Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21977 del 31/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 31/10/2016, (ud. 18/02/2016, dep. 31/10/2016), n.21977

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2090-2014 proposto da:

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio

dell’avvocato RICCARDO CHILOSI, che lo rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.A.;

– intimato-

Nonchè da:

F.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

Via PAOLO EMILIO 32, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

D’ALESSIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio

dell’avvocato RICCARDO CHILOSI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 9367/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/04/2013 R.G.N. 752/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito l’Avvocato CHILOSI RICCARDO;

udito l’Avvocato D’ALESSIO GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento incidentale 1 motivo, infondati 2 e 3

motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte territoriale di Roma, con sentenza depositata il 23/4/2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, condannava la RAI S.p.A. a risarcire a F.A., per l’accertato demansionamento subito dallo stesso, il danno non patrimoniale, liquidato nella somma complessiva di Euro 6.745,47, oltre interessi legali ed il danno patrimoniale liquidato nella misura del 25% delle retribuzioni percepite dall’1/7/1997, oltre accessori già riconosciuti in primo grado.

La Corte di merito, per ciò che ancora in questa sede rileva, ha precisato che è rimasto acclarato, dall’istruttoria svolta, che l’attività di tecnico coordinatore che il F. svolgeva presso la sede RAI di (OMISSIS) non gli è più stata assegnata presso la sede di via Asiago; che il fatto che il lavoratore abbia utilizzato presso quest’ultima sede strumenti tecnologicamente più sofisticati non è indicativo di un miglioramento delle mansioni, avendo semplicemente adeguato lo svolgimento della prestazione lavorativa alle mutate tecnologie recepite dall’azienda; che è rimasto provato che egli ha definitivamente perduto l’aspetto qualificante della sua attività di coordinamento di altri tecnici, la quale, anche dopo il 2000, viene attribuita ai tecnici di più elevato grado, in caso di svolgimento di produzioni particolarmente complesse, a dimostrazione che si tratta di attribuzione di un compito che implica il riconoscimento di una particolare professionalità del dipendente.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la RAI S.p.A. affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria depositata ai sensi dell’art. 378 codice di rito.

Il F. ha resistito con controricorso ed ha spiegato ricorso incidentale depositando altresì memoria.

La RAI ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia omesso esame circa fatti decisivi della controversia; omesso rilievo, in motivazione, dell’insufficienza delle deduzioni del ricorso in relazione alle mansioni che sarebbero state sottratte al F. in riferimento alle deduzioni articolate in memoria dall’azienda, ritenute tali da sanare le carenze deduttive del ricorso; erroneo riferimento, ai fini della definizione del thema decidendum, ai documenti tardivamente prodotti nel corso del giudizio, lamentando, tra l’altro, che la Corte territoriale non avesse compiutamente valutato che il F., nella sede di (OMISSIS), svolgeva un’attività non inserita in uno specifico team lavorativo e non poteva quindi considerarsi titolare di un potere gerarchico qualificante più di tanto la mansione di tecnico di primo livello allo stesso assegnata, poichè di fatto la mansione di coordinamento si realizzava nel proporre ad altri due colleghi di “coprire” uno dei tre turni giornalieri orari, verificando eventuali sforature.

2. Con il secondo motivo la RAI S.p.A. si duole dell’erronea interpretazione dell’art. 2103 c.c. in ordine al concetto di demansionamento; della violazione dell’art. 1362 c.c., comma 1; dell’erroneo significato attribuito ad un termine generico non qualificante una mansione; dell’erroneo convincimento circa l’irrilevanza, ai fini della determinazione del livello qualitativo della mansione, dei contenuti tecnico-professionali della stessa con erronea attribuzione, a tal fine, di rapporti interpersonali tra colleghi; dell’errata lettura della norma contrattuale; della irrazionale attribuzione di professionalità alla circostanza relativa al lemma “coordinamento”; della erronea interpretazione del significato da attribuirsi al “potere di conformazione aziendale”, deducendo, ancora una volta, che nella motivazione della Corte di Appello si insiste nel ritenere che il F., prevalentemente assegnato a compiti di fonico addetto a seguire giornalisti all’estero, e solo saltuariamente addetto a mansioni su supporto tecnico presso la sede del “giornale radio di (OMISSIS), svolgesse mansioni di coordinatore di altri tecnici. La società lamenta, inoltre, che la Corte di merito abbia fatto cattivo uso dell’art. 2103, compiendo una valutazione qualitativa delle mansioni svolte dal lavoratore con una evidente illogicità del ragionamento decisorio.

3. Con il terzo mezzo di impugnazione, dedotto come “subordinato”, la RAI lamenta l’illegittima valutazione del danno patrimoniale conseguente all’ipotetico demansionamento, operato sulla base di elementi inesistenti; l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio; il mancato riferimento alla circostanza dimostrata della piena utilizzazione come “fonico” del F. nel periodo dedotto in giudizio.

4. Il F., con il primo motivo di ricorso incidentale, lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2946, 2947, 2087, 2103 e 2909 c.c., in quanto la sentenza impugnata ha applicato erroneamente ed illegittimamente la prescrizione quinquennale e deduce che, al riguardo, successivamente alla sentenza oggetto di ricorso di legittimità, è intervenuta la sentenza della Suprema Corte n. 17579 del 2013 che ha dichiarato che si applica la prescrizione decennale in quanto il danno da demansionamento ha natura contrattuale. Il lavoratore sottolinea, altresì, che è pacifico che egli abbia chiesto il risarcimento del danno conseguente alla responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c., invocando la violazione degli artt. 1175, 1375 e 2103 c.c., e, in modo concorrente o alternativo, quello conseguente alla responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c., senza porre alcuna limitazione al preteso risarcimento, nel senso di una esclusione del danno c.d. biologico, con la conseguenza che l’azione di risarcimento del danno alla professionalità causato da illegittimo demansionamento, è soggetta a prescrizione ordinaria decennale, trattandosi di un diritto al risarcimento di un pregiudizio di natura patrimoniale cagionato da illecito contrattuale per violazione degli artt. 2087 e 2103 c.c. e non da illecito extracontrattuale.

5. Con il secondo ed il terzo motivo il lavoratore deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1126 c.c. con riferimento alla liquidazione del danno alla professionalità ed alla liquidazione del danno non patrimoniale, sostenendo che la Corte di Appello avrebbe operato la quantificazione del danno in modo del tutto arbitrario, decurtando in modo consistente la liquidazione effettuata in primo grado.

1.1 Quanto al primo motivo del ricorso principale, è da osservare che – anche prescindendo dalla genericità della contestazione formulata, che si risolve, in sostanza, nella astratta lamentela in ordine alla qualificazione del contenuto delle mansioni assegnate al F. – lo stesso, così come formulato, relativamente al dedotto vizio di motivazione è inammissibile.

Invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 23 aprile 2013, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. B. convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”.

E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue in ordine alla configurazione del demansionamento di cui si tratta. Infatti, dopo una puntuale ricostruzione dei fatti di causa, la Corte ha rettamente declinato le ipotesi in cui ricorre la dequalificazione professionale, soffermandosi sul fatto che “un conto sono le mansioni, altro sono gli strumenti utilizzati per svolgere dette mansioni, che, ovviamente, sono destinati al continuo aggiornamento tecnologico” ed ha spiegato i motivi per i quali al F., nel centro RAI di via Asiago sono stati sottratti gli aspetti qualificanti dell’attività che in precedenza svolgeva, nonostante l’utilizzo, da parte del medesimo, nel tempo, di strumenti tecnologicamente più sofisticati.

1.2 Quanto sin qui osservato vale anche a dimostrare la non fondatezza della censura articolata con il secondo mezzo di impugnazione (violazione dell’art. 2103 c.c., in relazione all’art. 1362 c.c., comma 1, con il quale si postula una violazione implicita del’art. 360 c.p.c., n. 3), posto che, come già messo innanzi in rilievo, la Corte territoriale ha operato una corretta sussunzione dei fatti nelle norme da applicare, sicuramente scevra dagli errores in iudicando che la parte ricorrente lamenta, facendo uso di argomentazioni logico-giuridiche ineccepibili, perchè sorrette da una completa delibazione dei fatti in sede probatoria, dalla quale la Corte è pervenuta all’accertamento del demansionamento e del danno conseguente (cfr., tra le molte, Cass. n. 25317/2016; Cass. n. 12253/2015).

1.3 Neppure il terzo motivo del ricorso principale (che viene dedotto in via “subordinata”) può essere accolto a causa dell’indeterminatezza della formulazione che non consente di distinguere con chiarezza l’oggetto della censura; invero, si lamenta, tra l’altro, l’illegittima valutazione del danno patrimoniale da parte della Corte di merito, senza il riferimento ad alcuna norma e, dall’altro, si censura l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, senza specificare alcunchè in merito. Quanto a quest’ultima censura valgano le considerazioni già svolte sub 1.1.

In ordine all’articolazione del motivo, si richiama la giurisprudenza di questa Corte relativa all’art. 366 codice di rito (ex multis, Cass. n. 25044/2013), alla stregua della quale, “In tema di ricorso per cassazione, l’indicazione delle norme che si assumono violate non è un requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità della censura, ma solo un elemento richiesto al fine di chiarirne il contenuto e di identificare i limiti dell’impugnazione, sicchè la relativa omissione può comportare l’inammissibilità della singola doglianza se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme ed i principi di diritto asseritamente trasgrediti, così precludendo la delimitazione delle questioni sollevate”.

1.4 Il primo motivo del ricorso incidentale è fondato.

Pacificamente, infatti, il F. ha chiesto il risarcimento del danno da demansionamento conseguente alla responsabilità che trova il proprio titolo nel contratto, cui la società datrice di lavoro non ha dato compiuta attuazione, in quanto, per ciò che è motivatamente emerso nei gradi di merito, la medesima ha violato le norme di correttezza e buona fede (art. 1175, 1375 c.c.) che devono presiedere all’attuazione del rapporto obbligatorio.

Orbene, pur se il lavoratore ha dedotto, in via concorrente e/o alternativa anche la violazione dell’art. 2043, ciò non sposta la qualificazione della responsabilità di natura contrattuale del datore di lavoro, in ordine alla quale vi è espressa domanda, in via principale. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire, in più occasioni, che sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., sia quello più specifico ex art. 2087 c.c. (cfr. Cass., S.U., n. 99/2001; Cass. n. 4184/2006).

Alla stregua, inoltre, della giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., Cass. n. 17579/2013), in tali casi si applica la prescrizione decennale, configurandosi in ipotesi di danno da demansionamento una responsabilità di natura contrattuale del datore di lavoro. E poichè, come innanzi osservato, è indubbio che il F. abbia invocato la tutela che scaturisce dall’art. 2087 c.c., la sentenza della Corte di merito va cassata nella parte in cui ha applicato la prescrizione quinquennale.

5.1 Il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale sono inammissibili.

In ordine alla valutazione degli elementi probatori, posto che la stessa è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora il ricorrente denunci, in sede di legittimità, l’omessa o errata valutazione di prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi al fine di consentire il vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad una diversa pronunzia, con l’attribuzione di una diversa valutazione alle dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio (Cass. n. 6023 del 2009). Nel caso di specie, invero, la contestazione, peraltro del tutto generica, sulla pretesa errata liquidazione del danno alla professionalità e del danno non patrimoniale si risolve in una inammissibile richiesta di riesame di elementi di fatto e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata o sarebbe stata illogica (cfr. Cass. n. 4056 del 2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014).

6. Per tutto quanto in precedenza esposto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito, a tutti i principi innanzi affermati, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e rigetta il secondo ed il terzo motivo. Cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2016

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