Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21974 del 31/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 31/10/2016, (ud. 14/01/2016, dep. 31/10/2016), n.21974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2622/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la

rappresenta, e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.F., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

nonchè da:

B.F., C.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio ROBERTO RIZZO, che la

rappresenta e difene giusta delega in atti;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenZA n. 6277/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depitata il 18/01/2010 R.G.N. 2424/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2016 dal Consigliere GIUSEPPINA LEO;

udito l’Avvocato RICCARDI RAFFAELE per delega verbale Avvocato

FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per rigetto del ricorso

principale, inammissbilità ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma respingeva il ricorso proposto da B.F., nei confronti di Poste Italiane S.p.A., volto ad ottenere l’accertamento della nullità del termine apposto ai tre contratti ((OMISSIS)) stipulati con Poste Italiane S.p.A., con conseguente declaratoria della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data della prima assunzione e condanna della società resistente al ripristino del rapporto, nonchè al pagamento delle retribuzioni maturate, oltre accessori di legge.

La Corte territoriale della stessa sede, con sentenza depositata il 18/1/2010, in riforma della pronunzia di prime cure, dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti, essendo tra queste ultime intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dall'(OMISSIS), ed ancora in corso, e condannava la società appellata al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni maturate dal (OMISSIS), nei limiti di un triennio dalla cessazione di fatto dell’ultimo contratto, oltre accessori di legge.

La Corte di merito osservava, per ciò che in questa sede ancora rileva che, alla stregua dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, con l’Accordo del 25/9/1997 le parti sociali si sono limitate ad introdurre una nuova ipotesi di ricorso al contratto a termine, mentre nell’Accordo attuativo in pari data hanno fissato un limite temporale alle assunzioni; dalla qual cosa si desume la volontà delle parti di autorizzare, entro il detto limite temporale, la stipulazione di contratti a termine e di indicare la data anzidetta quale termine finale dell’autorizzazione concessa; successivamente, le parti hanno ulteriormente stabilito la possibilità di procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al (OMISSIS) a causa della mancata conclusione del processo di riorganizzazione. Pertanto, a parere del Collegio di merito, sino a tale ultima data, la società Poste poteva validamente concludere contratti a termine e prorogare di un mese quelli con scadenza prevista al (OMISSIS), mentre i contratti a termine – quali quelli di cui si tratta – stipulati in difetto di contrattazione autorizzatoria e, dunque, fuori dagli anzidetti limiti temporali rimangono invalidi.

Quanto al risarcimento del danno, la Corte di Appello opina che lo stesso non possa essere riconosciuto oltre un periodo di tempo che può essere considerato fisiologico per reperire una occupazione adeguata rispetto a quella svolta presso la Poste Italiane S.p.A., ovvero per un triennio dalla data di cessazione dell’ultimo contratto; che, non potendo configurarsi una automatica equivalenza del risarcimento ai compensi retributivi perduti, è compito del giudice, nel determinare l’entità del risarcimento, di tenere conto di tutti gli elementi della fattispecie, ivi compreso il comportamento tenuto nel frattempo dalla parte creditrice.

Per la cassazione della sentenza la S.p.A. Poste Italiane ha proposto ricorso articolato in tre motivi.

La B. ha resistito con controricorso ed ha spiegato ricorso incidentale, depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 CCNL 26 novembre 1994, nonchè degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001 relativamente agli artt. 1362 c.c. e segg., sostenendo che la decisione resa dal giudice di appello risulterebbe meritevole di cassazione, per violazione e falsa applicazione di tutte le norme innanzi indicate, nella parte in cui ha ritenuto di individuare nella data del (OMISSIS) il termine ultimo di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25/9/1997, poichè, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., sarebbe evidente che, non solo il predetto accordo non contiene limiti temporali, ma anche che le parti, con i vari accordi attuativi, non hanno inteso limitarlo nel tempo, ma soltanto integrare l’art. 8 del CCNL del 26/11/1994; il che dovrebbe necessariamente fare ritenere che le parti intendessero introdurre un’ipotesi che, così come le altre previste nel medesimo art. 8, doveva essere efficace fino allo scadere del CCNL citato.

2. Con il secondo motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si denuncia omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e si lamenta che la sentenza impugnata non sia sufficientemente motivata in ordine alla fonte di individuazione della volontà delle parti collettive di fissare alla data ultima del (OMISSIS), il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo del 25/9/1997.

3. Con il terzo mezzo di impugnazione Poste Italiane S.p.A. lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 c.c. e deduce che la pronunzia abbia erroneamente ritenuto che fossero dovute le retribuzioni in conseguenza dell’accertamento della nullità del termine.

1.1 I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto, all’evidenza, intimamente connessi, essendo, in sostanza, entrambi diretti a confutare l’interpretazione dell’Accordo del 25 settembre 1997 accolta dalla Corte di merito, sono infondati.

I giudici di Appello, invero, correttamente hanno rilevato, con puntuali riferimenti ai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia – cfr., in particolare e fra le molte, Cass. nn. 2345/2006, 27311/2005, ai quali in questa sede si fa espresso riferimento, non ritenendo questo Collegio di legittimità che vi siano motivi per discostarsene -, che l’ipotesi concernente la presente controversia è quella individuata nell’Accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dalle parti sindacali ad integrazione dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 che contempla le esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi; ipotesi precisata, appunto, dall’Accordo sindacale stipulato anch’esso il 25 settembre 1997, attuativo per assunzioni con contratto a termine, a norma del quale, in relazione all’art. 8 del CCNL, così come integrato con Accordo 25 settembre 1997, le parti si danno atto che, sino al 31 gennaio 1998, l’impresa si trova nella situazione che precede, dovendo, appunto, affrontare il processo di ristrutturazione, con conseguente rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione; per la qual cosa, per fare fronte alle suddette esigenze è possibile procedere ad assunzione di personale straordinario con contratto a tempo determinato. Il termine del 31 gennaio 1998 è stato poi definitivamente prorogato al 30 aprile 1998 in forza dell’Accordo sindacale attuativo sottoscritto il 16 gennaio 1998.

La Corte di merito, fatte queste doverose premesse, ha motivatamente reputato, conformemente al menzionato indirizzo della Corte di legittimità (cfr., ancora, Cass. n. 27311/2005, cit.), che i contratti a termine di cui si tratta fossero da reputarsi illegittimi, in quanto stipulati oltre il limite di efficacia della clausola autorizzatoria.

Per tutto quanto precede e data l’inidoneità dei due mezzi di impugnazione esaminati a scalfire la sentenza oggetto di giudizio, il ricorso va rigettato, dovendosi dichiarare assorbito il terzo motivo per effetto dell’accoglimento del ricorso incidentale.

4. In particolare, con tale ultimo ricorso – articolato dalla lavoratrice in nove motivi, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, in quanto aventi ad oggetto, nella sostanza, le richieste di carattere economico -, la B. deduce la nullità in parte qua della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la società Poste nella propria memoria non ha richiesto che il diritto da essa contestato al risarcimento del danno vantato dall’appellante fosse ridotto in applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, in difetto della prova che la lavoratrice si fosse preoccupata di reperire nelle more un altro impiego, evitando, in tal modo, di accrescere il proprio danno. E, pertanto, secondo la prospettazione della B., la Corte distrettuale avrebbe dovuto pronunciarsi soltanto in merito all’eccezione dell’aliunde perceptum, proposta nella memoria di primo grado e ribadita in appello, e non su quella dell’aliunde percipiendum, non sollevata dalla società.

Nei motivi di ricorso incidentale si deduce altresì la violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che prevede la liquidazione equitativa del danno da parte del giudice solo se il danno non può essere provato; la motivazione insufficiente o contraddittoria su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; la violazione o falsa applicazione degli artt. 2729, 2697 e 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; la violazione di quanto disposto nell’art. 432 c.p.c. e dall’art. 114 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

4.1 Il ricorso incidentale è fondato, in quanto la sentenza in oggetto viola palesemente il principio sancito dall’art. 112 c.p.c., di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, non potendo andare il giudice altra petita, ma dovendo pronunziare solo sulle domande ed eccezioni proposte dalle parti; peraltro, l’eccezione di cui si tratta non rientra tra quelle rilevabili di ufficio.

La detta violazione è denunziabile in Cassazione come error in procedendo e comporta la nullità parziale della sentenza, che va cassata, nella parte in cui statuisce sulle disposizioni economiche riguardanti la misura ed il limite temporale del risarcimento del danno riconosciuto alla lavoratrice nell’ambito soltanto di un triennio dalla cessazione di fatto dell’ultimo contratto, sulla base delle argomentazioni enunciate in narrativa.

Al riguardo, sovviene il consolidato orientamento della Corte di legittimità (cfr., tra le molte, Cass. nn. 6204/2008 e 9809/2008; ordinanza n. 8897/2008), alla stregua del quale, nel riconoscere il risarcimento del danno in via equitativa, con delimitazione fino alla scadenza del terzo anno successivo alla cessazione dell’ultimo contratto a termine, si procede ad una illegittima valutazione equitativa del danno, se non ne ricorrono i presupposti ex art. 1226 c.c., laddove sono presenti tutti i parametri necessari per una esatta determinazione correlata alle retribuzioni spettanti. A tale motivazione si fa riferimento in questa sede, stante l’identità delle situazioni oggetto di causa, dovendosi anche qui rilevare che del tutto apodittica appare la giustificazione posta dalla Corte di merito a fondamento della limitazione del risarcimento nei termini anzidetti, perchè attinente ad un giudizio non corroborato da alcun dato certo ed attinente soltanto alla asserita “fisiologicità” del periodo di tempo di un triennio dalla cessazione di fatto dell’ultimo contratto a termine per il reperimento di una occupazione adeguata rispetto a quella svolta presso la società Poste.

5. La sentenza va pertanto cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito, a tutti i principi innanzi affermati, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso incidentale.

Rigetta i primi due motivi del ricorso principale e dichiara assorbito il terzo motivo dello stesso ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2016

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