Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21991 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. III, 03/09/2019, (ud. 24/05/2019, dep. 03/09/2019), n.21991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25395-2017 proposto da:

M.R., M.M.R., L.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OFANTO 18, presso lo studio

dell’avvocato GUIDO LIUZZI, rappresentati e difesi dall’avvocato

TONINO MAURO RICCIARDO;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo

studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

P.A., C.N., PROGRESS ASSICURAZIONI SPA IN LCA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 780/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/05/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1.La Corte di Appello di Messina con sentenza n. 780/2017 accogliendo l’appello principale proposto da UnipolSai Assicurazioni s.p.a.. e respingendo l’appello incidentale proposto dagli originari attori M.R., M.M.R. e L.G., in proprio e nella qualità di genitori dell’allora minore M.R. – ha riformato la sentenza n. 2/2015 del Tribunale di Patti e, per l’effetto, ha ridotto da Euro 589.791,86 ad Euro 425.623,85 il quantum dovuto a titolo di risarcimento danni dalla compagnia assicuratrice in favore di M.R. sul presupposto che il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del danneggiato aveva avuto una efficienza causale nella misura (non del 3%, ma) del 30% nella causazione del sinistro.

2.Era accaduto che M.R., in proprio, nonchè M.R. e L.G., in proprio e nella qualità di genitori dell’allora minore M.R. avevano convenuto in giudizio P.A., C.N. e la Fondiaria Sai s.p.a. F.G.V.S. davanti ai Tribunale di Mistretta chiedendo che gli stessi fossero condannati al risarcimento dei danni subiti in relazione al sinistro occorso in data 27/12/2008 in agro del Comune di (OMISSIS), località (OMISSIS).

A fondamento della domanda veniva dedotto che: a) nell’anzidette circostanze di tempo e di luogo, intorno alle ore 21.00, M.R., unico figlio dei coniugi L.G. e M.M.R. – mentre si trovava trasportato sul sedile posteriore dell’autovettura Fiat Bravo, targata (OMISSIS) condotta da C.N. e di proprietà di P.A. (e sul sedile anteriore, lato destro, si trovava trasportata M.A.) – era rimasto coinvolto in un sinistro occorso sulla (OMISSIS); b) precisamente, la vettura stava percorrendo la suddetta strada a velocità sostenuta, in direzione di marcia (OMISSIS), allorchè il conducente C., al Km 145 + 350 aveva perso il controllo del mezzo, che aveva impattato con il terrapieno posto alla destra della carreggiata, e, andando in testa-coda, aveva causato la violenta fuoriuscita di M.R. attraverso il finestrino laterale posteriore destro; c) le condizioni del giovane erano apparse fin da subito gravissime (in seguito gli era stato diagnosticato un trauma cranio-encefalico e cervicale) tanto che, dopo un controllo presso il pronto soccorso dell’ospedale di (OMISSIS), era stato trasportato presso il Policlinico Universitario di (OMISSIS), dove, nel corso della notte tra il (OMISSIS), aveva subito un delicatissimo intervento chirurgico al cranio e dove restava ricoverato, dapprima, fino al (OMISSIS), presso il reparto di rianimazione e, poi, presso il reparto di neurochirurgia; d) il giovane era stato quindi sottoposto ad altro intervento chirurgico per ridurre le fratture ad una vertebra ed allo zigomo e, sottoposto a varie visite specialistiche ed esami, gli era stato diagnosticato un trauma con frattura al cranio e confusivo concessivo meningo encefalico, nonchè trauma con frattura del rachide cervicale e dorsale, con un periodo di inabilità temporanea assoluta di giorni 104, un periodo di inabilità temporanea relativa di giorni 64 (di cui 34 giorni nella misura del 30%) e con un’invalidità permanente del 40-60%; e) in occasione del sinistro erano intervenuti sul posto i Militari del Comando Compagnia Carabinieri di S. Stefano di Camastra.

Tanto premesso, parte attorea aveva concluso chiedendo che i convenuti e la Fondiaria Sai Spa FGVS fossero condannati, in solido, al risarcimento di tutti i danni biologici, morali, patrimoniali, ed esistenziali subiti nella misura da accertare in corso di causa, oltre Euro 17.411,83 per spese di viaggio, vitto e spese varie, nonchè oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Si era costituita in giudizio la Fondiaria Sai Spa FGVS, che, dopo aver chiesto darsi atto che essa contestava esclusivamente il quantum risarcitorio, nel merito aveva chiesto ridursi massimamente le richieste risarcitorie attoree in misura di verità e giustizia, ai sensi dell’art. 1227 c.c., non avendo il minore allacciato le cinture di sicurezza.

Il Tribunale aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società (nelle more posta in liquidazione coatta amministrativa) garante dell’autovettura Fiat Bravo alla data del sinistro.

Si era quindi costituita altresì la Progress Ass.ni Spa, la quale aveva chiesto: dichiararsi la concorrente responsabilità di M.R., nella misura almeno del 50%, ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia, e, conseguentemente, graduare la responsabilità della convenuta in misura concorrente secondo il giusto e il provato; ridurre ai sensi dell’art. 1227 c.c., 2054 e 2056 c.c. il quantum risarcitorio alle sole voci di danno che sarebbero risultate provate e di giustizia, il tutto entro i massimali assicurativi, tenendo conto al contempo sempre del mancato rispetto dell’utilizzo delle cinture di sicurezza.

Non si era costituito C.N., conducente dell’autovettura Fiat Bravo, e neppure P.A., proprietario del mezzo.

Il Giudice di primo grado, istruita la causa, aveva emesso sentenza con la quale: a) aveva accertata l’esclusiva responsabilità del convenuto C.N. nella determinazione del sinistro occorso; b) aveva condannato le assicurazioni convenute in solido tra loro al pagamento, in favore di M.R., per i danni dallo stesso subiti, per le causali esposte in motivazione della complessiva somma di Euro 589.791,86; c) aveva condannato le assicurazioni convenute in solido tra loro al pagamento a favore di L.G. della somma di Euro 10.500,00 a titolo di danno patrimoniale, per le causali in motivazione; nonchè al pagamento a favore di entrambi i coniugi M.- L. della somma di Euro 17.411,83 a titolo di danno patrimoniale per le spese sostenute e per le causali in motivazione, oltre accessori ed oltre ai due terzi delle spese di lite e di ctu (compensando il residuo terzo).

La UnipolSai Assicurazioni s.p.a. aveva proposto appello avverso la predetta sentenza, chiedendo alla Corte di Appello di Messina di: dichiarare che le conseguenze lesive subite da M.R., nel sinistro per cui è causa, si erano verificate per fatto e colpa concorrente dello stesso, nella misura del 50% o nella diversa misura ritenuta di giustizia; ridurre ai sensi degli artt. 1227,2054 e 2056 c.c. il quantum risarcitorio alle sole voci di danno provate e di giustizia, tenuto conto dell’incidenza del mancato uso delle cinture di sicurezza. Il tutto con vittoria delle spese e compensi. Secondo la compagnia, il Tribunale aveva violato e comunque falsamente applicato l’art. 172 C.d.S. nella parte in cui aveva riconosciuto un ruolo preponderante, nella causazione del danno, alla collusione del veicolo con il terrapieno, stimando congruo riconoscere all’attore un concorso colposo ex art. 1227 c.c. nella misura del solo 3 %, per avere omesso di allacciare le misure di sicurezza a bordo dell’autovettura.

Avevano proposto appello incidentale M.R., M.M.R. e L.G. chiedendo che: a) in via preliminare l’appello principale fosse dichiarato inammissibile ai sensi degli artt. 342,345,348 bis e 348 ter c.p.c. e comunque nel merito rigettato, con conferma della sentenza impugnata; b) in riforma della impugnata sentenza, fosse ritenuto e dichiarato che a M.R. competeva l’integrale risarcimento del danno e pertanto la compagnia appellante fosse condannata, in solido con P.A., quale proprietario del mezzo, e con la compagnia Progress Assicurazioni S.p.a. in L.C.A., nella misura determinata dal giudice di primo grado e senza la decurtazione del 3%, pari ad Euro 18,240,99, oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dal sinistro al soddisfo; c) in via subordinata: ritenere e dichiarare, la concorrente responsabilità, in misura da accertarsi, del conducente dell’autovettura, C.N., per non avere imposto al trasportato l’uso della cintura di sicurezza e per l’effetto riconoscere a M.R. un ulteriore risarcimento proporzionato all’importo di Euro 18.240,99, oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dal sinistro al soddisfo; d) ove ritenuto necessario, disporre consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare se – nel caso di mancato sganciamento della cintura di sicurezza a causa dell’urto subito dalla vettura (e quindi nel caso in cui M.R. non fosse stato proiettato fuori attraverso il finestrino posteriore destro esploso per la torsione subita dal mezzo, ma, di contro, avesse cozzato il capo con violenza, subendo egli il medesimo momento torcente inflitto al mezzo contro il montante di acciaio posto alla sommità del medesimo finestrino) – si sarebbe provocato lesioni alla testa ben più gravi di quelle, pur sempre assai serie, che in effetti aveva subito. Secondo gli appellanti incidentali, il giudice di primo grado aveva errato nel riconoscere un concorso colposo dell’appellato nella misura del 3 %, laddove avrebbe viceversa dovuto condannare la controparte all’integrale risarcimento dei danni, senza decurtazione alcuna.

La Corte territoriale con la impugnata sentenza, come sopra rilevato, da un lato, ha accolto l’appello principale e, dall’altro, ha respinto l’appello incidentale.

3.Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto

ricorso M.R., nonchè i coniugi M. – L..

Ha resistito con contro ricorso la UnipolSai Assicurazioni spa. In vista dell’odierna adunanza hanno presentato memoria entrambe le parti a sostegno dei rispettivi assunti.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.L’eccezione di improcedibilità, sollevata in via preliminare da parte resistente, è infondata.

1.1. Invero, il Collegio, dopo aver proceduto al relativo controllo, dà atto che, contrariamente a quanto deduce la compagnia resistente, in allegato al ricorso è stata prodotta la sentenza impugnata in copia conforme, rilasciata dalla Corte di appello di Messina, nonchè la sentenza notificata dalla compagnia munita di relata di notifica.

1.2. D’altra parte, e in ogni caso, è jus receptum nella giurisprudenza di legittimità (cfr., ad. es., Sez. 6 – 3, sent. n. 17066 del 10/07/2013, Rv. 628539 – 01), che, pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2. E tanto indubbiamente si verifica nel caso di specie nel quale la sentenza impugnata è stata pubblicata il 18 luglio 2017, mentre la richiesta di notifica del ricorso risale al 17 ottobre 2017; ragion per cui, tenuto conto del periodo di sospensione feriale, la richiesta di notifica del ricorso è intervenuta tempestivamente proprio in corrispondenza del 60 giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.

2. Il ricorso, pur procedibile, è tuttavia inammissibile.

3. Inammissibili sono i primi tre motivi, che, in quanto tra loro strettamente connessi, sono qui trattati congiuntamente.

3.1. A seguire, in sintesi, il contenuto di ciascuno dei motivi in esame.

Con il primo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i ricorrenti denunciano omesso esame delle censure e delle deduzioni formulate da M.R. sull’uso delle cinture di sicurezza al momento del sinistro. Rilevano che il ctu, nominato nel giudizio di primo grado, aveva precisato che “con riferimento all’eventuale uso delle cinture di sicurezza, tenendo conto della dinamica del sinistro, se il M. non fosse stato proiettato fuori dalla macchina, con molta probabilità i danni sarebbero stati maggiori”; e che le compagnie assicuratrici convenute non avevano provato nè che il M. non indossava le cinture di sicurezza al momento del sinistro e neppure che vi fosse nesso di causalità tra le ferite dallo stesso subite ed il mancato uso del sistema di protezione. Aggiungono che la questione aveva formato oggetto della sentenza del giudice di primo grado (che aveva ritenuto provato il mancato uso della cintura da parte del danneggiato), nonchè del loro appello incidentale (nel quale era stato sostenuto che le cinture di sicurezza si erano sganciate a seguito degli impatti e delle torsioni subite dall’autovettura nell’occorso incidente). Orbene, secondo i ricorrenti, la Corte territoriale è incorsa nel vizio denunciato nella parte in cui ha ritenuto provato che il M. non indossava le cinture di sicurezza e che vi fosse nesso di causalità tra il presunto mancato uso dei sistemi di protezione ed il danno subito, senza valutare le censure e le deduzioni formulate al riguardo dal M., senza tener conto della ctu espletata in primo grado (che aveva invece escluso detto nesso di causalità alla luce della dinamica dell’incidente), senza procedere al rinnovo o all’integrazione della suddetta ctu, nonostante il proposto appello incidentale.

Con il secondo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 61,112,115,116 e 196 c.p.c., nonchè degli artt. 1227,2054 e 2697 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale, accogliendo l’appello principale e respingendo quello incidentale, ha fondato la sua decisione (di ridurre il quantum risarcitorio) sul presupposto che il M. non indossava le cinture di sicurezza al momento del sinistro, attribuendo a detta condotta colposa una efficacia causale nella misura del 30%, senza che fosse stato previamente provato che il corretto uso dei sistemi di ritenzione avrebbe ridotto il danno (e, dunque, il nesso causale tra omissione ed evento). Aggiungono che alla mancanza di prova non avrebbe potuto supplire il richiamo all’art. 172 C.d.S., in quanto per principio generale la mera violazione di una norma in materia di circolazione stradale da parte del danneggiato non è fonte di responsabilità civile ogniqualvolta non si ponga come elemento causale rispetto all’evento dannoso.

Con il terzo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 1227,2054,2727,2729 e 2697 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ridotto il quantum risarcitorio, condividendo il ragionamento del primo giudice (che aveva ritenuto provato su base presuntiva il mancato uso della cintura di sicurezza da parte del primo giudice). Rilevano che, secondo i principi, grava sul danneggiante o sul suo solidale l’onere di provare il concorso del fatto colposo del danneggiato, mentre entrambi i giudici di merito – pur in assenza di elementi diretti di prova, nonostante la contraria valutazione del ctu nominato in primo grado e nonostante le dichiarazioni rese dall’interessato in sede di interrogatorio formale – avevano ritenuto (sulla base delle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni al personale di CC intervenuto nell’immediatezza) che il trasportato non indossava la cintura di sicurezza al momento del fatto.

3.2. Si premette che la Corte territoriale, in accoglimento dell’appello principale, ha ridotto il quantum risarcitorio riconosciuto a M.R. sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) l’art. 172 C.d.S. impone l’utilizzo delle cinture di sicurezza non operando alcun distinguo fra la seduta posteriore e anteriore del veicolo;

b) l’allacciamento delle cinture di sicurezza costituisce fatto idoneo ad attenuare le conseguenze dannose di un sinistro, in quanto l’impiego di siffatto dispositivo cautelare consente, in caso di urto, di trattenere il corpo degli occupanti il veicolo legato al sedile, evitandone l’impatto contro le strutture interne e la proiezione fuori dall’abitacolo (come avvenuta nel caso di specie);

c) pertanto, l’omesso uso delle cinture di sicurezza, da parte di persona che abbia subito lesioni in conseguenza di un sinistro stradale, costituisce un comportamento colposo del danneggiato nella causazione del danno, rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, (applicabile in tema di responsabilità aquiliana in quanto richiamato dall’art. 2056 c.c.), e legittima la riduzione del risarcimento del danno;

d) il conducente dell’autovettura non è destinatario della norma, che impone al trasportato di indossare la cintura di sicurezza, in considerazione della circostanza per cui all’epoca dei fatti il M. aveva raggiunto la maggiore età; in ogni caso, sebbene vi sia l’obbligo del conducente di effettuare la circolazione in condizioni di sicurezza, esula dalla normale diligenza, anche perchè trattasi di una condotta di non semplice realizzazione, il controllo costante dei passeggeri presenti sui sedili posteriori, differentemente dall’ipotesi in cui il trasportato si trovi sul sedile anteriore.

Sulla base di tali premesse argomentative, la Corte territoriale – in considerazione del fatto che l’utilizzo del dispositivo avrebbe potuto diminuire la gravità e l’entità dei danni subiti dal M., il quale non sarebbe potuto fuoriuscire dal finestrino del veicolo – ha ritenuto che la condotta colposa dello stesso ha avuto un’efficienza causale, nella produzione dell’evento dannoso, in misura del 30%,riducendo conseguentemente la somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale in favore di M.R..

3.3. Ciò posto, inammissibile è il primo motivo, in quanto, come statuito dalle Sezioni Unite ormai da oltre un quinquennio (cfr. sent. n. 8053 del 7/4/2014), la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Orbene, nel caso di specie, è indubbio che la Corte territoriale ha esaminato la questione riguardante l’uso delle cinture di sicurezza da parte di M.R. in occasione del sinistro per cui è processo.

Inammissibili sono anche il motivo secondo e terzo, in quanto, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’accertamento del concorso del fatto colposo del danneggiato nella produzione di un danno, così come la determinazione del grado di efficienza causale di ciascuna colpa, in quanto involgono accertamenti di fatto, rientrano nel potere di indagine del giudice di merito e, pertanto, sfuggono al sindacato di legittimità, al quale è affidato il controllo delle valutazioni di diritto, ogni qual volta, come per l’appunto nel caso di specie, siano sorretti da motivazione immune da vizi logici e giuridici.

4. Inammissibile è infine il quarto motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il quale i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 91,92 e 112 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto di condannare alla rifusione delle spese processuali anche i coniugi M.- L., rilevando che la Unipol non aveva impugnato la sentenza di primo grado con riferimento alle statuizioni rese sulla posizione dei suddetti coniugi.

Invero, è giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr., tra le tante, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017, Rv. 646335 – 01), che, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi.

Orbene, è indubbio che i coniugi M.- L. sono risultati soccombenti all’esito del giudizio di secondo grado, in quanto, pur essendo stati convenuti nel giudizio di appello esclusivamente ai fini dell’integrità del contraddittorio, si sono tuttavia costituiti per sostenere ad adiuvandum le ragioni di M.R., domandando, unitamente al medesimo, il rigetto dell’appello principale.

Ne consegue che la Corte territoriale non è affatto incorsa nel vizio denunciato nella parte in cui ha condannato anche i coniugi M.- L. al pagamento delle spese processuali.

5. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e parte ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla compagnia resistente e liquidate come dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della compagnia resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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