Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21977 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. III, 03/09/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 03/09/2019), n.21977

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2471-2017 proposto da:

EL.MA.DI. TRANS SERVICE SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PORTUENSE 104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentata e difesa dagli avvocati M.ISABELLA TORRIANI, FEDERICO

GORI;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA SPA (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

TELECOM ITALIA SPA (OMISSIS) in persona del procuratore speciale

Dott. R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

N 71, presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentata

e difesa dall’avvocato RICCARDO LEONARDI;

– ricorrente incidentale –

contro

ELMADI TRANS SERVICE SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 714/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2019 dal Consigliere Dott. FIECCONI Francesca.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con atto di citazione notificato in data 16/1/2003, la Executive Trasporti EL. MA. di Trans Service s.r.l. (ELMA) conveniva innanzi al Tribunale di Pesaro Telecom Italia s.p.a., per sentirla condannare all’esatto adempimento del contratto di fornitura e manutenzione di un impianto telefonico, con contratti del 15/7/2000, e al risarcimento dei danni; allegava di aver stipulato due contratti di leasing di apparecchiature telefoniche nel 15/7/2000 in ragione dell’apertura della nuova filiale di (OMISSIS), da collegare alla società madre tramite centralino, e che l’inadempimento riguardava sia il mancato rispetto dei tempi di consegna che la funzionalità dell’impianto, oltre che l’ingiustificata interruzione del servizio. Veniva disposta ed esperita CTU nel corso del primo grado e, con sentenza n. 468/2008 depositata il 20/8/2008, il Tribunale di Pesaro rigettava la domanda di risoluzione per inadempimento, così mutata in sede di precisazione delle conclusioni, per non essere stata raggiunta la prova che il malfunzionamento dell’impianto fosse imputabile alla convenuta.

2. Con atto notificato in data 3/10/2008 l’attrice proponeva impugnazione avverso la sentenza innanzi alla Corte d’appello di Ancona, e la convenuta si costituiva reiterando le eccezioni preliminari di incompetenza territoriale e di carenza di legittimazione passiva, rigettate in primo grado, senza tuttavia proporre appello incidentale sul punto.

3. Con sentenza n. 714/2016, pubblicata in data 13/6/2017, la Corte d’Appello di Ancona, i) in via preliminare, dichiarava inammissibili le eccezioni preliminari dell’appellata ex artt. 345 e 346 c.p.c., non essendo stata impugnata in via incidentale la statuizione sulla loro reiezione, e nel merito; ii) accertava la rinuncia dell’appellata all’eccezione di inammissibilità della mutatio libelli operata dalla società in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado; iii) nel merito, accoglieva parzialmente l’appello e dichiarava risolti i contratti datati 15/7/2000 per grave inadempimento di Telecom Italia s.p.a., mentre rigettava la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali, quantificati nella misura di Euro 258.000,00, in quanto non provati.

4. Con ricorso notificato in data 17/1/2017, la società attrice impugna la sentenza deducendo tre motivi di ricorso. La convenuta resiste con controricorso, notificato in data 27/2/2017, e propone ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

APPELLO PRINCIPALE:

1. Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo del giudizio, per non avere la Corte d’Appello esaminato il profilo di danno emergente, ma solo il danno da lucro cessante. Il ricorrente infatti contesta “la compressione (…) del petitum del giudizio”, nonchè la mancata disamina – e quindi l’omessa motivazione del profilo specifico di danno emergente richiesto. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1218,1223 e 1226 c.c., l’omessa e/o non coerente valutazione della “piattaforma probatoria” in atti, nonchè l’omessa considerazione di nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza e l’omesso ricorso ad una valutazione equitativa dei danni, da adottarsi nella fattispecie, attesa la difficoltà di quantificazione degli stessi. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., laddove la Corte d’Appello ha condannato la convenuta a rifondere all’attrice metà delle spese di lite dei due gradi di giudizio e non l’intero ammontare.

1.1. I primi due motivi, logicamente connessi, sono inammissibili.

1.2. I motivi, innanzitutto, non si confrontano con la ratio decidendi rinvenibile nella motivazione, là dove la Corte ha ritenuto di non potere ricorrere a una valutazione, anche solo in termini di probabilità o di perdita di chance, in mancanza di elementi probatori circa i maggiori costi di gestione sopportati a causa dell’inadempimento e lo sviamento di clientela. Ha ritenuto inoltre non sufficiente un’analisi dei risultati di gestione tramite i soli bilanci prodotti. Lo scrutinio della Corte di merito, pertanto, si è incentrato sulla comparazione di tutti i fattori determinanti i cd lucro cessante e danno emergente, addivenendo a conclusioni incensurabili in tale sede. Pertanto la censura non si conforma ai principi di specificità e conferenza con la motivazione indicati quali presupposto del ricorso nell’art. 366 c.p.c., n. 4. Oltretutto, la censura in ordine alla brusca interruzione del servizio risulta una nuova deduzione di cui la stessa Corte non ha tenuto correttamente conto.

1.3. La ricorrente, poi, censura la motivazione ritenendo “i costi di gestione” più propriamente riferiti a un danno emergente, ovvero l’omessa motivazione o considerazione di circostanze come “il protrarsi di un anno e mezzo di malfunzionamenti della linea telefonica e le problematiche di fonia interna, nonchè l’improvviso distacco della linea telefonica” che avrebbero provocato disagi e danni ex se. In tal modo essa introduce nuovi temi di indagine, non affrontati dal giudice di merito, senza indicare ove tali deduzioni siano state introdotte nel contraddittorio, in violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

1.4. Ha rilievo, infine, la constatazione che il “cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito” non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01).

2. Il terzo motivo è ugualmente inammissibile, in quanto la deduzione di violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. per l’operata compensazione della metà delle spese di lite non integra una violazione del principio della soccombenza, ravvisabile solo ove la parte vittoriosa sia condannata al pagamento delle spese legali. Con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 1572 del 23/01/2018; Sez. 1 -, Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017).

APPELLO INCIDENTALE.

3. Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la controricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 e 346 c.p.c., in relazione alla dichiarata inammissibilità delle eccezioni preliminari formulate nella comparsa di risposta di primo grado dalla società convenuta, relative all’incompetenza territoriale del Tribunale di Pesaro in favore del Tribunale di Torino e al difetto di legittimazione passiva della medesima.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. La parte deducente assume di essere stata vittoriosa in primo grado e di avere dunque diritto di reiterare in appello le eccezioni preliminari non accolte nel giudizio di primo grado senza essere onerata di svolgere impugnazione. Tuttavia la Corte di merito ha correttamente richiamato l’orientamento secondo cui l’eccezione non accolta debba essere proposta in forma di appello incidentale per non provocare la formazione di un giudicato sul punto, essendo evidente che in tale caso la parte è rimasta soccombente rispetto a tali eccezioni nel giudizio di primo grado (cfr. Cass. 9889/2016; Cass. 21967/2014). L’indirizzo giurisprudenziale succitato è condivisibile perchè conforme all’attuale giudizio di appello e agli oneri che esso impone alle parti, anche se sostanzialmente vittoriose, ove prevale l’esigenza di stabilizzare le decisioni impugnate sui punti, separatamente decisi e discussi, non resi oggetto di “specifico motivo di impugnazione”.

4. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente incidentale denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 7 e art. 342 c.p.c., comma 1, in relazione all’omessa decisione sul rilievo di nullità della citazione in appello per omesso avvertimento della facoltà di proporre appello incidentale e della facoltà di riproporre le eccezioni disattese in primo grado o comunque sulla richiesta di rimessione in termini per proporre appello incidentale.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. L’art. 342 c.p.c., laddove prevede che l’appello si propone con citazione contenente “le indicazioni prescritte nell’art. 163”, non richiede che l’atto d’impugnazione contenga anche lo specifico avvertimento, prescritto dall’art. 163 c.p.c., n. 7, comma 3, che la costituzione oltre i termini di legge determina le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., atteso che l’avvertimento in tali termini è riferito alle decadenze nel giudizio di primo grado e, in mancanza di una espressa previsione di legge, non può essere esteso alle decadenze della mancata tempestiva costituzione della parte appellata (Sez. 3, Sentenza n. 341 del 13/01/2016).

5. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente incidentale denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 1453,1218 e 1223 c.c., per avere la sentenza impugnata dichiarato la risoluzione del contratto seppure non richiesta nel gravame.

5.1. Il motivo è infondato.

5.2. In realtà la Corte di merito ha considerato che la domanda iniziale, riguardante la condanna all’esatto adempimento del contratto, è in seguito mutata come azione di risoluzione per inadempimento e che su tale mutatio libelli operata in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado vi è stata acquiescenza o rinuncia all’eccezione, rammentando altresì l’orientamento giurisprudenziale della Corte di legittimità secondo cui lo ius variandi possa esercitarsi in modo completo affiancando alla domanda di risoluzione non solo quella di restituzione ma anche quella di risarcimento danni(Cass. SU n. 8510/2014).

5.3. La motivazione resa dalla Corte deve essere tuttavia corretta solo laddove assume che la mutatio libelli così operata possa essere oggetto di eccezione impediente o di rinuncia a farla valere da parte della controparte, posto che la Corte ha ragionato in questi ultimi termini,assumendo che vi fosse stata una sostanziale rinuncia a far valere detta eccezione. In realtà il mutamento della domanda di “adempimento in forma specifica” in “domanda di risoluzione per inadempimento” è sottratto all’eccezione di parte o alla sua acquiescenza, essendo costruito come un diritto potestativo della parte che ha interesse a far valere l’inadempimento della controparte in relazione a tutti gli effetti che esso può comportare nel tempo in ordine alla manutenzione del contratto. Sicchè sotto questo profilo, il passaggio, consentito dall’art. 1453 c.c., comma 2, dalla domanda di adempimento a quella di risoluzione costituisce una deroga alle norme processuali che precludono il mutamento della domanda nel corso del giudizio e la proposizione di domande nuove in appello. La disposizione dell’art. 1453 c.c., comma 2, infatti, abilita la parte che ha invocato la condanna dell’altra ad adempiere a sostituire a tale pretesa con quella di risoluzione, in deroga agli artt. 183 e 345 c.p.c., anche nelle fasi più avanzate dell’iter processuale, oltre l’udienza di trattazione: quindi non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello (Cass. SU n. 8510/2014; Sez. 2 5 maggio 1998, n. 4521; questo indirizzo è stato ribadito – da Cass. Sez. 2 6 aprile 2009, n. 8234, e da Cass. Sez. 2 12 febbraio 2014, n. 3207, entrambe riferite a vicende processuali iniziate dopo il 30 aprile 1995 – in seguito alle riforma del regime delle preclusioni processuali realizzata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353).

6. Con il quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e art. 1513 c.c., comma 2, in relazione alla ritenuta carenza probatoria quanto all’avere adempiuto alle proprie obbligazioni rispetto ai vizi accertati del bene oggetto del contratto, nonchè l’insussistenza del grave inadempimento di cui all’art. 1453 c.c.; infine, deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dalla corrispondenza del bene ceduto alla società attrice rispetto a quello promesso, testimoniata da un teste (teste C. – omissis -).

6.1. Il motivo è inammissibile, in quanto tende a indurre questa Corte a ripercorrere il ragionamento “in fatto” del Giudice dell’appello, supportato da una CTU, in ordine alla mancata prova dell’esatto adempimento da parte della convenuta, tenuta ad assolvere tale onere.

7. Conclusivamente la Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si compensano in ragione della reciproca soccombenza delle parti.

PQM

I. dichiara inammissibile il ricorso principale;

rigetta il ricorso incidentale;

III. compensa le spese tra le parti;

IV. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente – principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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