Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21981 del 24/10/2011

Cassazione civile sez. III, 24/10/2011, (ud. 23/09/2011, dep. 24/10/2011), n.21981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15152-2009 proposto da:

M.C.M.E. (OMISSIS), C.

G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso

lo studio dell’avvocato SASSANI BRUNO NICOLA, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CAMPEIS GIUSEPPE, giusto mandato in

atti;

– ricorrenti –

contro

WEISSENFELS HOLDING AG, PENGG AGYD, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato DI IENNO

ENRICO, rappresentati e difesi dagli avvocati BONACCORSI DI PATTI

DOMENICO, PONTI LUCA giusto mandato in atti;

– controricorrenti –

e contro

FALLIMENTO ARTES SPA, FALLIMENTO ACCIAIERIE WEISSENFELS SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 120/2009 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 27/03/2009; R.G.N. 275/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/09/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato SASSANI BRUNO;

udito l’Avvocato PONTI LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che accoglimento del ricorso, in subordine ove

si ritenga necessario ex art. 366 bis c.p.c. il momento di sintesi in

relazione al 1^ motivo di ricorso: rimessione alla S.V. perchè

riesamini la questione; previa deliberazione di ammissibilità e di

rilevanza, sospensione del giudizio, e trasmissione degli atti alla

Corte Costituzionale affinchè valuti la compatibilità con gli artt.

3 e 111, dell’ancora applicabile art. 366 bis c.p.c. nella parte in

cui secondo “il diritto vivente” pretende nella deduzione del vizio

di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in affinità alla “chiara

indicazione del fatto controverso” e alle “ragioni per le quali la

dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a

giustificare la decisione” – un “momento di sintesi analogo del

quesito di diritto”.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.C.M.E. e C.G. convenivano, davanti al tribunale di Udine, la Pewag Weissenfels Holding A.G., Agyd Pengg, la Artes spa e la Acciaierie Weissenfels spa, chiedendo l’accertamento dell’infondatezza delle pretese avanzate dalla Pewag Weissenfels spa nella lettera del 18.8.2003 e l’accertamento dell’insussistenza di qualsiasi ipotesi di responsabilità, sia in capo ai precedenti amministratori della società del gruppo Weissenfels, sia a carico dei venditori delle relative partecipazioni azionarie, nonchè la condanna dei convenuti “a risarcire, in via tra loro solidale, all’attrice il danno, anche all’immagine, cagionato dalla comunicazione a terzi di accuse infondate, costituenti illecito, nella misura di Euro 5.000.000 o di quella diversa ritenuta di giustizia”.

Con altro atto di citazione, la stessa M.C.M. E. conveniva in giudizio Agyd Pengg chiedendone la condanna al risarcimento del danno causato dalla divulgazione di accuse calunniose e di altri comportamenti dolosi o colposi da parte dei venditori dei pacchetti azionari delle società del gruppo Weissenfels. In entrambi i giudizi, successivamente riuniti, si costituivano i convenuti contestando il fondamento delle domande proposte.

Il tribunale, con sentenza del 14.1.2006, rigettava le domande.

Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 27.3.2009, rigettava l’appello proposto da M.C.M. E. e C.G..

Questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria.

Resistono con controricorso la Weissenfels Holding A.G. (già Pewag Weissenfels Holding A.G.) e Agyd Pengg.

I fallimenti delle società Artes spa ed Acciaierie Weissenfels spa non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio raccomanda una motivazione semplificata.

Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Seconde l’art. 366 – bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha. statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo; Sez. Un. 8.5.2008, n. 11210).

La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (v. per tutte Cass. 7 aprile 2009, n, 8463; v. anche Sez. Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433).

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la insufficienza e, ad un tempo, contraddittorietà della motivazione in ordine all’interpretazione della domanda ai sensi dell’art. 5 dell’art. 360 c.p.c.. Il motivo è inammissibile.

Anche a volere considerare il “momento di sintesi” nella proposizione conclusiva del motivo, deve rilevarsene la sua genericità.

I ricorrenti, infatti, si limitano ad indicare quali siano i vizi motivazionali (insufficienza e contraddittorietà) dai quali ritengono sia affetta la decisione, ma non precisano, nè in cosa siano consistiti, nè quali siano le ragioni per le quali i supposti vizi motivazionali non consentano di sorreggere la decisione adottata.

In sostanza, il momento di sintesi si presenta come meramente descrittivo, ma non “critico” nei confronti della motivazione di “genericità delle richieste” adottata dalla Corte di merito.

I ricorrenti non chiariscono neppure – a fronte di una motivazione di rigetto – quali siano gli elementi che, viceversa avrebbero dovuto condurre la Corte di merito a ritenere non generiche le richieste e, quindi, esaminarle sulla base della “obiettiva presenza agli atti di un autonomo e specifico oggetto di accertamento”; elementi entrambi neppure riportati nel momento di sintesi. Peraltro, pur senza incidere sulle conclusioni raggiunte, deve, anche, osservarsi che 1’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità e, pertanto, la Corte di cassazione è abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo, soltanto quando il giudice di merito abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda, ma non se l’abbia compiuta – come nella specie – ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’ indagine (v.

per tutte Cass. 11.3.2011 n. 5876).

Con il secondo motivo denunciano la violazione dell’art. 2901 cod. civ. e artt. 99 e 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 Contestuale insufficienza e contraddittorietà della motivazione su fatti decisivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo è inammissibile.

Il quesito posto in relazione a questo motivo è generico, sotto diversi profili.

Va, in primo luogo, ulteriormente sottolineato, in aggiunta alle indicazioni più sopra fornite, che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

(v. anche Cass. ord. 17.7.2008, n. 19769).

Nel quesito, come proposto, difettano tali elementi, non individuando neppure quale sia la ratio decidendi che avrebbe, in concreto, violato le norme denunciate nel motivo, nè le ragioni della violazione.

In questo modo, non è neppure consentito alla Corte di enunciare un o i principi di diritto che possano risolvere il caso concreto.

Anche in questo caso, esclusivamente a fini teorici, deve osservarsi che l’interesse ad agire richiede, non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poichè il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire (Cass. 28.11.2008 n. 28405; cass. 30.6.2006 n. 15084); elementi questi che, nella specie, sembrano difettare.

Conclusivamente, il ricorso è dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore dei resistenti, vanno poste a carico solidale dei ricorrenti.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in favore dei resistenti in complessivi Euro 25.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione, il 23 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2011

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