Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21991 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. un., 12/10/2020, (ud. 09/06/2020, dep. 12/10/2020), n.21991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Mauro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36878-2019 proposto da:

NEWLIFE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANGELO BROFFERIO 7, presso lo

studio dell’avvocato FEDERICA FEDERICI, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIROLAMO RUBINO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BUTERA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE VITALE,

ed ANTONIO FRANCESCO VITALE;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

777/2019 del TRIBUNALE di GELA;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/06/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di

Cassazione, in camera di consiglio, confermino la giurisdizione del

giudice ordinario.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con atto di citazione notificato il 4 giugno 2019 il Comune di Butera conveniva Newlife S.r.l. davanti al Tribunale di Gela.

Esponeva di essere proprietario di un immobile sito nella contrada (OMISSIS), a seguito di una espropriazione attuata al fine di costruire una casa protetta per anziani. Dopo aver compiuto lavori a tale scopo, avvalendosi pure di finanziamenti pubblici concessi dall’Assessorato Regionale Enti Locali con decreto del 29 settembre 1998, aveva impresso all’immobile una destinazione pubblica appunto quale casa protetta per anziani. In seguito, “in ragione della impossibilità di gestione diretta del servizio di assistenza”, con Delib. Giunta 1 aprile 2004, n. 19 “pubblicava avviso di gara volta alla individuazione della migliore utilizzazione possibile della struttura attraverso la concessione in uso della stessa “per lo svolgimento di servizi assistenziali sociali e/o sanitari, anche integrati, di tipo semiresidenziale e/o residenziale da erogarsi in favore di anziani e/o inabili””.

Veniva dichiarata aggiudicataria, in forza di Det. Dirig. 28 settembre 2004, n. 510, Sentiero per la vita S.r.l., con cui il Comune, il 25 novembre 2004, stipulava un Disciplinare di convenzione “avente ad oggetto la concessione in uso, a titolo oneroso, della suddetta struttura”.

Successivamente, previa autorizzazione espressa dal Comune con Det. 13 settembre 2016, n. 198, a Sentiero per la vita S.r.l. subentrava Newlife S.r.l., la quale – esponeva ancora parte attrice nell’atto di citazione – “ad oggi, esercita la propria attività di soggetto erogatore di servizi socio-sanitari in convenzione con l’A.S.P. di Caltanissetta presso la struttura di proprietà del Comune”. Peraltro, adduceva ancora il Comune, essendo stata prevista nella convenzione, all’art. 2, un’unica proroga tacita, che si sarebbe verificata determinando la prosecuzione del rapporto contrattuale fino al 25 novembre 2016, Newlife S.r.l., “ad oggi, occupa l’immobile di proprietà del Comune”.

Con Delib. 19 marzo 2018, n. 21, “in un’ottica di risanamento delle finanze pubbliche”, il Consiglio Comunale adottava, un “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 58, comma 1, Triennio 2018-2020”, poi ulteriormente approvato dal Consiglio Comunale con Delib. 22 giugno 2018, n. 25 previo recepimento di un emendamento introducente fra gli immobili considerati “il fabbricato sito in C.da (OMISSIS), adibito a Comunità Terapeutica Protetta”.

Non avendo Newlife S.r.l. rilasciato l’immobile a seguito di nota 12 luglio 2018, n. 8358 del Segretario Generale, che a ciò l’aveva invitata in ragione di “inefficacia del contratto di locazione per effetto dell’illegittimo rinnovo tacito”, per quanto qui interessa il Comune agiva dunque davanti al Tribunale di Gela, concludendo per l’accertamento della cessazione degli effetti della convenzione del 25 novembre 2004 e per la conseguente condanna della convenuta al rilascio dell’immobile oggetto della suddetta convenzione.

Si costituiva Newlife S.r.l., resistendo ed eccependo, tra l’altro, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Avendo il giudice istruttore fissato udienza per la discussione e decisione ex art. 281 sexies c.p.c., Newlife S.r.l. ha proposto ricorso per regolamento di giurisdizione – illustrato poi anche con memoria – da cui il Comune si è difeso con controricorso.

Il Procuratore Generale ha concluso per la conferma della giurisdizione del giudice ordinario.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso, prima di esporre il suo unico motivo – rubricato come denuncia del difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito in favore del giudice amministrativo stante la riconducibilità del rapporto contrattuale tra il Comune e la ricorrente all’interno del contratto pubblico di concessione -, descrive la sequenza della vicenda in modo dettagliato, che trova esatto riscontro negli atti di causa.

In particolare, come già sopra anticipato, il Comune, a seguito di espropriazione dell’immobile effettuata per costruire una casa protetta per anziani e di compimento di relativi lavori anche in base a finanziamenti pubblici concessi dall’Assessorato Regionale Enti Locali con decreto del 29 settembre 1998, “imprimeva all’immobile in questione una destinazione pubblica adibendolo a Casa Protetta per gli anziani” – così si esprime il Comune stesso nell’atto di citazione, a pagina 2, in precisa conformità con quanto esposto nel ricorso -.

In seguito, “in ragione della impossibilità di gestione diretta del servizio di assistenza”, il Comune aveva deciso di affidare in gestione la struttura a “società, cooperative, enti, associazioni, operanti nel settore assistenziale sociale e/o sanitario”, indicendo una “gara per l’appalto concorso” con Delib. G.M. 1 aprile 2004, n. 19. Pubblicava quindi nell’albo pretorio comunale quale n. 311/2004 un avviso di gara per appalto concorso, in detto avviso dichiarando tra l’altro di voler “procedere alla migliore utilizzazione possibile della suddetta struttura attraverso la concessione in uso della stessa per lo svolgimento di servizi assistenziali sociali e/o sanitari, anche integrati, di tipo semiresidenziale e/o residenziale da erogarsi in favore di anziani e/o inabili”, e altresì evidenziando che, in cambio della concessione in uso della struttura, l’affidatario avrebbe dovuto versare al Comune “ogni anno, con decorrenza dall’effettivo inizio delle attività assistenziali, sociali e/o sanitarie progettate, concomitante con l’accoglienza del primo utente, un corrispettivo finanziario per l’utilizzo dell’immobile (che non è canone di locazione, ma bensì un contributo in favore dell’amministrazione comunale), a parziale compensazione delle eventuali successive spese di manutenzione straordinaria che si dovesse rendere necessario sostenere”. L’avviso pure precisava che l’affidatario avrebbe dovuto anticipare integralmente le spese di manutenzione straordinaria da sostenere per l’accreditamento e convenzionamento della struttura con l’Autorità preposta, il che sarebbe stato portato in compensazione nel corrispettivo finanziario annuo.

Sentiero per la vita S.r.l. veniva dichiarata aggiudicataria della gestione della casa protetta per anziani inabili con Det. 28 settembre 2004, n. 510, e il 25 novembre 2004 il Comune stipulava con essa “il disciplinare di convenzione” riguardante la concessione in uso, a titolo oneroso, dell’immobile per la “resa servizi socio assistenziali e sanitari in favore di disabili psichici ed in regime di c.t.a.” (comunità terapeutica assistita), il cui art. 2 stabiliva una durata della convenzione di sei anni dalla stipulazione “con facoltà di tacito rinnovo se entro 6 mesi dalla scadenza una delle parti non avrà provveduto a comunicare l’intendimento di procedere alla sospensione del rapporto instaurato per lettera raccomandata”; inoltre l’art. 4 stabiliva il contributo che, a partire dal ricovero del primo utente, la società avrebbe dovuto annualmente versare al Comune per l’utilizzazione dell’immobile.

Con autorizzazione n. 1/2005 il Responsabile del Settore Tecnico del Comune variava la destinazione d’uso dell’immobile da “Casa Protetta per anziani” a “Struttura Socio-Assistenziale e Sanitaria nello specifico a C.T.A.”. Sentiero per la vita S.r.l. chiedeva poi alle Autorità amministrative competenti le autorizzazioni necessarie per l’erogazione, in regime di comunità terapeutica assistita, dei servizi socio-assistenziali e sanitari a favore di disabili psichici; e con Delib. 31 gennaio 2012, n. 11 la Giunta del Comune l’autorizzava a eseguire i lavori di manutenzione straordinaria necessari per soddisfare i requisiti imposti dalle competenti autorità ASP e VV.FF. Per la realizzazione di tali lavori e l’ottenimento delle autorizzazioni il primo ricovero avveniva soltanto il 1 luglio 2013, data a partire dalla quale la società cominciò a pagare il contributo finanziario annuo al Comune.

Con Det. 23 gennaio 2014, n. 3 il Comune autorizzava poi Sentiero per la vita S.r.l. a eseguire ulteriori lavori di manutenzione straordinaria. Successivamente, previa autorizzazione rilasciata dal Comune con Det. 13 settembre 2016, n. 198, a Sentiero per la vita S.r.l. subentrava Newlife S.r.l. – frutto della sua sopravvenuta scissione -, la quale, ancora quando veniva citata davanti al Tribunale per la presente causa, svolgeva anch’essa attività di erogazione di “servizi socio-sanitari in convenzione con di Caltanissetta presso la struttura di proprietà del Comune”.

Con Delib. 19 marzo 2018, n. 21, “in un’ottica di risanamento delle finanze pubbliche”, il Consiglio Comunale adottava un “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 58, comma 1, Triennio 2018-2020”, approvato dal Consiglio Comunale stesso con Delib. 22 giugno 2018, n. 25 previo recepimento di un emendamento introducente fra gli immobili interessati “il fabbricato – sito in C.da (OMISSIS), adibito a Comunità Terapeutica Protetta”.

Non avendo Newlife S.r.l. rilasciato l’immobile a seguito di nota 12 luglio 2018 n. 8358 del Segretario Generale che a ciò l’aveva invitata per “inefficacia del contratto di locazione per effetto dell’illegittimo rinnovo tacito”, il Comune, intenzionato a venderlo, ha agito appunto davanti al Tribunale di Gela, prospettando che, scaduta quella che sarebbe l’unica proroga tacita prevista dalla convenzione, all’art. 2 – da cui era derivata la prosecuzione del rapporto contrattuale fino al 25 novembre 2016 -, la società convenuta occupa l’immobile di proprietà attorea.

In detto immobile, peraltro, la ricorrente precisa di svolgere attualmente “attività terapeutico-riabilitativa, in convenzione con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Caltanissetta, in favore di disabili psichici in fase post acuta, inviati dai Dipartimenti di Salute Mentale e/o dall’Autorità Giudiziaria”.

2. In punto di diritto Newlife S.r.l., prese le mosse dall’avere la convenzione del 25 novembre 2004 per oggetto la “concessione in uso” dell’immobile de quo per la resa di servizi socio-assistenziali e sanitarie in favore di disabili psichici e in regime di c.t.a. a fronte di contributo finanziario al Comune, osserva che, per identificare il giudice dotato della giurisdizione sulla presente controversia, occorre individuare la “esatta qualificazione giuridica del rapporto contrattuale” in esame, il che a sua volta esige il “preventivo accertamento della natura giuridica del bene oggetto della convenzione” stessa.

Adduce la ricorrente che l’immobile è “attualmente destinato a servizi socio-assistenziali e sanitari resi in favore di disabili psichici in fase post acuta in regime di Comunità Terapeutica Assistita”, costituendo pertanto una risorsa del Dipartimento Salute Mentale (DSM) dell’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Caltanissetta: pertanto l’immobile sarebbe da ritenere “adibito all’assolvimento di una funzione istituzionale, intesa quale funzione strettamente correlata al perseguimento dell’interesse pubblico per la collettività”. Tale funzione gli sarebbe stata impressa dal Comune “attraverso una serie di atti amministrativi”.

L’immobile “è stato costruito attraverso un finanziamento pubblico erogato in favore del Comune” per realizzare una casa protetta per anziani come da decreto dell’Assessorato degli Enti Locali della Regione Siciliana n. 2052/V del 29 settembre 1998; con la Delib. Giunta 1 aprile 2004, n. 19 il Comune “ha poi autorizzato, al fine di una migliore valorizzazione dello stesso, la concessione in uso dell’immobile per lo svolgimento di servizi assistenziali sociali e/o sanitari, anche integrati, di tipo semiresidenziale e/o residenziale da erogarsi in favore di anziani e/o inabili, previo esperimento di gara pubblica”, in cui è risultata aggiudicataria Sentiero per la vita S.r.l. E l’art. 1 della convenzione del 25 novembre 2004 stipulata tra la suddetta società e il Comune conferma che,la destinazione dell’immobile è la “resa dei servizi socio assistenziali e sanitari in favore di disabili psichici ed in regime di C.T.A. in conformità alle norme ed ai regolamenti vigenti per analoghe iniziative, regolate dal decreto sanità 13 ottobre 1997 e le sue successive modifiche ed integrazioni”.

Richiama quindi il motivo la variazione di destinazione d’uso dell’immobile, nel 2005, da “Casa Protetta per anziani” a “Struttura Socio-Assistenziale e Sanitaria nello specifico a C.T.A.”, per poi aggiungere che, quanto al servizio attualmente svolto nell’immobile, la ricorrente è accreditata con il Sistema Sanitario Regionale (in forza dei Decreti Assessoriali nn. 890/2002 e 463/2003) per lo svolgimento di attività di accoglienza residenziale e trattamento terapeutico riabilitativo di disabili psichici in fase post-acuta, con capacità ricettiva di venti posti letto, e convenzionata con ASP di Caltanissetta per il triennio 2018-2020 in forza di “Autorizzazione Sanitaria n. 41 del 28 dicembre 2016, accreditamento sanitario istituzionale DD DASOE 1363/2017 del 12 luglio 2017 e convenzione sottoscritta l’1 agosto 2018”.

Sulla base di tutto questo l’Immobile dovrebbe pertanto qualificarsi bene patrimoniale indisponibile del Comune, ricorrendo i presupposti soggettivo titolarità del bene, in quanto sua proprietaria, in capo alla pubblica amministrazione – ed oggettivo – concreta destinazione del bene al pubblico servizio: è adibito a struttura socio-sanitaria come presidio della rete psichiatrica pubblica – richiesti dalla legge. Il rapporto tra il Comune e l’attuale ricorrente rientrerebbe dunque nel paradigma della concessione-contratto, per cui le relative controversie rientrerebbero nella giurisdizione del giudice amministrativo, non rilevando la terminologia adottata nella convenzione e rilevando invece, oltre all’inquadramento in uno schema concessorio, il fatto che si tratti di un bene patrimoniale indisponibile in quanto destinato con atto di volontà amministrativa a svolgere un servizio pubblico. Un bene di tal genere può essere trasferito per determinati usi nella disponibilità dei privati solo mediante concessioni amministrative, non incidendo il nomen juris di contratto locatizio.

3. Il nucleo della questione proposta dal ricorso concerne la riconducibilità o meno del bene de quo all’art. 826 c.c., u.c. (per cui, come è ben noto, fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle province o dei comuni, oltre ai beni destinati a sedi di uffici pubblici, “gli altri beni destinati a un pubblico servizio”), il che costituisce in effetti una distinzione tra l’esercizio di potere da parte della pubblica amministrazione – che si riverbera in un rapporto concessorio, derivante appunto dalla natura del bene immobile che ne è oggetto – e la posizione paritetica tra ente pubblico e soggetto privato – che si concretizza, sempre per il godimento di un bene immobile, in uno schema privatistico sussumibile nel genus locatizio.

Al riguardo l’orientamento giurisprudenziale è chiaro e consolidato, identificando il discrimen proprio nelle categorie dei beni immobili che contrappongono il bene demaniale o il bene immobile rientrante nel patrimonio indisponibile dell’ente pubblico al bene immobile compreso nel suo patrimonio disponibile.

Ex multis, questo principio è stato da ultimo ribadito, tra gli arresti massimati, da Sez. Un., ord. 21 maggio 2019 n. 13664, che così insegna: “Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda di licenza per finita locazione di un’area appartenente a un Comune, concessa in godimento per lo svolgimento dell’attività di distribuzione di carburanti in forza di un contratto che, per il “nomen iuris” scelto dalle parti e per il suo contenuto, sia riconducibile allo schema del contratto di locazione ad uso commerciale, atteso che, affinchè un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili ai sensi dell’art. 826 c.c., comma 3, e la sua concessione in godimento possa essere qualificata come concessione-contratto, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio.”

4. Poco più risalente rispetto a tale ultima conferma è Sez. Un., ord. 25 marzo 2016 n. 6019 – massimata come segue: “Affinchè un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’art. 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio; in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del “nomen iuris” che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrasi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario”-, pronuncia che si è occupata di un caso alquanto simile a quello in esame.

Un ente pubblico aveva dato luogo con una delibera ad una gara ad evidenza pubblica, a seguito della quale aveva stipulato con il soggetto privato che era risultato aggiudicatario un contratto tramite il quale gli aveva affidato la gestione di un immobile di sua proprietà. In seguito l’ente aveva adito il giudice ordinario, e nella causa – sortita, in specifico, da uno sfratto per morosità – il privato aveva proposto regolamento preventivo di giurisdizione prospettando la giurisdizione del giudice amministrativo perchè il rapporto tra le parti non sarebbe stato qualificabile come discendente da locazione, bensì da concessione di un servizio pubblico fondata su una concessione-contratto, dovendosi a suo avviso così qualificare il contratto stipulato.

Nella motivazione, l’arresto riconosce, come giurisprudenza pacifica, che “l’attribuzione a privati dell’utilizzazione dei beni pubblici in senso stretto, ossia appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile di un ente pubblico, è sempre riconducibile (ove non risulti diversamente) alla figura della concessionè-contratto, in quanto il godimento dei beni pubblici, stante la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuita ad un soggetto diverso dall’ente titolare del diritto solo mediante concessione amministrativa, mentre laddove si tratti di beni del patrimonio disponibile viene a realizzarsi lo schema privatistico della locazione”; ribadisce poi che occorre il doppio requisito soggettivo e oggettivo, affermando la necessità della volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio – da manifestarsi mediante un atto amministrativo da cui emerga una specifica volontà in tal senso – e la ulteriore necessità dell’attuale ed effettiva destinazione del bene all’individuato pubblico servizio.

5. Dunque, tanto il fatto che l’identificazione del soggetto privato insorga dall’espletamento di una gara bandita dall’ente pubblico, quanto il nomen juris che le parti appongono al titolo che conferisce al soggetto privato il godimento del bene pubblico non sono dirimenti. Dirimente è invece l’inserimento del bene nei beni pubblici in senso stretto, inserimento per il quale occorre un atto amministrativo che esprima appunto una specifica volontà di destinare il bene a un pubblico servizio così da integrare il requisito soggettivo, che è, a ben guardare, una manifestazione piena del pubblico potere dell’ente proprietario di cui poi il requisito oggettivo esterna la permanenza attuale degli effetti (cfr. pure Sez. Un., 28 giugno 2006 n. 14865: “Affinchè un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili in quanto destinati ad un pubblico servizio, ai sensi dell’art. 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo ed oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio, per cui non è sufficiente la semplice previsione dello strumento urbanistico circa la destinazione di un’area alla realizzazione di una finalità di interesse pubblico. In difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta ad un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente, parte del patrimonio disponibile, al di là del “nomen iuris” che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene ad inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario.”).

6. Se non sussiste tale presupposto di formale esercizio di potere pubblico sulla destinazione del bene da parte dell’ente proprietario, l’attribuzione del godimento del bene a un privato anche all’esito di una pubblica gara non incide nel senso di “erompere” dallo schema locatizio, e quindi dal sotteso rapporto privatistico. Significativo al riguardo è proprio uno dei due arresti (entrambi non massimati; l’altro – Sez. Un. 10 marzo 2014 n. 5487 – non è qui pertinente perchè concerne una fattispecie di locali destinati a bar posti in una struttura ospedaliera globalmente inclusa tra i beni patrimoniali indisponibili) invocati dalla stessa ricorrente, Sez. Un. 27 maggio 2009 n. 12251.

Detta sentenza, in motivazione, ha riconosciuto “pacifico e risalente” il principio per cui “solo l’attribuzione a privati dell’utilizzazione dei beni del demanio o del patrimonio indisponibile dello Stato o dei Comuni, quale che sia la terminologia adottata nelle convenzioni ed ancorchè essa presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile, ove non risulti diversamente, alla figura della concessione-contratto, atteso che il godimento di beni pubblici, stante la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuito ad un soggetto diverso dall’ente titolare del bene entro certi limiti e per alcune utilità – solo mediante concessione amministrativa, con la conseguenza che le controversie attinenti al suddetto godimento sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo… Nella figura della concessione-contratto, infatti, la Pubblica Amministrazione è titolare di una posizione particolare e privilegiata rispetto all’altra parte, in quanto dispone, oltre che dei diritti e delle facoltà che nascono comunemente dal contratto, di pubblici poteri che derivano direttamente dalla necessità di assicurare il pubblico interesse in quel particolare settore, in cui la concessione è diretta a produrre suoi effetti”; qualora invece si tratti di patrimonio disponibile e ne è concesso il godimento dietro corrispettivo, al di là del nomen juris adottato dai contraenti, si rientra nello schema privatistico della locazione.

7. Applicando, allora, tale fermo e limpido insegnamento di queste Sezioni Unite della Suprema Corte, deve constatarsi che, in effetti, nel caso in esame l’ampia ricostruzione della vicenda offerta dalla ricorrente non perviene però a identificare un provvedimento amministrativo specifico che sia tale da integrare il requisito soggettivo necessario – accanto a quello oggettivo – per inserire l’immobile di cui si tratta nel patrimonio indisponibile del Comune.

Il fatto che la proprietà del bene sia originata da una espropriazione effettuata da quest’ultimo non ha, ovviamente, rilievo, come non ha rilievo l’utilizzazione di un finanziamento pubblico per svolgervi i successivi lavori. E non incide, altrettanto inequivocamente, per quanto appena evidenziato in ordine al consolidato insegnamento giurisprudenziale, il fatto che per eleggere il soggetto privato cui attribuire il godimento del bene sia stata bandita una gara, nè tantomeno incide l’ulteriore fatto che il negozio poi stipulato sia stato qualificato dalle parti concessione – rectius, concessione in uso -. E ancora, non rileva il fatto che il privato – attualmente il ricorrente, come prima il suo dante causa – in tale immobile abbia sempre svolto attività socio-sanitaria godendo dell’accreditamento da parte della competente ASP e quindi inserendo la sua attività nel servizio sanitario regionale: non occorre invero soffermarsi sul dato, ben noto, che l’accreditamento, con i giuridici effetti relativi alla partecipazione nel servizio sanitario (cfr., da ultimo, Cass. sez. 3, ord. 11 marzo 2020 n. 7019 e Cass. sez. 3, 12 dicembre 2019 n. 32505), investe anche privati che svolgono le loro attività sanitarie in immobili che non siano beni pubblici in senso stretto: alquanto sovente, anzi, le svolgono in immobili di proprietà privata.

7. Consapevole di tutto ciò, la ricorrente, come sopra si è visto, nella ricostruzione della vicenda dichiara che, dopo aver ultimato i lavori avvalendosi dei finanziamenti pubblici regionali, il Comune “ha impresso all’immobile medesimo una destinazione pubblica adibendolo ab origine a casa protetta per anziani (anziani inabili)” – così si esprime a pagina 3 del ricorso -; e ciò conformemente a quanto esposto dal Comune stesso nell’atto di citazione: “ultimati i lavori, anche avvalendosi di finanziamenti pubblici concessi dall’Assessorato Regionale Enti Locali con Decreto n. 2052/V del 29.09.1998, l’A. C. imprimeva all’immobile in questione una destinazione pubblica adibendolo a Casa Protetta per gli anziani” (citazione, pagina 2).

Tale riferimento, tuttavia, è generico, poichè non individua il provvedimento con cui sarebbe stata “impressa” all’immobile la destinazione pubblica, nè sotto il profilo della identificazione di un procedimento concluso con la sua emissione, nè sotto quello della identificazione dell’organo comunale che l’avrebbe appunto emesso al termine del procedimento, nè, infine, quanto alla identificazione della data in cui sarebbe stato pronunciato. E tutto ciò – non si può, pur ad abundantiam, non rilevare significativamente – in un contesto ricostruttivo di dettagliata precisione, nel quale sono stati identificati tutti gli altri segmenti giuridici della vicenda, come sopra si è visto nel riassumere la descrizione dei fatti fornita dalla ricorrente. L’unico elemento specifico, invero, che è dato conoscere – ictu oculi insufficiente – è che l’introduzione dell’immobile nel patrimonio indisponibile sarebbe avvenuta prima del bando di gara del 2004 del quale il Comune si è avvalso per scegliere il soggetto cui affidarne la gestione.

Che poi la “impressione” tout court di una destinazione pubblica all’immobile si sia verificata “adibendolo a Casa Protetta per gli anziani” non è certo un asserto sufficiente per l’effettiva individuazione del provvedimento amministrativo sopra rilevata come necessaria. Al contrario, l’assenza dei dati identificativi del provvedimento, in un contesto – si ripete – sotto ogni altro profilo assai dettagliato, potrebbe addirittura lasciar presumere che il Comune abbia meramente avviato de facto l’utilizzo dell’immobile quale casa protetta per anziani inabili.

8. In conclusione, tutto conduce a ritenere che si configuri nella fattispecie in esame un paritetico rapporto privatistico intercorrente tra le parti, sostanzialmente locatizio, che l’attore, ovvero il Comune, adduce abbia consumato la massima durata della fase esecutiva, traendone quale petitum sostanziale della controversia il suo diritto soggettivo di locatore alla restituzione dell’immobile che era stato locato. Il ricorso risulta pertanto infondato, dovendosi dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, e rimettendosi al merito le spese.

P.Q.M.

Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Spese al merito.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

 

 

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