Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21992 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/09/2017, (ud. 17/05/2017, dep.21/09/2017),  n. 21992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9247/2012 proposto da:

FUNIVIE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 68, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRO GAGLIARDINI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARINO MORIXE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.G., F.G., G.L., V.A.,

GO.ER., B.S., PE.GI., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIALE GLORIOSO 13, presso lo studio dell’avvocato LIVIO

BUSSA, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati SERGIO

ACQUILINO, ANDREA BUSSA, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

T.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 913/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 07/10/2011 R.G.N.; 712/2010.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza 7 ottobre 2011, la Corte d’appello di Genova rigettava l’appello proposto da Funivie s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato il diritto dei suoi dipendenti P.G., Go.Er., B.S., Pe.Gi., G.L., V.A., T.M. e F.G. all’inquadramento nella superiore qualifica di “operatore qualificato funivie portuali” con corrispondente parametro retributivo dal 1 gennaio 2003 e condannato la società datrice al pagamento delle relative differenze retributive;

che avverso tale sentenza Funivie s.p.a. ricorrevano per cassazione con due motivi, cui resistevano con controricorso tutti i lavoratori suindicati, ad eccezione di T.M. che non svolgeva difese;

che era depositata dai lavoratori controricorrenti memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., n. 1.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di quanto previsto dall’Accordo Nazionale Integrativo del 10 ottobre 2001 e degli artt. 2103, 2697 c.c., per erroneo accertamento delle mansioni effettivamente svolte dai lavoratori, non corrispondenti a quelle superiori richieste, nell’irrilevanza della verifica di attribuzione della stessa qualifica rivendicata ad altri colleghi svolgenti le loro medesime mansioni (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 c.p.c. e vizio di motivazione su punto controverso, per erroneo accertamento delle mansioni svolte dai lavoratori, non rispondenti al superiore inquadramento rivendicato, sulla base delle risultanze istruttorie riportate per sintetici estratti (secondo motivo);

che ritiene il collegio che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile;

che, infatti, i due motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili per inconfigurabilità, in più specifico riguardo al primo, della violazione delle norme di legge denunciate, in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984) e per omessa deduzione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale violati, attraverso cui è esclusivamente veicolabile in sede di legittimità la denuncia, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dei contratti collettivi integrativi (Cass. 19 marzo 2010, n. 6748; Cass. 3 dicembre 2013, n. 27062; Cass. 17 febbraio 2014, n. 3681): neppure le disposizioni denunciate essendo state specificamente individuate, nè tanto meno trascritte (con evidente difetto di specificità del mezzo, sotto il profilo di violazione del principio di autosufficienza: Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915);

che in realtà entrambe le censure, anche riguardanti vizi di motivazione, si risolvono in una rivisitazione del merito, insindacabile in sede di legittimità per la congrua e adeguata motivazione offerta dalla Corte ligure (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412);

che infatti esse consistono in un’inammissibile contrapposizione dell’interpretazione della parte a quella della Corte territoriale, che ha operato un accertamento in fatto (per relationem a quello, motivatamente fatto proprio, del Tribunale, correttamente condotto alla luce del prescritto procedimento trifasico: Cass. 26 marzo 2014, n. 7123; Cass. 27 settembre 2010, n. 20272), persuasivamente argomentato (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 4 al secondo di pg. 5 della sentenza): pure in base ad un riesame critico delle prove orali, neppure integralmente trascritte (con evidente difetto di specificità del mezzo, sotto il profilo di violazione del principio di autosufficienza: Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, con principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1; Cass. 20 settembre 2013, n. 21632; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48);

che le spese vengono regolate secondo il regime di soccombenza come da dispositivo.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre il rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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