Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21983 del 28/10/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 21983 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: TRICOMI LAURA

SENTENZA

sul ricorso 19337-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2015
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IMPRESA INDIVIDUALE BIAGIO D’AMICO, elettivamente
domiciliato in ROMA VIA DI SAN VALENTINO 34, presso
lo studio dell’avvocato SEBASTIANO CALDERONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO LIETO
giusta delega a margine;

Data pubblicazione: 28/10/2015

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controricorrente –

avverso la sentenza n. 122/2009 della
COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di MESSINA, depositata il
09/06/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che si
riporta al ricorso e chiede raccoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per raccoglimento del ricorso.

udienza del 29/09/2015 dal Consigliere Dott. LAURA

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RITENUTO IN FATTO

I ricorsi del contribuente, previa riunione, venivano parzialmente accolti in primo grado dalla
Commissione Tributaria Provinciale di Messina con la sentenza n.37/04/05.
2. L’appello, proposto dall’Ufficio finanziario, veniva respinto dalla Commissione Tributaria
Regionale della Sicilia — sezione distaccata di Messina – con la sentenza n. 122/26/09,
depositata il 09.06.09 e non notificata.
3. Il giudice di appello sosteneva che, dal verbale di constatazione, si evinceva che la
campionatura presa in esame dai verificatori atteneva per la maggior parte ad abiti da sposa ed
abiti da cerimonia e, pertanto, non costituiva un campione significativo della merce
commercializzata dal contribuente, di talché la media di ricarico ottenuta non sostanziava gli
estremi della media ponderata, anche perché faceva riferimento, per la determinazione della
percentuale, ad una tipologia di prodotto di difficile smerciabilità e, pertanto, assoggettato a
possibili rimanenze e, quindi all’applicazione di probabili sconti, di cui nell’avviso non si era
tenuto conto.
4. Propone ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi a tre motivi. L’intimato
resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. I primi due motivi censurano la sentenza sotto il profilo del difetto di motivazione su fatti
decisi& controversi per il giudizio (ex art.360, comma 1, n.5, cpc).
1.2.1. Il primo riguarda l’affermazione della Commissione Regionale, secondo la quale
l’Ufficio aveva preso a campione una categoria merceologica non significativa rispettò
all’attività commerciale esercitata: a parere della ricorrente, invece risultava documentahnente
provato che l’attività della ditta era caratterizzata in maniera preponderante dalla
commercializzazione di abiti da sposa, da cerimonia e dei relativi accessori.
1.2.2. Il secondo riguarda l’affermazione della Commissione, secondo la quale l’Ufficio non
aveva considerato gli eventuali sconti incidenti sull’effettivo prezzo di vendita; secondo la
ricorrente, invece l’Ufficio aveva fatto rilevare che non era stata fornita alcuna prova
dell’applicazione . di sconti da parte del contribuente e che, in sede penale, il Tribunale di
Barcellona (sent. n.78/2005) lo aveva condannato accertando la mancanza di prova
dell’applicazione di prezzi inferiori.

R.G.N. 19337/2010
Cons. est. Laura Tricorni

1. A seguito della conclusione di una verifica fiscale generale nei confronti della impresa
individuale di D’Amico Biagio, l’Agenzia delle entrate emetteva una pluralità di atti
impositivi relativi agli anni di imposta 1996, 1997 e 2000, per IVA, IRPEF ed altro, oltre
interessi e sanzioni, sulla base dei rilievi contenuti nel pvc notificato il 30.06.2001. Tali
accertamenti si basavano sulla ricostruzione del reale volume di vendite, effettuata mediante
l’applicazione della media ponderata di ricavo sugli acquisti di merce.

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1.4. Ricorda la Corte che, in generale, a fronte della dichiarazione del contribuente, l’Ufficio
può rettificare in aumento l’imponibile esposto nella dichiarazione con tre metodi, quello
analitico-contabile, quello extracontabile o induttivo e quello, che qui interessa, misto,
analitico-induttivo. Con tale metodologia, la determinazione (o meglio, la rettifica) del reddito
viene effettuata sempre nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione
induttiva di singoli elementi, attivi o passivi, di cui risulti provata aliunde l’inesattezza o la
mancanza.
Nell’ipotesi prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in tema di imposte
reddituali, la rettifica in aumento déll’imponibile esposto in dichiarazione è possibile se
l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei
relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche ovvero dal
controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta
delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie
raccolte dall’Ufficio, anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi,
precise e concordanti. Il metodo misto trova applicazione analoga anche ai fini IVA ed è
disciplinato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3; la determinazione
dell’imponibile è ancorata alle risultanze delle registrazioni contabili e la rettifica concerne
singoli corrispettivi relativi ad operazioni imponibili non dichiarati o non risultanti dalla
contabilità.
Nella specie, la modalità di accertamento adottata dall’Ufficio negli atti impositivi impugnati
risulta fondata su dati (l’acquisto della merce commercializzata) desunti proprio dalle scritture
aziendali e quindi non soggiace alla disciplina del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e
D.P.R. n. 633 del 1973, art. 55, bensì a quella del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e
D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54; si tratta, cioè, di accertamento analitico-induttivo, legittimo
anche in presenza di contabilità formalmente regolare (Cass. nn. 1647/2010, 17408/2010,
21697/2010, 3197/2013) e non di accertamento induttivo extracontabile.
In caso di accertamento analitico-induttivo, 1′ Ufficio può determinare il reddito del
contribuente anche utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento
dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. 7821/2012) .
1.5. Orbene nel caso in esame la Commissione non ha escluso la sussistenza dei presupposti
l’accertamento di tipo analitico-induttivo, ma ha ritenuto errati i criteri di computo della
percentuale di ricarico: ciò tuttavia è avvenuto con affermazioni del tutto generiche, in
rapporto ai plurimi dati presuntivi offerti dall’Ente impositore, non compiutamente esaminati
dai giudici tributari e senza evidenziare quali prove a suo favore il contribuente avesse
portato.
1.6. In particolare quanto al primo motivo va rilevato che la decisione impugnata ha trascurato
di chiarire sulla scorta di quali elementi specifici abbia ritenuto non significativo il campione
merceologico utilizzato per determinare la media ponderale di ricalcolo, a fronte di quanto

R.G.N. 19337/2010
Cons. est. Laura Tricorni

1.3. Entrambi i motivi sono fondati.

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1.7. Quanto al secondo motivo va rilevato che la decisione impugnata, nel rimarcare il
mancato apprezzamento da parte dell’Ufficio degli sconti, afferma in modo assertivo e, come
sembra, meramente ipotetico la possibile applicazione di sconti da parte del contribuente, in
quanto ancora una volta manca di evidenziare gli elementi di prova forniti dal contribuente, in
ragione dell’onere probatorio su di lui gravante, utilizzati per giungere a tale conclusione e
trascura di svolgere alcuna considerazione sulla decisione intervenuta in sede penale.
2.1. Il terzo motivo riguarda la omessa motivazione circa la sussistenza e la rilevanza della
documentazione extracontabile, relativa ad acconti non registrati, comprovante, a parere
dell’Ufficio, la presenza di consistenti vendite in nero, tali da escludere la dimostrazione di
vendita a prezzi inferiori.
2.2. Anche il terzo motivo è fondato. La Commissione non ha espresso alcuna considerazione
in proposito.
3. In conclusione il ricorso va accolto su tutti i motivi; la sentenza impugnata va cassata e
rinviata alla CTR in altra composizione, affichè provveda ad una compiuta disamina degli
elementi probatori offerti dalle parti, pubblica e privata, alla luce dei principi prima ricordati,
ed alla liquidazione anche delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,
– accoglie il ricorso;
– cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali del
giudizio di legittimità, a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale della
Sicilia.
Così deciso in Roma, camera di consiglio del 29 settembre 2015.

evidenziato nell’accertamento e, segnatamente nell’allegato 1 al pvc, ove era stato riportato
che, nel periodo in verifica, il contribuente aveva acquistato in maniera preponderante abiti da
cerimonia e da sposa e nel pvc, ove era stato specificato che la merce giacente, inventariata al
momento dell’accesso rientrava nella voce “abbigliamento e sposa” per un importo pari a lire
1.209.819.968, a fronte di un totale complessivo di merce per lire 1.451.102.001.

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