Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21990 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. III, 03/09/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 03/09/2019), n.21990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14678/2017 proposto da:

F.D., rappresentato e difeso dagli avvocati Lorenzo Zanella

e Roberto Rota e domiciliato presso il primo dei due in Treviso, via

Giovanni Pozzobon, 3.

– ricorrente –

contro

D.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Tito

Bortolato e Massimo Garutti, e domiciliato presso quest’ultimo in

Roma, via Arcione 71.

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 1004/2016 della CORTE D’APPELLO di Venezia,

depositata il 3.5.2016

Udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

CRICENTI;

Viste le richieste del PM, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, F.D., nel corso di una partita di calcio, ha colpito con un gomito all’addome D.A., provocandogli la perdita della milza, ed inducendolo a non partecipare per due anni ad ulteriori gare sportive.

Per tale fatto il F. è stato sottoposto a procedimento penale conclusosi con la declaratoria di prescrizione del reato e con il rinvio al giudice civile per la determinazione del danno risarcibile.

Il D. ha dunque adito il Tribunale di Venezia che ha riconosciuto in suo favore un risarcimento di 51316,00 Euro, comprensivo del danno biologico e del danno da perdita di una chance.

La Corte di appello di Venezia ha confermato integralmente questa decisione, avverso la quale il F. propone ricorso per cassazione con cinque motivi.

V’è costituzione del D. con controricorso e successiva memoria del ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La Corte di appello, nel confermare integralmente la decisione di primo grado, innanzitutto ha rigettato l’eccezione di competenza arbitrale sulla controversia, e quanto all’ammontare del danno, ha ritenuto corretta la decisione di primo grado di personalizzare il risarcimento del danno non patrimoniale, aggiungendo alla stima del CTU un aumento (20%) del risarcimento in ragione del maggiore (rispetto all’ordinario) danno morale patito dal danneggiato; inoltre ha confermato il risarcimento del danno da perdita di chance per la mancata occasione di ingaggio in una squadra militante in categoria superiore.

2.- Il ricorrente propone cinque motivi di ricorso

2.1.- Con il primo motivo fa valere la violazione delle norme in tema di interpretazione dei contratti, e segnatamente dell’art. 30 dello statuto della FIGC, ai commi 1, 2 e 3.

La corte di appello ha ritenuto che la controversia in esame non rientrava tra quelle che lo statuto della FIGC devolve alla propria camera arbitrale, e l’ha ritenuta di competenza invece del giudice ordinario, correttamente adito dal danneggiato.

Il ricorrente imputa a questa decisione una errata interpretazione delle norme dello Statuto, e segnatamente dell’art. 30.

In particolare, la tesi del ricorrente è la seguente: l’art. 30 obbliga i soggetti tesserati ad accettare le decisioni degli organi federali nelle vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico, dove, per economico, il ricorrente intende qualsiasi controversia abbia, alla fine, ad oggetto una prestazione in denaro (comma 2). Le controversie in questione, se non è prevista per la loro definizione una procedura interna federale, vanno devolute alla camera arbitrale (comma 3).

La lettura congiunta di tali commi indurrebbe a ritenere riservata alla cognizione arbitrale la controversia per cui è causa.

La tesi è manifestamente infondata.

Intanto, come correttamente deciso dai giudici di merito, il comma 1 delimita l’ambito soggettivo delle controversie cosiddette federali, limitandolo a quelle insorte tra tesserati, società e soggetti che svolgono attività sportiva.

Il danneggiato, quando è stata proposta la domanda, non era più tesserato, e questa circostanza risulta pacifica.

Il ricorrente la aggira assumendo che conta il momento in cui il fatto è stato commesso, momento al quale invece il danneggiato era tesserato.

Ma la tesi non convince in quanto lo scopo dello statuto è il individuare una giustizia interna alla federazione, che presuppone l’appartenenza dei contendenti, e l’appartenenza va stabilita al momento della instaurazione della controversia (v. in tal senso Cass. 29886/2008 secondo cui il fatto di essere tesserati al momento della instaurazione della lite è condizione ostativa alla domanda davanti al giudice ordinario, che è onere del convenuto dimostrare).

Ciò che però maggiormente conta è che la giustizia interna alla federazione, compresa quella sotto forma arbitrale, è limitata alle “vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico” (comma 2) intanto che, abbiano fonte nella violazione dello statuto e delle norme federali. Ed in questo senso il richiamo al comma 1, che delimita oggettivamente tale ambito, è effettuato dai giudici di merito correttamente.

L’espressione “vertenze di carattere… economico” è chiaramente riferibile a controversie, si, di carattere economico, ma che hanno titolo nella violazione delle norme dello statuto o di altre norme federali e non del divieto di non ledere previsto dal codice civile.

Cosi che lo Statuto demanda alla competenza arbitrale le controversie tra soci, che abbiano fonte nella violazione di norme federali, pur se di carattere economico.

2.2.- Il secondo motivo denuncia, con riferimento a plurimi articoli di legge, l’erroneo aumento (del 20%) del danno biologico rispetto a quello stimato dal CTU, che aveva ipotizzato una invalidità dell’11%.

La corte di appello ha ritenuto di personalizzare la stima del CTU, aumentandola, in ragione del particolare danno morale patito, che andava oltre l’ordinaria sofferenza in casi simili.

Secondo il ricorrente questa personalizzazione è stata effettuata in violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nel senso che la corte di merito ha fatto leva, per stimare l’aumento in termini di danno morale, su fatti non emersi, oppure al contrario negando fatti invece risultanti agli atti. Il motivo è infondato.

Intanto va tenuto conto della regola ormai consolidata secondo cui il giudice di merito può stabilire una personalizzazione del danno, aumentando il risarcimento rispetto a quanto risultante dalle tabelle o a quanto lo stesso CTU ipotizza, purchè basi questa personalizzazione su elementi significativi di un pregiudizio maggiore rispetto a quello cui le stipulazioni sul risarcimento (tabelle, norme ecc.) si basano.

Nel caso presente, la corte di merito ha ritenuto che il danno complessivo alla persona andasse aumentato in ragione di un danno morale superiore a quello comunemente presumibile, nonostante il CTU avesse ritenuto una sofferenza di tipo soltanto lieve.

La decisione è motivata su alcuni dati emersi in giudizio e dunque effettivi: a) la circostanza che il calciatore ha dovuto saltare ben due stagioni; b) la circostanza che, rientrato in attività, non ha più potuto riprendere la categoria di appartenenza dovendosi accontentare di categorie inferiori e meno soddisfacenti.

La personalizzazione del danno è dunque basata su elementi emersi in giudizio, di cui a ben vedere il ricorrente contesta piuttosto la valutazione probatoria, che non è giudizio suscettibile di censura in sede di legittimità, e lo si deduce dalla circostanza che egli rimprovera al giudice di merito di attribuire valore, ai fini della sofferenza psichica, al ripiego, dopo due anni di assenza, verso una categoria inferiore, che secondo il ricorrente non necessariamente è indice di insoddisfazione e malessere psichico, a differenza di quanto ipotizzato dalla corte di appello.

Dunque, la corte di appello ha effettuato la personalizzazione del danno biologico sulla base di elementi, emersi agli atti, e la cui valutazione indiziaria della particolare sofferenza d’animo è oggetto di discrezionalità di giudizio del giudice di merito non censurabile in cassazione, dove non può essere proposta una valutazione probatoria alternativa a quella.

2.3.- Il terzo motivo lamenta violazione di legge (vengono anche qui indicate norme diverse per rango – artt. 2 e 3 costituzione – e contenuto). In sostanza, il ricorrente sostiene che la corte di merito ha erroneamente riconosciuto al danneggiato un danno da perdita di chance, consistente nell’avere perso, proprio a causa dell’incidente e del fermo che ne è seguito, un ingaggio con la squadra del San Donà, che gli avrebbe permesso di avanzare di categoria, e di lucrare altresì un compenso maggiore.

Secondo il ricorrente, la corte ha ritenuto la lesione di una chance che invece non aveva alcuna consistenza, non era rilevante, in quarto non era affatto emerso che il danneggiato avesse probabilità significative di essere ingaggiato nella squadra del San Donà; la sua era semmai un’aspettativa di fatto.

In particolare, il ricorrente formula due interpretazioni alternative della sentenza, la quale potrebbe avere o riconosciuto un danno finale, ossia la perdita effettiva e certa dell’ingaggio, quindi un lucro cessante, sia pure futuro, ma senza che un tale pregiudizio fosse effettivamente emerso; oppure una perdita di chance anche essa senza fondamento alcuno.

Anche questo motivo è infondato.

Va premesso che l’accertamento dei fatti operato dalla corte di merito, ovviamente, non può essere messo qui in discussione e la corte di merito ha ritenuto che essendo il danneggiato già un giocatore del San Donà, ma concesso in prestito allo lesolo, v’erano concrete probabilità che ritornasse al San Donà, e che queste probabilità erano emerse dalle testimonianze assunte in sede penale.

Questa ricostruzione in fatto non può essere messa in discussione, e sulla base degli elementi cosi ritenuti in fatto, la corte di merito ha correttamente riconosciuto la perdita di chance e non già un danno finale: i giudici infatti hanno ritenuto che vi fossero “serie probabilità” di un rientro nella categoria superiore, ossia di giocare nuovamente nella squadra di provenienza.

Tuttavia, secondo il ricorrente la corte di merito non fornisce motivazione di quale sia la nozione di chance adottata, e non lascia intendere se risarcisce una perdita di lucro sicura (danno finale) o una probabilità (chance), cosi che la sentenza deve intanto ritenersi nulla.

Si invoca, in primo luogo, dunque, un difetto di motivazione tale da rendere la sentenza del tutto nulla.

Tuttavia, è evidente dal tenore della motivazione che la corte ha accertato che v’erano serie probabilità che il danneggiato venisse ripreso nella squadra di provenienza e che, in base a quanto emerso, era probabilmente stato scartato a causa dell’infortunio e del conseguente fermo di attività (p. 12 e 13).

La corte si esprime in termini di probabilità perdute (“era altresì dimostrato che l’infortunio aveva fatto venir meno tali prospettive di carriera”).

Non v’è alcuna nullità dovuta dunque a difetto grave di motivazione, essendo invece esplicite e sufficienti le ragioni della decisione.

Ciò posto, il ricorrente ritiene che la probabilità che secondo la corte di merito il danneggiato aveva, e di cui è stato ingiustamente privato, non era tale da potersi definire seria, ossia non era tanto elevata da potersi ritenere risarcibile.

La censura sul punto è però inammissibile in quanto mira ad una diversa valutazione dei fatti posti a base dell’apprezzamento della chance.

La corte di merito invero ha utilizzato indizi gravi precisi e concordanti per stabilire la serietà della probabilità perduta, e qui si chiede una diversa valutazione di quegli elementi che invece appartiene al giudizio di fatto.

4.- Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. e artt. 1227 e 2697 c.c..

La corte avrebbe omesso di motivare sulla questione, posta sia in primo che in secondo grado, del concorso di colpa del danneggiato.

In sostanza, si sarebbe limitata a dire che “la chiamata della palla si riferisce solo ai giocatori della propria squadra e non potrebbe di certo impedire ai giocatori della squadra avversaria di avvicinarsi al portiere per contendergli la palla” e questa motivazione sarebbe apodittica o comunque basata su fatti infondati.

Il motivo è inammissibile per totale difetto di autosufficienza, in quanto pur indicando dove l’eccezione di concorso di colpa era stata fatta, nei gradi di giudizio precedenti (eccezione quindi qui non riportata), non illustra il motivo di ricorso, ossia non indica le ragioni in base alle quali si contesta la decisione della corte di appello; il ricorrente, cioè, non dice rispetto a quale argomento difensivo la corte ha motivato in modo insufficiente, e quale era l’argomento che la corte ha ritenuto di superare pur non essendo contestato da controparte.

Cosi che non è assolutamente chiara la contestazione messa alla decisione di secondo grado, e dalla lettura del motivo non si capisce quali siano le ragioni che lo fondano.

5.- Il quinto motivo lamenta violazione dell’art. 92 c.p.c..

Il ricorrente lamenta la mancata compensazione delle spese, nonostante la soccombenza reciproca, che era da ravvisarsi nell’accoglimento parziale della domanda dell’attore, ossia nel fatto che quella domanda era stata accolta riconoscendo però una somma a titolo di risarcimento minore di quella pretesa dall’attore.

Il motivo è infondato.

Invero, l’attuale ricorrente non è vittorioso sul quantum, non potendo la mera riduzione della pretesa attrice ritenersi alla stregua di una soccombenza, e di un correlato accoglimento della domanda di controparte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, nella misura di 4200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali, dando atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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