Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21986 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. II, 12/10/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 12/10/2020), n.21986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21418-2019 proposto da:

B.B., rappresentato e difeso dall’Avvocato LAURA LAMBERTI,

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in BRESCIA, VIA

ALDO MORO 13;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 3065/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA depositato

il 04/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.B. proponeva opposizione avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia che aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e non ravvisava i presupposti per la protezione umanitaria.

Il ricorrente deduceva di essere nato il (OMISSIS) ad (OMISSIS) ((OMISSIS)) in (OMISSIS); di essere orfano di entrambi i genitori, di non avere fratelli, di non essere sposato e di non avere figli; di aver frequentato la scuola per 12 anni e poi di aver aiutato il patrigno a coltivare la terra; di essere di religione (OMISSIS); di aver lasciato definitivamente la (OMISSIS) il 16.5.2016 e di essere arrivato in Italia il 14.10.2016 passando per il Niger e la Libia; di aver lasciato il suo paese in quanto ripudiato perchè omosessuale; che aveva condiviso la stanza con il fratellastro che gli aveva proposto di avere una relazione omosessuale con lui promettendogli che, se avesse accettato, il padre gli avrebbe dato tutto ciò di cui aveva bisogno; che era iniziata così una relazione sentimentale tra i due, interrotta quando il fratellastro era stato mandato in collegio; che aveva 24 anni quando il fratellastro era stato trasferito, e che aveva avuto rapporti sessuali solo con il medesimo; che aveva accettato con serenità la sua omosessualità e che era conscio di andare contro le leggi della comunità; che il patrigno lo aveva mandato fuori di casa, accusandolo di essere la causa della morte della madre, ma poi lo aveva ripreso; che nel marzo 2016 si era invaghito di un vicino con il quale aveva iniziato una relazione sentimentale e avuto un rapporto sessuale; che era venuto a sapere che il ragazzo era stato ricoverato in ospedale e dopo pochi giorni, nell'(OMISSIS), che era morto; che aveva appreso dai familiari del ragazzo morto, i quali avevano fatto visita al patrigno, che i medici avevano attribuito la causa della morte del ragazzo a una malattia trasmessa sessualmente; che secondo la famiglia era stato lui a contagiarlo; che lo avevano condotto davanti al capo villaggio che, ritenuto abominevole il suo comportamento, lo aveva condannato a morte in ossequio alle leggi della comunità; che il (OMISSIS) era stato legato e rinchiuso in una cella; che lo stesso giorno il fratello del capo villaggio lo aveva raggiunto in cella e gli aveva detto di essere un vecchio amico di suo padre e, quindi, la sera del (OMISSIS) lo aveva liberato, dandogli indicazioni su come fuggire; che aveva tenuto nascosta la sua omosessualità a scuola e nel villaggio e di essere stato emarginato comunque per altre ragioni, perchè era orfano e il patrigno si lamentava spesso di lui; che in (OMISSIS) l’omosessualità è perseguita con la morte; di viverla con serenità in Italia e di non sapere se l’omosessualità sia o meno perseguita in Italia; di temere di essere ucciso in caso di rientro in (OMISSIS).

Con decreto n. 3065/2019 depositato il 4/06/2019, il Tribunale rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione sulla base di un motivo; l’intimato il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” là dove il tenore delle domande al medesimo rivolte dalla Commissione e dal Tribunale tendevano a ottenere particolari sulla vita sessuale e costituivano una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, risultando contrari ai diritti fondamentali garantiti dall’art. 7 della Carta di Nizza. Sottolineando comunque che il racconto del ricorrente risulta specifico, preciso e congruo.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Costituisce dunque principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

1.3. – Va inoltre rilevato che le valutazioni, in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti per la attribuibilità delle singole protezioni costituiscono altrettanti apprezzamenti di fatto rimessi ai giudici di merito, censurabili in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in termini di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dalla richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

Correttamente il Tribunale ha rilevato che i fatti allegati dal richiedente non attengono in alcun modo ad situazioni di violenze indiscriminate; laddove, va escluso alcun pericolo di applicazione di pena di morte o di trattamento disumano o degradante, in nessuna parte del racconto o del ricorso il ricorrente aveva allegato che, in caso di rimpatrio, avrebbe rischiato la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generalizzata e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato.

2. – Ciò posto, questa Corte osserva come, viceversa, la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una nuova valutazione del giudizio di credibilità del richiedente, proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. – Va poi aggiunto che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilemente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018).

Le proposte censure, come rapsodicamente articolate, appalesano piuttosto (come detto) lo scopo del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c. per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. n. 2051 del 2019).

3. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Nulla per le spese non avendo l’intimato Ministero svolto alcuna difesa. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

 

 

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