interruttiva del decorso del termine la lettera raccomanda del 7/6/2000, con la quale egli aveva avanzato richiesta di risarcimento danni.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già avuto plurime occasioni di precisare che “la disposizione dell’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cuì il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di far valere il diritto, e quindi agli impedimenti di ordine giuridico e non già a quelli di mero fatto. Pertanto, la pendenza di una controversia avente ad oggetto l’accertamento del diritto la cui lesione venga dedotta come titolo di una pretesa di risarcimento di danni, non vale a precludere alla vittima un immediato esercizio dell’azione risarcitoria e, quindi, non è suscettibile di configurarsi come causa impeditiva del decorso della relativa prescrizione” (Cass. n. 8720/2004).

L’orientamento, per il quale la disposizione di cui all’art. 2935 c.c. ha riguardo alla sola possibilità legale dell’esercizio del diritto, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto in cui venga a trovarsi il titolare, è consolidato e risalente nella giurisprudenza di legittimità: cfr. in tal senso già Cass. n. 3222/1968; conformi ex multis Cass. n. 5682/1985, Cass. n. 8797/1990, Cass. n. 2429/1994.

Sulla natura di impedimento di fatto specificamente riconosciuta alla pendenza di una controversia avente ad oggetto l’accertamento di un diritto cfr. anche, oltre alla pronuncia sopra richiamata, Cass. n. 7645/1994 e Cass. n. 26755/2006, la quale ha ribadito il principio, in termini generali, anche per i giudizi risarcitori nei confronti della P.A.I..

A tali principi si è attenuta, facendo decorrere il termine della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni dal provvedimento di destituzione dal servizio disposto nel 1987, anzichè dalla pronuncia del Consiglio di Stato del 1996, la sentenza impugnata, la quale, pertanto, va del tutto esente dalla censura che le è stata mossa sub a).

Con riguardo, poi, al profilo di censura sub b), è del tutto evidente che la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito (irrilevanza aì fini interruttivi della comunicazione in data 7/6/2000, in quanto posteriore al decorso del termine prescrizionale) si pone come mero, quanto logicamente conseguente, corollario deil'(esatta) interpretazione dell’art. 2935 c.c. adottata dalla stessa Corte, sicchè anche sotto il particolare profilo in esame nessuna critica può essere rivolta alla sentenza impugnata.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della controversia, si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2016

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