Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21982 del 11/09/2018

Cassazione civile sez. VI, 11/09/2018, (ud. 04/07/2018, dep. 11/09/2018), n.21982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1551-2017 proposto da:

F.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO

CESI n. 30, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI MANCUSO,

rappresentata e difesa dall’avvocato RINALDO OCCHIPINTI;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI n.134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1298/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale di Ragusa che aveva rigettato l’impugnativa proposta da F.D. avverso il licenziamento intimatole da Poste italiane s.p.a. in data 30 luglio 2008 a motivo dell’avere presentato, nel periodo in cui era stata distaccata presso l’ufficio postale di (OMISSIS), documentazione fiscale anomala al fine di ottenere un rimborso spese non dovuto.

La Corte territoriale condivideva la valutazione del primo giudice, secondo la quale l’addebito risultava fondato alla luce di una serie di concomitanti argomentazioni: l’anomalia dell’avere ottenuto una fattura complessiva dell’importo di Euro 660 per i pasti relativi a tutto il periodo del distacco, giustificata con la mancanza di disponibilità economica per pagare il pranzo quotidianamente; il fatto che il locale fosse chiuso per l’intera giornata di lunedì e tutti i giorni a pranzo, mentre risultavano consumati tutti i pasti; l’incongruenza degli orari di uscita e di rientro dal lavoro con quelli necessari per la consumazione del pasto a 10 km di distanza. La Corte riteneva inoltre che fosse fondata la contestazione della recidiva generica in relazione alla sanzione della multa comminata nel 2008 e che l’addebito fosse di gravità tale da giustificare la sanzione espulsiva, integrando tra l’altro il delitto di tentativo di truffa ai danni della società e rientrando quindi nella previsione di cui all’art. 56, lett. K) del contratto collettivo, che prevede il licenziamento senza preavviso per fatti o atti dolosi anche nei confronti dei terzi compiuti in connessione con il rapporto di lavoro.

2. Per la cassazione della sentenza F.D. ha proposto ricorso, cui ha resistito con controricorso Poste italiane s.p.a..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. la ricorrente deduce come primo motivo la violazione dell’art. 116 c.p.c. e l’insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione su un punto decisivo della controversia e lamenta che il giudice di merito non abbia congruamente motivato la sua decisione in ordine all’accertamento della chiusura del locale per l’intera giornata di lunedì e tutti i giorni a pranzo. Riferisce che il teste C. aveva riferito i giorni di apertura del locale in relazione al periodo successivo a quello in cui la ricorrente aveva consumato i pasti.

2. Come secondo motivo, deduce la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e lamenta che sia stata omessa la procedura che dovrebbe necessariamente precedere il licenziamento disciplinare.

3. Come terzo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 3 e 4 e degli artt. 2119,1175,1375 e 2697 c.c. e rileva che il licenziamento è stato intimato a distanza di sei mesi dal fatto contestato e dopo circa cinque mesi dall’accertamento ispettivo e che pertanto difetterebbero le condizioni dell’immediatezza e tempestività della sanzione.

4. Come quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7nonchè l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione e lamenta che il datore di lavoro abbia inflitto la sanzione massima violando il principio di proporzionalità delle sanzioni disciplinari, tenuto conto anche dell’esiguo danno patrimoniale in tesi arrecato, in quanto la lavoratrice aveva comunque diritto all’indennità di mensa nel periodo di distacco.

5. Il primo motivo, al di là della rubrica di stile, richiede nella sostanza una diversa valutazione delle stesse circostanze fattuali che sono state già esaminate dalla Corte di merito, e sulle quali si è incentrata la sua puntuale analisi, sollecitando una diversa valorizzazione delle deposizioni testimoniali rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito. Il motivo risulta però inammissibile, in quanto non denuncia un vizio censurabile in Cassazione secondo l’ambito di cognizione demandato a questa Corte dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come delineato da Cass. S.U 07/04/2014, nn. 8053 e 8054.

6. Inoltre, occorre considerare l’applicabilità, nel giudizio di cassazione, dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5 introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a) conv. con modif, nella L. n. 134 stesso anno e applicabile, a norma dell’art. 54, comma 2 medesimo decreto, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione a far data dal 11 settembre 2012 (come chiarito da Cass. n. 26860 del 18/12/2014 e Cass. ord., 24909 del 09/12/2015) – il quale prevede che la disposizione contenuta nel precedente comma 4 – ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex art. 360 c.p.c. – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (cosiddetta “doppia conforme”, v. Cass. n. 23021 del 29/10/2014).

Nel caso, poichè la ricostruzione delle emergenze probatorie effettuata dal Tribunale è stata confermata dalla Corte d’appello, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 10/03/2014, n. 26774 del 22/12/2016), ciò che non è stato fatto.

7. Il secondo e terzo motivo sono parimenti inammissibili in quanto valorizzano vizi del licenziamento che non sono stati presi in esame dalla Corte territoriale. Ed allora soccorre l’orientamento secondo il quale qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione. Nel giudizio di cassazione infatti, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti. (Cass. n. 23675 del 18/10/2013, Cass. n. 4787 del 26/03/2012, Cass. n. 3664 del 21/02/2006).

8. Quanto infine alla critica della valutazione di proporzionalità effettuata nel quarto motivo, si rileva che la soluzione adottata dal giudice di merito è coerente con gli arresti di questa Corte, secondo i quali in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica dell’ atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti (Cass. n. 8816 del 05/04/2017Cass. n. 16260 del 19/08/2004, Cass. n. 5434 del 07/04/2003).

Nel caso in esame, il motivo tenta di rivalutare le risultanze fattuali per ridimensionarne la rilevanza sul piano disciplinare, ma le argomentazioni proposte rimangono confinate in una mera contrapposizione valutativa, inidonea, in quanto tale, a radicare un deducibile vizio di motivazione della sentenza impugnata, e tantomeno un vizio di violazione di legge.

9. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, notificata ex art. 380 bis c.p.c. alle parti che non hanno formulato memorie, il ricorso risulta inammissibile ex art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1 e deve in tal senso essere deciso con ordinanza in camera di consiglio.

10. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.

11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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