Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21986 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 11/09/2018), n.21986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7716-2017 proposto da:

F.G., e FO.FR., elettivamente domiciliati

in ROMA piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO RICCARDI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE di SAN GIORGIO A CREMANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8741/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato le domande proposte da F.G. e Fo.Fr., Vigili Urbani in servizio presso il Comando di Polizia Municipale del Comune di San Giorgio a Cremano, al fine di ottenere l’accertamento del diritto alla fornitura dei capi di vestiario da indossare in servizio e, stante l’inadempimento del Comune a tale obbligo, per la condanna dello stesso al pagamento dell’indennità sostitutiva parametrata al valore dell’acquisto dei capi di vestiario non forniti, nonchè al risarcimento di danni all’immagine ed alla dignità personale e professionale.

La Corte territoriale argomentava in fatto che il Comune aveva in realtà provveduto alla fornitura delle uniformi, sia pure in ritardo rispetto a quanto previsto e precisamente ogni anno con slittamento di un anno rispetto alla data prevista per la sostituzione. Aggiungeva che, anche ammettendosi l’obbligo di fornire la massa vestiaria, non poteva dirsi sussistente automaticamente il diritto alla relativa indennità sostitutiva in caso di inadempimento, nè la medesima domanda poteva essere accolta sotto il profilo dell’indebito arricchimento ottenuto dalla p.a. a causa della mancata fornitura, circostanza non solo provata ma nemmeno allegata. Inoltre, per quanto atteneva alla domanda di risarcimento danni, sussisteva totale difetto di allegazione e prova in ordine al nocumento subito dei ricorrenti per lo slittamento della fornitura.

3. F.G. e Fo.Fr. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi, illustrati anche con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, cui il Comune di San Giorgio a Cremano non ha opposto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. come primo motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e riferiscono di aver agito tra l’altro per accertare il loro diritto alla fornitura dei capi di vestiario e, stante l’inadempimento del Comune, per ottenere l’indennità sostitutiva parametrata al valore equivalente e non, come ritenuto dalla Corte d’appello, al fine di ottenere il rimborso di quanto dovuto per la spesa sostenuta per il vestiario.

2. Come secondo motivo, deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173,1218 e 1223 c.c. e sostengono che la mancata fornitura dei capi di vestiario costituiva inadempimento imputabile e conseguentemente doveva essere fatto rientrare nella categoria dell’illecito, che determinava il diritto al risarcimento del danno da quantificarsi in relazione al danno emergente ed al lucro cessante.

3. Come terzo motivo, deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e lamentano che la Corte di merito abbia ritenuto mancante la prova del danno, pur potendosi procedere con valutazione equitativa risalendo alla spesa che sarebbe stata sostenuta per l’acquisto del vestiario e, quanto al danno all’immagine, essendo il danno in re ipsa.

4. Come quarto motivo, deducono la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. per avere la Corte territoriale compensato le spese processuali malgrado esistessero i presupposti per l’accoglimento della domanda.

5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, considerato che la Corte territoriale ha inteso la domanda nei termini indicati in ricorso, come risulta da quanto riferito alla pg. 1 della sentenza, pur chiarendo che di ritardata sostituzione e non di mancata fornitura si trattava, come ammesso dai ricorrenti stessi. Il mancato accoglimento della domanda non è dipeso dall’erronea qualificazione come rimborso di quanto richiesto, ma dalla ritenuta mancanza di prova dell’esistenza di un danno risarcibile. I ricorrenti lamentano pertanto nella sostanza l’esito del processo valutativo, piuttosto che la violazione dei parametri cui esso si deve attenere.

6. Il secondo e terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati alla luce della giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dagli stessi ricorrenti, che ha affermato che l’inadempienza contrattuale determinata dalla mancata fornitura della massa vestiaria legittima una domanda risarcitoria dei lavoratori, ma che l’accoglimento della stessa presuppone la dimostrazione che i lavoratori abbiano in concreto subito un pregiudizio economico, quale un’usura dei propri abiti (Cass. n. 4100 del 08/04/1995), ovvero il danno rappresentato dal costo incontrato per acquisto (Cass. n. 23897 del 19/09/2008).

7. Alla mancata prova del danno non può sopperire peraltro la valutazione equitativa dello stesso, come suggerito dai ricorrenti, considerato che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili, ma che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, fermo restando dunque l’onere della parte di dimostrare l'”an debeatur” del diritto al risarcimento (v. ex multis Cass. n. 20889 del 17/10/2016).

8. Non può infine ritenersi in re ipsa il danno all’immagine per la mancata tempestiva sostituzione delle divise, considerato che anche il danno all’immagine ed alla reputazione, in quanto costituente “danno conseguenza”, non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento (v. da ultimo Cass. n. 7594 del 28/03/2018).

9. Il quarto motivo resta assorbito, considerato che le spese processuali sono state liquidate dal giudice di merito in applicazione del principio della soccombenza (art. 91 c.p.c.).

10. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

11. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.

12. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, considerato che l’insorgenza di detto obbligo non è collegata alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. da ultimo ex multis Cass. ord. 16/02/2017 n. 4159).

PQM

rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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