Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21974 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. un., 30/07/2021, (ud. 13/07/2021, dep. 30/07/2021), n.21974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sezione –

Dott. ACIERNO Maria – Presidente di Sezione –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15018-2020 proposto da:

ENTE PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI, MINISTERO DIFESA (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende op

legis;

– ricorrenti –

contro

ASSEMBLEA DI AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE N. 3 MARCHE CENTRO –

MACERATA – AATO N. 3, elettivamente domiciliata in ROMA, V. CICERONE

28, presso lo studio dell’avvocato CARMINE STINGONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANDREA GALVANI;

SOCIETA’ PER L’ACQUEDOTTO DEL NERA SPA, elettivamente domiciliata in

L’AQUILA, VIALE LIEGI, 35/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

COLAGRANDE, che la rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonché contro

COMUNE DI CASTEL SANT’ANGELO SUL NERA, REGIONE MARCHE – SERVIZIO

TUTELA GESTIONE ED ASSETTO DEL TERRITORIO – PF VALUTAZIONI, COMUNE

DI MACERATA, COMUNE DI VISSO, COMUNE DI USSITA, ARPAM – AGENZIA

REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE DELLE MARCHE – DIP MARCHE,

ASUR AREA VASTA N. 3 MACERATA, AUTORITA’ DI DISTRETTO DELL’APPENNINO

CENTRALE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 229/2019 del TRIB. SUP. DELLE ACQUE PUBBLICHE

di ROMA, depositata il 09/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente nonché dall’AATO 3.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

AATO n. 3 Centro Marche e Società Acquedotto del Nera S.p.A., con distinti ed autonomi ricorsi, hanno impugnato il Decreto 29 maggio 2017, n. 24 della Regione Marche – Dirigente della P.F. Valutazioni Ambientali, laddove, in sede di valutazione di impatto ambientale, ha autorizzato fino al 31.12.2011 (prevedendo, recte prescrivendo il monitoraggio) l’aumento di captazione per uso potabile – richiesto dalla concessionaria Soc. Acquedotto sul Nera S.p.A. in forza di convenzione con AATO – limitatamente alla portata di 50 l/s delle acque sotterranee della sorgente di San Chiodo, nel Comune di Castel Sant’Angelo sul Nera.

Lamentavano le ricorrenti che, anziché aumentare la captazione a 550 l/s, come espressamente richiesto nel rispetto del programma predefinito dalla Regione, si era passati da 150 l/s a 200 l/s, senza soddisfare le esigenze sottese all’aumento della captazione, documentalmente rappresentate nella richiesta.

Nei motivi d’impugnazione, che lamentavano la concorrente violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, del R.D. n. 1775 del 1933, della L.R. n. 5 del 2006 e della L. n. 241 del 1990, si sosteneva che fossero stati di fatto disapplicati gli atti di programmazione adottati a monte dalla Regione per l’incremento della captazione resosi necessario per soddisfare le esigenze del bacino degli utenti insediati nel territorio. Deduceva l’AATO 3 che il fabbisogno idropotabile era specificamente documentato, in conformità al piano regolatore degli acquedotti adottato dalla Regione il 10.03.2014 e che non sarebbero tecnicamente attuabili le soluzioni alternative di cui allo studio dell’Università La Sapienza. Inoltre, contrariamente a quanto contenuto nel decreto impugnato, sarebbero state effettuate tutte le verifiche sugli impatti locali a valle dell’aumento di portata della captazione, dalle quali si evincerebbe l’assenza di alcun pregiudizio apprezzabile per il deflusso delle acque.

Si costituivano il Corpo Forestale dello Stato, il Parco dei Monti Sibillini e il comune di Castel Sant’Angelo sul Nera che eccepivano la sopravvenuta carenza d’interesse, avendo il decreto cessato i propri effetti, alla luce dell’emanazione del decreto regionale n. 35 del 23.02.2018, avente il medesimo oggetto, che era stato impugnato con autonomo ricorso.

Nel merito facevano presente che l’istruttoria eseguita dalla Regione, su conformi pareri degli organi tecnici, valorizzava i profili ambientali potenzialmente pregiudicati dall’aumento della portata della captazione, e ciò in quanto il decreto aveva espresso parere negativo sulla compatibilità ambientale, facendo riferimento sia al contrasto con il piano del parco dei Monti Sibillini che alla fragilità territoriale della zona sismica ove l’intervento ricade.

Il Tribunale Superiore delle Acque, riuniti i ricorsi, con la sentenza n. 229 del 9 dicembre 2019, accoglieva gli stessi, condannando la Regione Marche, il Comune di S. Angelo sul Nera ed il Parco dei Moniti Sibillini al rimborso delle spese di lite, che invece compensava nei rapporti con il Corpo Forestale dello Stato.

Preliminarmente respingeva l’eccezione d’improcedibilità dei ricorsi per sopravvenuta carenza d’ interesse.

Infatti, il decreto regionale n. 35 del 23.02.2018, atto conclusivo del procedimento amministrativo, si era limitato a concedere l’aumento della portata di derivazione di 50 l/s per un totale di concessione pari a 200/Is. Il decreto non aveva affatto inciso sulla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, incentrata sull’asserita illegittimità dell’incremento di captazione per uso potabile limitatamente alla portata di 50 l/s anziché a quella richiesta pari a 400 l/s.

Osservava, quanto al merito, che l’AATO, nella fase iniziale della procedura, aveva formulato istanza d’avvio della procedura di VIA, presentando a tal fine lo studio di impatto ambientale redatto da Società Acquedotto del Nera S.p.A. sulla base degli studi dell’Università La Sapienza.

La tutela ambientale preventiva connessa all’intervento è devoluta alla valutazione degli organi tecnici del procedimento di VIA: in quella sede sarebbero stati specificamente esaminati gli effetti prodotti sull’ambiente su cui, viceversa, insistevano le amministrazioni resistenti, prospettando genericamente profili di danno ambientale.

La richiesta d’incremento della captazione a 550 l/s della Società Acquedotto Del Nera trovava oggettivo riscontro nel Piano regolatore regionale degli Acquedotti adottato dalla Regione Marche con deliberazione n. 238 del 10.3.2014: il fabbisogno idrico dei Comuni ricompresi nell’ambito per il periodo dal 2015 al 2050 ammontava, secondo il piano, a 550 l/s.

Il Piano in questione trovava supporto nella normativa regionale in tema di Piano di tutela delle acque, approvato con deliberazione n. 145 del 26 gennaio 2010 e nel Regolamento del servizio idrico integrato AATO 3, approvato con deliberazione n. 7 del 9 ottobre 2008. Sicché il Piano regolatore regionale degli Acquedotti teneva conto della tutela della qualità delle acque erogate all’utenza, ed, al pari degli atti di programmazione, fondava l’aspettativa di quanti operano imprenditorialmente nel settore programmando a loro volta gli interventi sulla base delle opzioni attinte nel piano.

La documentazione versata in atti attestava che AATO 3 aveva puntualmente verificato gli impatti locali nei corpi idrici

ricadenti nel Parco a valle del prelievo nonché gli impatti differiti sugli usi assentiti a valle del prelievo e lungo il corso del fiume Nera.

Gli elaborati depositati, fra i quali lo studio idrogeologico dell’Università La Sapienza, erano al riguardo esaustivi.

Non erano state riscontrate interferenze con i percorsi sotterranei; il deflusso in alveo del fiume Nera era in grado di raggiungere il deflusso minimo vitale (D.M.V.).

La carente misurazione delle portate di derivazione di altri concessionari in zona, contestata nell’atto impugnato, era imputabile all’assenza di misurazione della portata effettivamente derivata dagli altri concessionari. Ne’ era ex se preclusiva all’incremento della captazione la zona sismica ove ricade la fonte di prelievo. Gli eventi sismici, in senso contrario a quanto presupposto nell’atto impugnato, comportano, secondo dati tecnici allo stato non smentiti (cfr. report della Protezione civile), il massimo deflusso delle acque, non già il possibile decremento del deflusso in grado di pregiudicare il rispetto del D.M.V..

Da ultimo non andava passato sotto silenzio che le perplessità sulla tutela dell’ambiente genericamente palesate dalle amministrazioni resistenti avrebbero potuto essere verificate sul campo: ossia in fase di sperimentazione dell’incremento della captazione aderendo alla proposta espressamente formulata da AATO, rimasta inspiegabilmente inevasa. Conclusivamente i ricorsi erano fondati e, per l’effetto, doveva essere annullato in parte qua, per difetto d’istruttoria e di motivazione, il decreto n. 24 del 29.05.2017 della Regione Marche laddove aveva autorizzato fino al 31.12.2017 l’aumento di captazione per uso potabile limitatamente alla portata di 50 1/s delle acque sotterranee della sorgente di San Chiodo.

Per la cassazione della sentenza del TSAP l’Ente Parco Nazionale dei Monti Sibillini ed il Ministerio della Difesa Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Corpo Forestale dello Stato hanno proposto ricorso sulla base di sei motivi.

L’Assemblea di Ambito Territoriale Ottimale n. 3 Marche Centro e la Società per l’Acquedotto del Nera (SAN) S.p.A. hanno resistito con autonomi controricorsi.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

In prossimità dell’udienza parte ricorrente e l’Assemblea di Ambito Territoriale n. 3 hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza o del procedimento con violazione o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., quanto alla improcedibilità dei ricorsi dinanzi al TSAP per sopravvenuta carenza di interesse.

Si deduce che le ricorrenti hanno impugnato dinanzi al TSAP il decreto di VIA n. 24/2017, nella parte in cui ha espresso un giudizio negativo di compatibilità ambientale, quanto all’aumento della captazione dai 150 l/s originariamente concessi nel 2003 a 500 l/s, come richiesti con la domanda di nuova concessione in variante del 12/5/2016.

Tuttavia, la Regione Marche, a conclusione del procedimento, ha emesso i decreti di concessione di soli 50 l/s (e conformemente al decreto impugnato) con i successivi provvedimenti n. 94/2017, con efficacia fino al 31/12/2017, n. 35/2018 (ritirato in autotutela, perché emesso senza nulla osta del Parco e senza limite temporale), e n. 164/2018 con efficacia sino al 31/1/2019.

Nessuno di tali provvedimenti è stato però impugnato dalle ricorrenti, ed anzi nel diverso giudizio che vedeva impugnati da parte del Parco il decreto n. 35/2018, si è dato atto del ritiro in autotutela del provvedimento impugnato ed il TSAP, con le sentenze nn. 190 e 191 del 2019, ha concluso per l’improcedibilità dei ricorsi per sopravvenuta carenza di interesse.

La sentenza gravata ha invece ritenuto che dovesse essere respinta l’eccezione di improcedibilità anche del ricorso proposto in questa sede, in quanto i successivi provvedimenti della Regione non avevano inciso sulla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, volta a contrastare la legittimità di un incremento di captazione limitato a soli 50 l/s anziché a 400 l/s, come invece richiesto.

Trattasi, a detta dei ricorrenti, di conclusione erronea, in quanto l’interesse al conseguimento del bene della vita sotteso alle iniziative giudiziarie della SAN e di AATO 3 è ormai precluso per effetto dei successivi decreti n. 94/2017 e 164/2018 mai impugnati che hanno autorizzato l’aumento solo per 50 l/s.

Il motivo è infondato.

Ed, infatti, una volta ribadito, in conformità delle stesse deduzioni di parte ricorrente, che non appaiono peraltro contraddette dalla difesa delle controricorrenti, che ad essere impugnato in questa sede è il decreto n. 24/2017, emesso in sede di VIA, con il quale è stata espressa la valutazione circa l’impatto ambientale della richiesta di variante alla originaria concessione, quale conseguenza della pretesa di incremento della portata, e che con tale decreto è stato espresso un giudizio di carattere positivo limitatamente ad un incremento della portata limitato a soli 50 l/s, peraltro temporaneo e condizionato all’esecuzione di ulteriori monitoraggi qualitativi e quantitativi di tutto il sistema (cfr. l’esito del giudizio di VIA come riportato in ricorso a pag. 45), non può incidere sull’interesse a proseguire la coltivazione delle impugnative qui proposte l’adozione dei successivi decreti regionali con i quali, e tendenzialmente in via temporanea, si è data concreta attuazione all’incremento di portata, ma nei limiti dettati dal decreto emesso in sede di VIA.

Infatti, correttamente la decisione impugnata ha evidenziato che l’interesse alla base delle impugnative del decreto n. 24/2017 era quello volto a contestare il giudizio negativo espresso quanto ad un incremento superiore ai soli 50 l/s ritenuti compatibili (sia pure con cautele), così che soddisfacendo almeno in parte l’interesse delle ricorrenti la valutazione positiva per la ridotta misura ora indicata, non poteva ravvisarsi alcun interesse a contestare gli atti successivamente emessi dalla regione con i quali si dava concreta esecuzione, quanto all’incremento della portata al parere positivo emesso in sede di VIA.

Rimaneva però intatto l’interesse a contrastare la valutazione di cui al decreto impugnato relativamente al giudizio negativo espresso per la maggiore portata non ritenuta assentibile, interesse che non appare in alcun modo soddisfatto dai successivi decreti richiamati in motivo, risultando quindi del tutto irrilevante ai fini del riscontro della persistenza dell’interesse ad agire la circostanza che i decreti successivi non siano stati a loro volta impugnati.

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per motivazione apparente o perplessa, con la conseguente violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c..

Assume parte ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe apodittica ed illogica tale da risultare meramente apparente o sostanzialmente inesistente.

Infatti, il Collegio sembra non avere inteso quale fosse il reale oggetto dell’impugnazione sottoposta al suo esame, e cioè il decreto regionale di VIA n. 24/2017, e non anche i provvedimenti con i quali si era inteso dare attuazione alla richiesta di incremento della portata idrica della concessione.

Infatti, a pag. 9, nel riepilogare il contenuto della decisione, la sentenza dispone l’annullamento del Decreto n. 24 del 2017 “…laddove ha autorizzato fino al 31/12/2017 l’aumento di captazione per uso potabile limitatamente alla portata di 50 l/s delle acque sotterranee della sorgente di San Chiodo”.

Ma tale affermazione non si confronta con il fatto che in realtà il decreto VIA aveva solo espresso un giudizio di compatibilità ambientale, e non era il provvedimento che invece effettivamente disponeva l’aumento di captazione.

L’illogicità e l’incomprensibilità della motivazione emerge poi anche dal riscontro con quanto affermato dalla stessa sentenza a pag. 8, dove, dopo essersi dato atto che le ricorrenti avevano formulato istanza di avvio della procedura di VIA, con la presentazione della documentazione necessaria, aggiunge che: “Vale a dire che la tutela ambientale preventiva connessa all’intervento è devoluta alla valutazione degli origani tecnici del procedimento di VIA: in quella sede saranno specificamente esaminati gli effetti prodotti sull’ambiente su cui, viceversa, insistono le amministrazioni resistenti, prospettando genericamente profili di danno ambientale”.

Il tempo futuro di cui si è servito il TSAP nel periodo riportato appare privo di giustificazione in quanto non è coerente con il fatto che ad essere impugnato era proprio il decreto di VIA, e cioè quel provvedimento che era già stato chiamato a compiere la valutazione della compatibilità dell’incremento della concessione con le esigenze ambientali, sicché risulta priva di logicità la relazione ad una successiva valutazione di organi tecnici, che invece era già avvenuta.

Si aggiunge poi che la decisione gravata, nel riconsiderare gli elementi documentali già oggetto di valutazione nel decreto n. 24/2017, ha confutato la loro rilevanza, nella parte negativa alle ricorrenti, e li ha invece valorizzati per le sole parti alle stesse favorevoli, con motivazione apodittica e tramite una ricostruzione dei fatti inverosimile.

La giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 11423/2021) ha ribadito che la decisione del Tribunale superiore delle acque pubbliche è impugnabile per vizio di motivazione solo qualora l’anomalia denunciata rilevi ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, ove tale ultimo disposto sia anch’esso applicabile (già per Cass. S.U. n. 28547/2008, e così Cass. S.U. n. 616/2019, n. 16983/2019, n. 5422/2021), ed allorché ricorra una mancanza materiale di motivazione o una motivazione apparente o irrimediabilmente perplessa.

Tuttavia il motivo è infondato, ritenendo la Corte che la motivazione del giudice di merito, sebbene non abbia poi tratto le dovute conseguenze dall’individuazione dell’atto in concreto impugnato, come poi rilevato in occasione della disamina dei successivi motivi di ricorso, soddisfi il requisito del cd. minimo costituzionale della motivazione, come più volte precisato nella giurisprudenza di questa Corte.

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto le ricorrenti hanno impugnato con i ricorsi introduttivi separatamente proposti, il decreto n. 24/2017, senza però impugnare i successivi decreti della Regione con i quali era stato autorizzato l’aumento di captazione per uso potabile limitatamente alla portata di 50 l/s.

Ne deriva che la sentenza che ha invece disposto l’annullamento del decreto n. 24/2017, anche nella parte in cui ha previsto l’aumento della portata, ha violato la regola posta dall’art. 112 c.p.c..

Il motivo deve essere dichiarato inammissibile alla luce del principio affermato da ultimo da Cass. S.U. n. 16979/2019, secondo cui ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 204, che opera un rinvio recettizio alle corrispondenti norme del codice di procedura civile del 1865 – qualora il Tribunale Superiore delle acque pubbliche sia incorso nel vizio di extrapetizione, l’impugnazione esperibile è l’istanza di rettificazione al medesimo Tribunale superiore e non il ricorso alle Sezioni unite della Corte di cassazione di cui ai successivi artt. 200 – 202 dello stesso T.U., esperibile invece in caso di omesso esame di un motivo, non rientrando quest’ultima ipotesi tra quelle per cui è prevista la rettificazione ai sensi del citato art. 204 (conf. Cass. S.U. n. 9662/2014).

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale con violazione dell’art. 111 Cost., comma 8 e art. 24 Cost., il R.D. n. 1775 del 1933, art. 143, comma 1, lett. a), in combinato disposto con la L. n. 183 del 1989, art. 30 e con le norme che attribuiscono poteri e competenze al parco (D.M. 3 febbraio 1990 e D.P.R. 6 agosto 1993).

Si evidenzia che il TSAP ha accolto i ricorsi della SAN e dell’AATO n. 3 compiendo però un sindacato sule scelte tecniche effettuate dagli organi che hanno preso parte alla conferenza di servizi di cui al documento istruttorio richiamato nella VIA, esercitando quindi un potere che non poteva essere esercitato.

Infatti, il provvedimento oggetto di causa è espressione di discrezionalità che sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salva la manifesta illogicità, arbitrarietà ed irragionevolezza, e quindi l’annullamento disposto dalla sentenza impugnata ha invaso la sfera riservata appunto alla discrezionalità dell’autorità amministrativa.

Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare della L. n. 394 del 1991, artt. 1, 11 e 13, dello Statuto e del Regolamento del Parco dei Monti Sibillini; del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 2,3 ter, 3 quater, 3 quinquies, 4,6,7 bis, 8,19,22,23,25,76,82,95,96,144,145,146 e 164 del Disciplinare per la salvaguardia e l’uso compatibile delle risorse idriche approvato di PCS n. 25 del 27 aprile 2007, D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 4, comma 2, art. 6, art. 7, comma 1 e 2, ex art. 164, nonché del D.M. del 28 luglio 2004, art. 7; della direttiva n. 2011/92/UE e della Direttiva n. 92/43/CEE (cd. Direttiva Habitat); del piano di gestione delle acque del distretto dell’Appennino Centrale redatto ai sensi della Direttiva sulle Acque n. 2000/60/CE.

Dopo avere richiamato la collocazione geografica del fiume Nera e delle sorgenti cui si riferisce la richiesta di aumento della portata, con specifico riferimento alla posizione all’interno del territorio del Parco dei Minti Sibillini, si ricordano i principi di tutela e gestione delle aree protette ricavabili dalla L. n. 394 del 1991, ribadendosi come tra le attività vietate, in quanto potenzialmente idonee a compromettere la salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente, rientra anche la modificazione del regime delle acque.

Si segnala poi che il monitoraggio delle risorse idriche nel bacino interessato dalla domanda delle originarie ricorrenti, ha evidenziato situazioni diffuse di siccità, anche in ragione di una serie di derivazioni con situazioni di criticità.

Ne deriva che correttamente era stato emesso un giudizio negativo di VIA quanto alla richiesta di maggiore ampliamento della portata della concessione, assicurando un più limitato incremento, e sempre con l’adozione di un monitoraggio.

La valutazione contenuta nel provvedimento impugnato rappresenta il frutto di una adeguata comparazione tra tutte le informazioni e consultazioni svolte, e quindi non è censurabile se non per macroscopici vizi di irrazionalità, come peraltro affermato in numerosi precedenti sia dal TSAP che del Consiglio di Stato.

Il principio di precauzione che è alla base della legislazione comunitaria e nazionale, impedisce l’utilizzo delle risorse idriche potenzialmente idee a compromettere la tutela dell’ambiente, in assenza di certezze scientifiche circa la compatibilità dell’uso richiesto.

La documentazione prodotta dalle ricorrenti si palesava come inidonea ad offrire certezze in tal senso, e ciò anche alla luce dei principi per cui la captazione delle acque in aree protette costituisce un’eccezione alla regola secondo cui è vietato tutto ciò che non sia espressamente consentito.

Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 394 del 1991, artt. 1, 11 e 13 del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 2, 3 ter, 3 quater e 3 quinquies, 4, 6, 7 bis, 8, 76, 82, 95, 96, 144, 145, 146 e 164, della L.R. n. 30 del 2011, art. 2, comma 2.

In particolare si censura la decisione del TSAP nella parte in cui, per addivenire all’accoglimento dei ricorsi, ha fatto richiamo all’efficacia conformativa del Piano regolatore regionale degli Acquedotti adottato dalla regione Marche con deliberazione n. 238 del 10/3/2014, che prevedeva un fabbisogno idrico dei Comuni ricompresi nell’ambito di interesse, dal 2015 al 2050, pari a 550 l/s, aggiungendo che tale Piano trovava supporto nella normativa regionale in tema di Piano di tutela delle Acque, approvato con Delib. n. 145 del 26 gennaio 2010 e nel Regolamento del servizio idrico integrato ATO 3, approvato con deliberazione del 9 ottobre 2008.

In tal modo ha attribuito rilievo all’interesse legittimo delle richiedenti, fondato però su atti programmatici privi di forza vincolante, come affermato da altri precedenti del TSAP (sent. n. 196/2019).

Il fabbisogno indicato nei Piani richiamati in motivazione non implica anche quale debba essere la provenienza e le modalità di acquisizione della risorsa idrica, anche perché il Piano regolatore degli acquedotti è stato solo approvato dalla Giunta Regionale, ma non adottato dall’Assemblea Legislativa delle Marche, e non può quindi avere efficacia vincolante.

Ne deriva che la sentenza è illegittima nella parte in cui ha riconosciuto un affidamento in capo alle richiedenti per effetto di un mero progetto, ancora non approvato dall’Assemblea Regionale, e che non può quindi vincolare il giudizio espresso in sede di VIA.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.

Rileva il Collegio che ancorché la sentenza impugnata In abbia correttamente identificato il provvedimento impugnato nel decreto n. 24/2017, che attiene alla valutazione di impatto ambientale relativa alla richiesta di modifica della concessione, dalla motivazione della sentenza traspare però una non del tutto corretta individuazione degli effetti e della natura dello stesso provvedimento gravato, soprattutto nella parte in cui ritiene di poter annettere allo stesso un’efficacia direttamente modificativa del contenuto della concessione che però non ha. Ciò traspare sia a pag. 5 della sentenza (ove si riferisce di una limitazione cronologica degli effetti del decreto sino alla data del 31/12/2017 quanto all’aumento di captazione, limitazione temporale che non è contenuta nel decreto di Via che prescrive solo un monitoraggio) sia a pag. 9 ove nell’indicare l’atto impugnato ancora una volta si fa riferimento ad un provvedimento che ha autorizzato l’aumento di captazione.

Tuttavia, sebbene tale non del tutto corretta individuazione dell’oggetto dell’impugnazione non si traduca in un vizio insanabile della motivazione, ha in ogni caso inciso sulla corretta applicazione delle norme invocabili nel caso di specie (come ad esempio traspare dal passaggio in cui, pur a fronte dell’impugnazione di un atto che era stato chiamato a verificare la compatibilità ambientale della nuova concessione – o meglio della variante di preesistente concessione – si fa riferimento ad una successiva valutazione degli organi tecnici che è invece quella all’esito della quale è stato proprio adottato il provvedimento impugnato).

Rileva la Corte che la rilevanza della VIA rispetto al successivo rilascio della concessione di derivazione di acque pubbliche è ben delineata da Cass. S.U. n. 16039/2010, secondo cui, nell’ambito del procedimento per il rilascio della concessione di derivazione di acque pubbliche è prevista l’obbligatoria apertura di un subprocedimento per la valutazione dell’impatto ambientale, la cui conclusione, se positiva, consente la prosecuzione e l’eventuale esito favorevole di quello principale, mentre, ove negativa, preclude l’accoglimento della domanda del richiedente, dovendosi ritenere che detti procedimenti perseguono interessi pubblici differenti, posto che in quello principale va valutata l’opportunità del rilascio della concessione procedendo, in caso di più domande concorrenti, ad una valutazione comparativa, così da pervenire alla scelta migliore, mentre in quello incidentale il giudizio di compromissione dell’interesse ambientale è di tipo assoluto e preclude il rilascio della concessione in relazione al progetto negativamente valutato, a prescindere da ulteriori profili di convenienza. Ne consegue che la valutazione comparativa tra le domande concorrenti spetta esclusivamente all’autorità competente per il rilascio della concessione e non a quella titolare del rilascio del parere di valutazione dell’impatto ambientale, essendo la comparazione ammissibile soltanto tra i richiedenti che abbiano ottenuto il parere positivo.

Ciò trova altresì conferma nella L.R. Marche n. 3 del 2012, e precisamente all’art. 16 della stessa, il cui comma 3 dispone che ” Il provvedimento di VIA contiene le condizioni per la realizzazione, l’esercizio e la dismissione dei progetti, nonché quelle relative a eventuali malfunzionamenti, ivi incluse le eventuali prescrizioni necessarie per l’eliminazione o la mitigazione dell’impatto negativo sull’ambiente. In nessun caso può essere dato inizio ai lavori di realizzazione delle opere o interventi senza che sia intervenuto il provvedimento di VIA, ove previsto”.

La valutazione del TSAP nella fattispecie non ha però tenuto conto del carattere altamente discrezionale che assume la VIA, come si ricava da numerosi precedenti sia del giudice amministrativo (Consiglio di Stato sez. II 07/09/2020, n. 5379, secondo cui l’Amministrazione, nel formulare il giudizio sull’impatto ambientale, cd. VIA, esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di una valutazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria ovvero quando l’atto sia privo di idonea motivazione; conf. Consiglio di Stato sez. II, 06/04/2020, n. 2248, per cui il giudizio di compatibilità ambientale è reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione e attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera; apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione, anche perché la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto tecnico di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici e privati) che dello stesso TSAP (sentenza n. 15/2018, a mente della quale il giudizio specifico di compatibilità ambientale – c.d. VIA – su un’opera o un impianto idraulico, in quanto finalizzato alla tutela preventiva di un interesse pubblico, non si risolve in un mero giudizio tecnico, ma presenta profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte effettuate dalla P.A. quando non siano manifestamente illogiche e incongrue).

Siffatto principio ha poi trovato conferma anche nella giurisprudenza di legittimità che ha ribadito che (Cass. S.U. n. 7833/2020) il giudizio di compatibilità ambientale, pur reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione (pienamente esposti al sindacato del giudice), è attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera. Tale apprezzamento è sindacabile dal giudice amministrativo, nella pienezza della cognizione del fatto, soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti, perciò, evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione.

Ne discende che le valutazioni tecniche complesse – rese in sede di VIA sono pertanto censurabili solo per macroscopici vizi di irrazionalità e ciò proprio perché le scelte della P.A., che devono essere fondate su criteri di misurazione oggettivi e su argomentazioni logiche, non si traducono in un mero a meccanico giudizio tecnico, essendo la V.I.A. un istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’interesse pubblico e connotato da profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa”.

In termini analoghi si veda anche in motivazione Cass. S.U. n. 10018/2019, che afferma che lo scrutinio del TSAP deve involgere la ragionevolezza, o meno, dell’esercizio della discrezionalità tecnica rimessa alla Autorità, essendo “opportuno valutare attentamente le relazioni intercorrenti tra conservazione dell’ambiente naturale e suo utilizzo antropico ai fini della produzione di energia elettrica”, occorrendo nell’ambito di tale valutazione adeguarsi a criteri di maggior rigore resi necessari dall’esigenza di più elevata tutela della qualità del corpo idrico, siccome imposti dal “principio di precauzione” e dalla disciplina, di relativa derivazione, sovranazionale e nazionale.

Va altresì ricordato quanto affermato, sempre in motivazione, da Cass. S.U. n. 11423/2021, secondo cui, in relazione all’impugnazione della VIA, occorre tener conto della natura chiaramente condizionale del parere espresso anche dall’Autorità di bacino, sia della latitudine degli oneri che, in materia, la Corte di Giustizia ha chiarito, precisando che nella valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati per la Direttiva 2011/92/UE le relative norme (artt. 4 e 5) vanno interpretate “nel senso che impongono al committente di fornire informazioni che esaminino esplicitamente l’impatto significativo del suo progetto su tutte le specie individuate nella dichiarazione fornita in applicazione di tali disposizioni” così che “il committente deve fornire informazioni relative all’impatto ambientale tanto della soluzione prescelta quanto di ciascuna delle principali alternative da lui prese in esame, nonché le ragioni della sua scelta, sotto 11 profilo, perlomeno, del loro impatto sull’ambiente, anche in caso di rigetto, in una fase iniziale, di tale alternativa” (CGUE 7 novembre 2018, in C-461/17, Brian Holohan). Inoltre il principio, manifestamente, esclude in radice ogni diverso canone che imponga programmaticamente di ricorrere alla sperimentazione, solo posteriormente alla conseguita autorizzazione.

Nella specie, quindi, lo scrutinio del TSAP deve involgere la ragionevolezza, o meno, dell’esercizio della discrezionalità tecnica rimessa alla Autorità.

Nella specie, è pur vero che nella specie il provvedimento n. 24/2017 è stato annullato per difetto di istruttoria e di motivazione (così a pag. 9), ma la valutazione è inficiata a monte da un non corretto inquadramento della tipologia di provvedimento opposto.

Il riferimento all’atto come idoneo a determinare l’aumento della captazione, mentre invece si verte in materia di valutazione di impatto ambientale, prodromica alla concreta adozione del provvedimento concessorio, unitamente al richiamo a future valutazioni degli organi tecnici del procedimento di VIA, denota in maniera evidente come non sia stata correttamente intesa la natura del provvedimento impugnato e che quindi anche il giudizio sulla sufficienza o meno della documentazione analizzata e la congruità delle osservazioni che hanno fondato il rigetto non sono parametrati al livello di discrezionalità di cui è invece espressione la VIA, essendo quindi il giudizio, anche in punto di difetto di istruttoria, falsato dall’errato inquadramento giuridico.

5. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in relazione ai motivi accolti, e la causa deve essere rinviata al Tribunale superiore delle acque pubbliche, che la deciderà in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e rigettato il primo ed il secondo, e dichiarato inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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