Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21991 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/09/2017, (ud. 28/04/2017, dep.21/09/2017),  n. 21991

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29704/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8014/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/12/2010 R.G.N. 9946/2007.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ESAMINATI gli atti e sentito il Consigliere relatore Dr. Federico De Gregorio;

RILEVATO che POSTE ITALIANE S.p.a. con ricorso del 30 novembre 2011 (richiesta della notificazione, quindi ritualmente eseguita come da relata del primo dicembre 2011) ha impugnato la sentenza n. 8014 in data 15 ottobre – due dicembre 2010, con la quale la Corte d’Appello di ROMA aveva respinto l’impugnazione principale di POSTE ITALIANE s.p.a. e quella incidentale di S.R. (già elett.te dom.to in secondo grado presso la cancelleria – sez. lavoro – della Corte di Appello di Roma con il suo procuratore costituito avv. Claudio Lalli) avverso la pronuncia emessa il 4 ottobre – 8 novembre 2006 dal locale giudice del lavoro, che aveva accolto per quanto di ragione la domanda di conversione a tempo indeterminato del contratto di lavoro subordinato a termine, stipulato ex art. D.L. n. 368 del 2001, con POSTE ITALIANE S.p.a., dal primo luglio al 31 agosto 2004, dichiarando la nullità del termine finale apposto, con conseguente conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma rigettando la connessa pretesa risarcitoria in proposito azionata dall’istante S., spese di secondo grado compensate;

che il contratto in questione risulta stipulato per esigenze di carattere sostitutive correlate alla necessità di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito/smistamento e trasporto, presso il Polo Corrispondenza Lazio, assente durante il suddetto arco temporale, con diritto alla conservazione del posto, per svolgere mansioni di portalettere di regola nell’ambito territoriale di Roma, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, di attuazione della direttiva 1999/70/CE;

che il ricorso per cassazione di POSTE ITALIANE è affidato a tre motivi, variamente articolati:

1. violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, nonchè degli artt. 1362 c.c. e segg., e contraddittorietà ed omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5). In particolare, si sostiene che, nella vigenza del D.Lgs. n. 368 del 2001, non era più necessario che già nel contratto fossero indicati i riscontri concreti, i dati specifici che sostanziavano la ragione giustificatrice e tanto meno le fonti di prova della stessa: elementi questi che avrebbero potuto essere oggetto di allegazione e di indagine nel corso del giudizio. Nella specie risultavano debitamente indicati l’ufficio di destinazione, la ragione sostitutiva identificata nell’assenza del personale e le mansioni di recapito del personale da sostituire, all’uopo richiamando alcuni precedenti di questa Corte, in part. le sentenze nn. 1576 e 1577 del 26-01-2010, osservandosi, altresì, come nessun rilievo potesse avere l’omessa indicazione nominativa del personale da sostituire, mentre il ricorso ad elementi identificativi diversi dall’indicazione nominativa era pressochè inevitabile stante la complessa realtà aziendale di Poste Italiane, la cui peculiarità era stata pure riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 214/2009;

2. erronea ed insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero in ordine alla specificità dei capitoli di prova articolati da parte resistente in primo grado, però non ammessi dai giudici di appello, che avrebbe potuto disporre opportune integrazioni con i suoi poteri di ufficio, ai sensi degli artt. 253,420 e 421 c.p.c.;

3. insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), unitamente a violazione e falsa applicazione dell’art. 12disp. gen., art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 (art. 360 c.p.c., n. 3), in via subordinata, attesa l’erroneità delle pretese conseguenze della illegittimità del termine con riferimento alla disposta conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che S.R. è rimasto intimato, nonostante la rituale notifica di cui alla succitata relata;

che risultano dati rituali avvisi alle parti in data 23-02-2017 della fissazione in sede di adunanza camerale al 28-04-2017 ex art. 380-bis c.p.c., n. 1;

che il Pubblico Ministero non ha presentato requisitorie e che non risultano depositate memorie;

CONSIDERATO che appaiono fondate le doglianze mosse dalla società ricorrente con il primo motivo,

dovendosi confermare la giurisprudenza di questa Corte sul punto, secondo cui la specificità della causale, valida per l’assunzione di personale a tempo determinato, deve essere debitamente verificata in concreto dal giudice di merito adito (cfr. tra le più recenti la sentenza di questa Corte, sezione lavoro, n. 7121 del 7/12/2016 – 20/03/2017, che in accoglimento di analogo ricorso proposto da Poste Italiane avverso l’impugnata decisione, emessa dalla Corte di Appello di Roma, cassava con rinvio tale pronuncia, reputando giustificato il primo motivo, osservando che la questione era stata già affrontata dalla condivisa giurisprudenza di legittimità, in base al principio secondo cui, “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e la immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Nelle situazioni aziendali complesse, pertanto, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti, da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse, risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità (tra le altre Cass. sent. n. 1576/2010; sent. n. 4267/2011)”.

Ed anche nel caso esaminato da Cass. n. 7121/17 il contratto individuale aveva indicato l’inquadramento del personale assunto, le mansioni cui adibire lo stesso, le ragioni della sostituzione con riferimento ad assenze di dipendenti in pianta stabile con diritto alla conservazione del posto di lavoro, l’unità produttiva assegnazione – Polo corrispondenza Lazio – nonchè il periodo correlato all’anzidetta esigenza sostitutiva.

Appariva, quindi, incongrua e priva di adeguata motivazione, in relazione ai principi sopra enunciati, la valutazione fatta dalla Corte distrettuale circa l’assenza di specificità della causale apposta al contratto di lavoro a termine in discussione, non avendo in particolare i giudici del merito tenuto conto del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate, ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato.

In definitiva, il primo motivo veniva accolto, restando invece assorbito l’esame degli altri);

RITENUTO, dunque, che l’onere di specificazione delle ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa di apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa, ma che in un quadro caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico, che si riflette poi sulla relatività della verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto, per la legittimità dell’apposizione del termine è sufficiente, quindi, l’indicazione di elementi ulteriori che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente (cfr. altresì Cass. n. 27052/2011, n. 8966/2012, n. 13239/2012, n. 1928/2014);

che nel caso in esame, pertanto, non appare in linea con principi sopra enunciati la valutazione operata dalla Corte di merito circa l’asserito difetto di specificità della clausola apposta al contratto di lavoro in esame, non avendo la stessa tenuto in debito conto l’indicazione dell’ambito territoriale di riferimento, del luogo della prestazione lavorativa, delle mansioni per le quali il lavoratore era stato assunto, asseritamente corrispondenti a quelle dei lavoratori da sostituire, nonchè il periodo di riferimento, elementi tutti che senza dubbio rendevano la clausola apposta non generica;

che dalla pronuncia impugnata non emerge, pertanto, una congrua considerazione di tutti gli elementi indicati nel contratto individuale e considerati come significativi dalla giurisprudenza (cfr. Cass. n. 1605/2016 e n. 182/2016. Cfr. altresì Cass. lav. n. 1246 del 25/01/2016), secondo cui l’onere di specificazione è soddisfatto, nelle situazioni aziendali complesse, oltre che dall’enunciazione delle predette esigenze, dall’indicazione di elementi ulteriori, quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto, che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, e di verificare la sussistenza del prospettato presupposto di legittimità, tanto alla luce sia della sentenza della Corte cost. n. 107 del 2013, che ha rigettato la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 11, sia della sentenza della Corte di Giustizia UE del 24 giugno 2010, in C-98/09, che ha riconosciuto la compatibilità comunitaria della stessa normativa con la clausola 8.3 dell’accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CE);

che, per quanto sopra considerato, il primo motivo deve essere accolto, assorbito l’esame degli altri, con cassazione della sentenza in relazione alla censura accolta e rinvio alla stessa Corte capitolina, in diversa composizione, che verificherà, anche alla luce delle questioni il cui esame è stato ritenuto assorbito, la legittimità del termine apposto al contratto, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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