Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21986 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/09/2017, (ud. 20/04/2017, dep.21/09/2017),  n. 21986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20742/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.M.;

– intimata –

avverso il provvedimento n. 738/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/08/2010 R.G.N. 1483/2008.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che con sentenza n. 738/2010, depositata il 26 agosto 2010, la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ha accertato che tra B.M. e la S.p.A. Poste Italiane si era costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 21 giugno 2006 e condannato la società alla riammissione in servizio dell’appellante, nonchè al pagamento a favore della medesima della retribuzione globale di fatto a decorrere dalla messa in mora;

– che la Corte ha rilevato che la lavoratrice era stata assunta da Poste Italiane S.p.A. mediante due contratti a termine, entrambi stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, come modificato dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266: il primo, per il periodo dal 4 febbraio al 31 marzo 2006 e, il secondo, per il periodo dal 27 giugno al 15 settembre 2006;

– che il giudice di appello ha poi osservato, a sostegno della propria decisione, come “la successione di due contratti aventi durata complessivamente superiore ai quattro mesi in un periodo non compreso tra aprile e ottobre” costituisse violazione del limite stabilito dalla norma, in base alla quale i contratti dedotti in giudizio erano stati stipulati e che “regola la possibilità di successione” dei contratti a termine “nell’arco dell’anno”;

– che nei confronti di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane S.p.A. con tre motivi, illustrati da memoria;

– che la lavoratrice è rimasta intimata;

rilevato che con il primo motivo, deducendosi violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4, viene censurata la sentenza di appello per avere la Corte di merito ritenuto la normativa nazionale applicabile al caso di specie in contrasto con la clausola 5 della Direttiva 1999/70/CE; con il secondo motivo, deducendosi violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 c.c., la sentenza viene censurata per avere la Corte dichiarato la nullità della clausola e non dell’intero contratto; con il terzo motivo, viene dedotta l’applicabilità del regime risarcitorio di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5; osservato che il primo motivo risulta inammissibile per difetto di riferibilità alla decisione impugnata;

– che, infatti, con esso vengono svolte considerazioni che non attengono alla ragione decisoria posta dalla Corte di merito a base della propria statuizione di accoglimento della domanda, sia perchè la sentenza fa esclusivo riferimento, sul piano normativo, al D.Lgs. n. 368 del 2001 , art. 2, comma 1 bis (e non anche all’art. 5, comma 4, dello stesso decreto, di cui si assume la falsa applicazione); sia perchè la sentenza fonda le proprie conclusioni sul constatato superamento del limite fissato dall’art. 2, comma 1 bis, sotto il profilo della successione di due contratti aventi durata complessivamente superiore a quattro mesi e peraltro relativi a rapporti a termine di cui uno (il primo) collocato in periodo diverso da quello aprile-ottobre;

– che il secondo motivo è infondato, la decisione impugnata essendosi conformata al consolidato orientamento, per il quale “il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria anche nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Ne deriva che, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative, e pur in assenza di una norma che ne sanzioni espressamente la mancanza, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, all’illegittimità del termine, ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso, consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola, pur se eventualmente dichiarata essenziale, e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato” (Cass. n. 7244/2014; conforme Cass. n. 12985/2008);

– che è invece fondato, e deve essere accolto, il terzo motivo di ricorso, in tema di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore in conseguenza della nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato;

– che in proposito deve richiamarsi la recente sentenza delle Sezioni Unite 27 ottobre 2016 n. 21691, la quale ha precisato che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”;

ritenuto, pertanto, che l’impugnata sentenza n. 738/2010 della Corte di appello di Milano deve essere cassata in relazione al terzo motivo e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte in diversa composizione, che provvederà a determinare l’indennità prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, secondo i criteri indicati dalla norma, accertando l’esistenza di eventuali contratti o accordi collettivi ai sensi del comma 6 e facendo applicazione, ove necessario, delle disposizioni di natura processuale fissate nel comma 7 della medesima legge.

PQM

 

La Corte accoglie il motivo concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, dichiarato inammissibile il primo motivo e rigettato il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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