Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21984 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. II, 12/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 12/10/2020), n.21984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20571-2019 proposto da:

T.R., rappresentato e difeso dall’Avvocato ERMANNO

PACANOWSKI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

ROMA, VIA COLLINA 48;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 468/2019 della CORTE d’APPELLO di ROMA

depositata il 23/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.R., dichiaratosi cittadino del (OMISSIS), impugnava il provvedimento della Commissione Territoriale di Roma chiedendo il riconoscimento dello status di persona avente diritto alla protezione sussidiaria o al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale di Roma rigettava ogni domanda.

Contro detta ordinanza proponeva appello l’interessato.

Si costituiva il MINISTERO dell’INTERNO chiedendo il rigetto del gravame.

Il richiedente aveva dichiarato di avere abbandonato il Paese di origine per sostenere economicamente la sua famiglia. In particolare, il padre, in occasione del matrimonio della figlia, aveva richiesto ed ottenuto un prestito di denaro che non era riuscito a restituire; circostanza per cui il ricorrente si era trasferito dapprima in Libia e successivamente in Italia, dichiarando che lui e la sua famiglia sarebbero morti di fame, se fossero rientrati in patria.

Con sentenza n. 468/2019, depositata il 23/01/2019, la CORTE d’APPELLO di ROMA rigettava il gravame.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione T.R. sulla base di cinque motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi tre motivi, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. – L’istante lamenta, in sintesi, che i giudici del merito abbiano ritenuto, ai fini della concessione della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) non credibile e del tutto generica e sommaria la narrazione dei fatti, che lo avrebbe determinato a lasciare il Paese di origine, in ragione dei debiti contratti dal padre in occasione del matrimonio della sorella.

1.2. – Il ricorrente si duole, altresì, del fatto che la Corte di merito non abbia concesso al medesimo neanche la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) senza tenere adeguatamente conto, sulla base di dati attinti da fonti internazionali aggiornate, della situazione socio-politica del Paese di origine.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i te motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi sono inammissibili.

2.2. – Questa Corte ha affermato (Cass. 25552 del 2019) che, ai fini della concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) è invero indispensabile, anche per i necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente. La valutazione in ordine alla credibilità e sufficienza del racconto del cittadino straniero costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano sufficienti, specifiche, coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) costituente un parametro di attendibilità della narrazione. Per contro, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, è invece esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità: sicchè il giudizio di fatto circa la credibilità del ricorrente non può essere censurato sub specie della violazione di legge (Cass. n. 3340 del 2019).

In mancanza di credibilità dell’istante deve, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – quando non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.

2.2. – Nella specie, la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato circa le ragioni per le quali la Corte d’appello ha ritenuto non credibili – poichè generiche e non verosimili – le dichiarazioni del richiedente; laddove, a fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame inammissibilmente dedotte sotto il profilo della violazione di legge – si traducono, in concreto, in una richiesta di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass. n. 8758 del 2017).

Va, pertanto, esclusa in radice – attesa la non credibilità dello straniero – la concessione al medesimo dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b). Nè risulta che l’istante abbia allegato, nel giudizio di merito, di essersi rivolto all’autorità di polizia e di non avere ricevuto protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c).

2.3. – Per quanto concerne, poi, la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) del decreto succitato, va osservato che la proposizione del ricorso al giudice del merito nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 2015). Pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass. n. 17069 del 2018; Cass. n. 3016 del 2019).

Nel caso concreto, i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda meramente personale e familiare del richiedente, risolvibile mediante il ricorso alla giustizia ordinaria e non attraverso forme di violenza e coercizione del padre (peraltro neppure ipotizzata in capo al ricorrente), in ragione della mancata restituzione di denaro preso in prestito e non restituito. Una interpretazione che, facendo leva sul generico riferimento del legislatore ai “soggetti non statuali”, faccia assurgere le controversie tra privati (o la mancata o inadeguata tutela giurisdizionale offerta dal paese per la risoluzione delle stesse) a cause idonee e sufficienti a integrare la fattispecie persecutoria o del danno grave, verrebbe a porsi in rotta di collisione con il principio secondo cui “i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave” (Considerando 26 della direttiva n. 2004/83/CE), oltre ad essere poco sostenibile sul piano sistematico (Cass. n. 9043 del 2019). Sicchè tali circostanze inducono a ritenere che il richiedente sia un “emigrante economico”; laddove, sotto tale profilo, il giudice di merito ha, peraltro, comunque accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate, citate nel provvedimento, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8 – la insussistenza del timore del ricorrente di essere sottoposto a vessazioni, senza possibilità di ottenere tutela.

3. – Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 L’istante lamenta che la Corte di merito non abbia inteso concedere al medesimo neppure la misura del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, nonostante che nei fatti allegati fossero ravvisabili evidenti ragioni di vulnerabilità.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – La Corte distrettuale ha motivato il diniego di protezione umanitaria, in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte del richiedente non evidenziano situazione alcuna di vulnerabilità personale. Del resto l’accertata non credibilità della narrazione dei fatti operata dall’istante, ed il mancato rilievo di una generale situazione socio-politica negativa, nella zona di provenienza, correttamente hanno indotto i giudici di merito a denegare la misura in esame (cfr. Cass. n. 4455 del 2018). Nè il ricorrente – al di là di generiche dissertazioni relative ai principi giuridici in materia, ed alla riproposizione dei temi di indagine già sottoposti al giudice di merito – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di primo e secondo grado, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità personale.

4. – Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis osservando che la soppressione dell’appello comporterebbe la violazione del principio del doppio grado del giudizio di merito, atteso che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, in violazione degli artt. 3,24,11 e 113 Cost.

4.1. – L’eccezione di incostituzionalità è inammissibile, poichè la richiesta pronuncia manipolativa risulterebbe manifestamente irrilevante nel giudizio a quo, che non si è svolto secondo la censurata normativa di cui del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13 così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies.

5. – Il ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c.m, n. 1 come reinterpretato da questa Corte con la sentenza Sez. un. 7155 del 2017. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, del comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

 

 

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