Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21973 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. III, 03/09/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 03/09/2019), n.21973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21823-2017 proposto da:

ARTEMIS SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ILDEBRANDO GOIRAN, 4, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTA

BALLATORE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA GATTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS) in persona del Ministro in

carica, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 616/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/03/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo di

ricorso, assorbiti gli altri;

udito l’Avvocato ANDREA GATTO;

udito l’Avvocato VERDIANI FEDELI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Artemis S.r.L. in liquidazione ricorre per la cassazione della sentenza n. 616/2017 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 15/02/2017, affidandosi a sei motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia che si avvale della facoltà di depositare memoria.

Il Ministero della Giustizia conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano la società Artemis S.r.L., odierna ricorrente, in opposizione al decreto n. 17283/11, con il quale gli era stato ingiunto di pagare Euro 59.156,06, a titolo di sorte capitale, oltre agli interessi moratori, ex D.Lgs. n. 231 del 2002, e alle spese della procedura, quale corrispettivo del noleggio di apparecchiature elettroniche per intercettazione telefonica e ambientale da parte di numerose Procure della Repubblica e, in particolare, di quella di Milano.

L’ingiunto assumeva, data l’inesistenza di un rapporto contrattuale tra le parti, la non invocabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002, quanto agli interessi, e l’inapplicabilità della procedura monitoria e chiedeva che la fattispecie venisse regolata con l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, il Testo Unico in materia di spese di giustizia.

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 15977/2013, rigettava l’opposizione del Ministero della Giustizia e confermava il decreto ingiuntivo opposto.

La Corte d’Appello di Milano, investita del gravame dal Ministero di Giustizia, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, dopo aver rigettato l’eccezione di giudicato esterno dedotta dalla società Artemis, accoglieva integralmente l’appello, riformava la decisione di prime cure, revocava il decreto ingiuntivo e compensava tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.

In particolare, il giudicante rilevava che tutti i crediti di Artemis S.r.l., risultanti dalle fatture prodotte nel fascicolo monitorio, erano stati liquidati ai sensi del D.P.R. n. 215 del 2002, art. 168 e pagati sia pure con ritardo. A causa di tale ritardo la società Artemis aveva imputato il pagamento ricevuto prima agli interessi maturati, con decorrenza dalla scadenza di ciascuna fattura, e poi al capitale; il thema disputandum, dunque, era costituito esclusivamente dall’asserito ritardo con cui il Ministero aveva provveduto al pagamento delle somme risultanti dai decreti di liquidazione rispetto alla scadenza di ogni fattura: ritardo che avrebbe determinato il maturare di interessi moratori ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, di talchè il pagamento non avrebbe estinto il capitale per effetto dell’applicazione degli ordinari criteri di imputazione.

Nel merito, la Corte d’Appello riteneva che nel caso di specie non ricorresse una transazione commerciale, come confermato dall’emissione dei decreti di liquidazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168; che i provvedimenti autorizzativi non costituissero accettazione di proposta contrattuale, perchè il singolo Procuratore della Repubblica non risulta investito del potere di impegnare contrattualmente l’Amministrazione della Giustizia; che le ditte che noleggiano le apparecchiature per le intercettazioni non sono ausiliari di giustizia; che per il corretto inquadramento della fattispecie dovesse prendersi in considerazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 70 in base al quale le spese straordinarie di giustizia sono quelle previste da altre disposizioni, ma reputate indispensabili dal magistrato procedente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere gli effetti del duplice giudicato esterno prodottosi tra le stesse parti in due precedenti giudizi aventi la medesima causa petendi ed il medesimo petitum.

La ricorrente esclude che, come ritenuto dalla Corte territoriale, nel caso di specie ci si trovi dinanzi ad una situazione particolare precludente la possibilità di avvalersi dell’eccezione di giudicato esterno: a) perchè, avendo imputato quanto ricevuto prima agli interessi e poi al capitale, ai sensi dell’art. 1194 c.c., il Ministero era risultato parzialmente inadempiente; b) perchè anche nelle decisioni precedenti i pagamenti erano avvenuti sulla scorta di decreti emessi ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168.

Il motivo è infondato.

Lasciando in disparte i profili di inammissibilità, perchè i due decreti ingiuntivi di cui si invoca l’effetto di giudicato esterno sono sì riprodotti in ricorso, ma manca la specifica indicazione della sede in cui essi sarebbero rinvenibili ed esaminabili in questo giudizio di legittimità (Cass. 08/03/2018, n. 5508; Cass. 18/10/2011, n. 21560), non soccorrendo a tal fine la generica indicazione “in atti”, la ricorrente confonde la casuale coincidenza degli elementi delle domande formulate in questo come nei precedenti giudizi con la piena identità delle stesse.

La premessa in iure è che il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copra non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito e il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione, le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa formulata in giudizio nonchè l’insieme delle circostanze di fatto poste alla base della richiesta, a condizione che il diverso giudizio riguardi le stesse parti, abbia lo stesso petitum e la stessa causa petendi (Cass. 18/07/2018, n. 19113).

Nel caso di specie, è superfluo, infatti, accertare se nei precedenti giudizi la liquidazione delle somme spettanti alla ricorrente fosse stata preceduta dall’emissione di altrettanti decreti di liquidazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 168 e/o se la PA dovesse considerarsi parzialmente inadempiente, considerato che le somme da essa versate, in applicazione dell’art. 1194 c.c., e salvo il consenso del creditore a una diversa imputazione, andavano riferite agli interessi e non al debito capitale; tale superfluità discende dal fatto che i giudizi precedenti non riguardavano lo stesso rapporto giuridico.

Tra i due giudizi precedenti e quello oggetto dell’odierna controversia non ricorre nè un rapporto di pregiudizialità nè una relazione di dipendenza, perchè il diritto di credito fatto valere in ciascuno dei giudizi aveva una vita propria; le pretese non trovavano fonte nello stesso – ma in titoli diversi e del tutto autonomi, differenti sia per petitum che per causa petendi (Cass. 07/03/2011, n. 5396; Cass. 30/07/2004, n. 14593) – e neppure in titoli dipendenti da un medesimo rapporto obbligatorio di durata.

Vi era soltanto una coincidenza delle questioni giuridiche da esaminare: coincidenza che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente escluso possa costituire il presupposto per invocare l’autorità del giudicato sostanziale (Cass. 24/03/2014, n. 6830; Cass. 27/01/2002, n. 1760; Cass. 19/07/2005, n. 15222; Cass. 27/08/2002, n. 12564).

2. Con il secondo motivo Artemis S.r.l. deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 267 e 268 c.p.c. e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Per la ricorrente i decreti di liquidazione, anzichè natura costitutiva del diritto di credito, avrebbero rilevanza endoprocedimentale e dichiarativa di un credito sorto aliunde e le cui condizioni economiche erano state già convenute all’atto di disposizione della intercettazione e con l’accettazione da parte del Procuratore della Repubblica dei servizi offerti; inoltre il PM dovrebbe ritenersi legittimato ad assumere l’obbligazione per conto dell’Amministrazione, altrimenti non potrebbe neppure ratificare il proprio precedente operato ordinando all’amministrazione di pagare al terzo quanto dovuto nè prendere decisioni in ordine ai corrispettivi, perchè essi dovrebbero essere imposti unilateralmente dalla PA sulla base di prezzari e/o parametri generali.

In senso contrario non avrebbe potuto prendersi in considerazione la forma estremamente semplificata con cui il PM aveva accettato la proposta della ditta (ad esempio, apponendo sulla relativa offerta la dicitura “Visto, si autorizza”), perchè l’autorizzazione non aveva bisogno di motivazione e perchè essa presupponeva un contratto a monte. Del resto, se l’autorizzazione espressa in forma sintetica non fosse risultata valida ad esserne travolta sarebbe tutta l’attività di intercettazione.

Neppure sarebbe corretto ritenere che la autorizzazione assumesse rilevanza endoprocedimentale perchè essa non si risolveva in un ordine rivolto al privato.

3. Con il terzo motivo la società Artemis lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 in materia di spese di giustizia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi è che, essendo il rapporto tra le parti di natura privatistica, esso dovesse essere sottratto all’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002; non sarebbe stato, dunque, invocabile l’art. 71, relativo alla domanda di liquidazione delle spettanze, perchè esso si applica solo agli ausiliari del magistrato ed anche la giurisprudenza di legittimità (Cass. pen. 26/09/2007, n. 39853) ha escluso che una società che metta a disposizione della polizia giudiziaria le apparecchiature informatiche per le intercettazioni ambientali rivesta tale qualifica, perciò il provvedimento di liquidazione adottato dal magistrato che procede non costituirebbe un provvedimento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 ma un atto di verifica a fini amministrativi interni.

Non essendo ausiliario del magistrato, la società locatrice delle apparecchiature non aveva la legittimazione ad agire ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170 come ha riconosciuto, infatti, la giurisprudenza di legittimità più volte (Cass. pen. 9/02/2016, n. 2573) e come ribadito dall’Avvocatura generale dello Stato, per conto del Ministero, sulla scorta del carattere di specialità della disciplina dettata per la liquidazione dei compensi agli ausiliari del giudice.

Neppure sarebbe stato corretto invocare il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 70 come ritenuto dalla sentenza impugnata, considerato che esso definisce le spese straordinarie come quelle “non previste nel presente testo unico e ritenute indispensabili dal magistrato che procede, il quale applicherà, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 61, 62, 63 e dell’art. 277 e per l’importo utilizzerà prezzari analoghi. Il decreto di pagamento è disciplinato dagli artt. 168, 169, 170 e 171”.

Le ragioni, ad avviso della ricorrente, sarebbero svariate:

a) la giurisprudenza di legittimità che ha attribuito la competenza a liquidare le fatture emesse dai gestori di telefonia per l’acquisizione dei tabulati telefonici appartiene al GIP, cioè, al magistrato che procede, riguarda i compensi dovuti agli operatori di telefonia, i quali, ove richiesti, sono tenuti a mettere a disposizione i tracciati telefonici, ai sensi dell’art. 96 del Codice delle Comunicazioni, dietro corresponsione delle somme determinate con pubblico prezzario (Cass. pen. 6/05/2009, n. 24013; Cass. pen. 4/02/2009, n. 19650; Cass. pen. 10/05/2006, n. 21757);

b) le ditte che locano le proprie apparecchiature lo fanno, invece, su base volontaria, non vi sono tenute per legge;

c) il D.P.R. n. 115 del 2002 introduce una normativa speciale insuscettibile di trovare applicazione nei confronti delle ditte che mettono a disposizione apparecchiature di intercettazione ambientale: queste ultime non sono mai menzionate nel D.P.R. n. 115 del 2002, il servizio prestato non risulta regolamentato, come non lo è la tariffa applicabile;

d) la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di natura contrattuale il rapporto tra la PA e le ditte noleggiatrici (Cass. pen. 29/10/2007, n. 39853; Cass. pen. 11/09/2008, n. 35107; Cass. pen. 23/10/2003, n. 40330);

e) il R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 17 consente alla PA di perfezionare contratti a trattativa privata secondo l’uso del commercio;

f) la Circolare del Ministero di Giustizia del 15/03/2006, secondo cui sono da considerare spese di giustizia i soli costi delle prestazioni di intercettazione in senso proprio rese dagli operatori di telefonia a fronte delle richieste autorizzate dall’autorità giudiziaria (…) restano escluse (…) tutte quelle spese che (…) non rientrano nel concetto d’intercettazione, non sono sostenute dagli operatori di telefonia (…); non possono essere considerate spese di giustizia: le spese necessarie all’effettuazione di intercettazioni preventive “ambientali” che non comportino prestazioni a carico degli operatori telefonici (ad es. noleggio e/o utilizzo delle apparecchiature necessarie alla captazione delle comunicazioni o conversazioni tra privati)”;

g) non esistono i prezzari richiamati dall’art. 70;

h) non possono applicarsi alla fattispecie in esame gli artt. 168, 169, 170 e 171;

i) la giurisprudenza della Corte di Appello di Milano esclude che le spese di noleggio delle apparecchiature di intercettazione rientrino nelle spese straordinarie di giustizia.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 17 e delle norme che fissano i requisiti di forma dei contratti con la PA nonchè dell’art. 1325 e ss. c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto della possibilità di stipulare a distanza contratti con la PA, tramite corrispondenza, nei quali la volontà delle parti può risultare da distinti atti scritti che si atteggiano come proposta ed accettazione, secondo lo schema dell’art. 1327 c.c.; avrebbe erroneamente negato la natura contrattuale del rapporto tra le parti, non essendo esso stato preceduto da una procedura selettiva funzionale alla scelta del contraente con la PA, omettendo di considerare che il D.Lgs. n. 163 del 2006, il Codice degli appalti, prevede la procedura negoziata, senza bando di gara, nel caso di contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi quando cui il servizio possa essere affidato ad un operatore economico da individuarsi in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (il Cons. Stato 14/04/2011, n. 2330 ha riconosciuto la legittimità del ricorso alla procedura negoziata per i contratti di affidamento del servizio di attività di intercettazione data la possibilità di attribuire a tali contratti la qualifica di segretezza).

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il Consiglio di Stato, con sentenza 7/07/2012, n. 3368, nel caso di una ditta noleggiatrice che aveva adito la giurisprudenza amministrativa per ottenere le somme previste dal provvedimento di liquidazione emesso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 aveva ricondotto il contratto tra la società noleggiatrice e la PA ad una ordinaria transazione commerciale, ritenuto non assimilabili le somme dovute per il noleggio al compenso da attribuirsi all’ausiliario del giudice e non sussumibile la fattispecie sotto l’usbergo del D.Lgs. n. 231 del 2002.

Facendo leva su tale decisione la ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver applicato il D.Lgs. n. 231 del 2002, il quale, secondo la prospettazione offerta, risulterebbe applicabile anche nell’ipotesi in cui la liquidazione dei compensi avvenga con il D.P.R. n. 115 del 2002.

Per di più se il credito diventasse certo, liquido ed esigibile solo con il decreto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 168 la decisione sul momento di pagamento verrebbe sottoposta alla discrezionalità della PA, non essendovi un termine per l’emissione del decreto. Il Consiglio di Stato, con sentenza 02/02/2010, n. 459, ha affermato che la PA deve ritenersi imprenditore forte D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 2 quando conclude contratti iure privatorum e non ha il potere di stabilire unilateralmente le conseguenze del proprio inadempimento contrattuale (come gli interessi moratori o le conseguenze del ritardato pagamento).

5.2. I motivi numeri due, tre, quattro e cinque, suscettibili di trattazione unitaria, perchè sottopongono all’attenzione di questa Corte questioni giuridiche connesse, risultano infondati.

Il thema disputandum è la qualificazione pubblicistica ovvero privatistica dell’obbligazione della P.A. nei confronti delle ditte private noleggiatrici/locatrici delle apparecchiature utilizzate per le intercettazioni ambientali.

Se l’obbligazione avesse natura pubblicistica essa risulterebbe sottratta in tutto o in parte al diritto privato contrattuale e se ne imporrebbero tanto la sottoposizione alla specifica disciplina contenuta nel D.P.R. n. 115 del 2002 quanto l’adozione – cfr. Cass. 24/01/2019, n. 2074 – di criteri di liquidazione diversi da quelli di mercato e basati su appositi prezzari, allo scopo di mantenere, grazie ad opportuni correttivi, entro limiti ragionevoli le spese di giustizia, sulla falsa riga di quanto accade: a) con le spese di demolizione di opere abusive e di riduzione in pristino dei luoghi che, ove affidate ad imprese private, vengono determinate nel loro ammontare mediante l’impiego del prezzario per le opere edili e impiantistiche dei provveditorati alle opere pubbliche delle Regioni; b) con gli operatori di telefonia, le cui prestazioni sono imposte dall’art. 96 del Codice delle telecomunicazioni ed il cui corrispettivo è stabilito mediante decreto del Ministero delle comunicazioni; c) con i CTU, i quali, per la loro attività di consulenza, non hanno diritto ad una prestazione determinata secondo i parametri di mercato.

Va ricordato, in via preliminare, ai soli fini che qui interessano – cfr. Cass. n. 2704/2019, cit., p. 5 – che sono “spese di giustizia, gravanti in via preventiva sull’erario e destinate al successivo recupero, le spese derivanti dall’espletamento dell’intera gamma di attività strumentali allo svolgimento del processo penale, nel senso più ampio del suo integrale dipanarsi dalla fase di indagine a quella di esecuzione”.

Tali spese, oltre a distinguersi in ripetibili ed irripetibili, si differenziano a seconda che siano espressamente previste come spese correlate allo svolgimento del processo penale ovvero che non lo siano, ma che, in quest’ultimo caso, vengano ritenute indispensabili dal magistrato che procede, il quale applicherà, “in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 61, 62 e 63 e dell’art. 277 e per l’importo utilizzerà prezzari analoghi. Il decreto di pagamento è disciplinato dagli artt. 168, 169, 170 e 171” (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 70).

La questione specifica è, dunque, se le spese per il noleggio delle apparecchiature per le intercettazioni rientrino tra quelle “connesse allo svolgimento del processo penale” e ritenute “indispensabili” dal magistrato procedente: e se, quindi, avendo tali caratteri siano da considerarsi “spese straordinarie di giustizia”, come ha ritenuto la Corte d’Appello nella sentenza impugnata.

Per chiarire tale profilo è necessaria una breve premessa atta a ricostruire il quadro normativo di riferimento.

Fino al 2004 era pacifico che dette spese non fossero espressamente previste come spese di giustizia dal D.P.R. n. 115 del 2002. Perciò tutto si riduceva ad un’alternativa: considerarle oppure no “spese straordinarie di giustizia”, nel senso anzidetto.

Il quadro normativo si è fatto più complesso con l’entrata in vigore della L. 30 dicembre 2004, n. 311, la quale ha modificato del D.P.R. n. 112 del 2002, art. 1 includendo espressamente tra le spese ripetibili dall’Erario, che le ha anticipate, quelle relative alle prestazioni di cui all’art. 96 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. 10 agosto 2003, n. 259) e, ai fini che qui interessano, quelle “funzionali all’utilizzo delle prestazioni medesime” (art. 5, comma 1, lett. i-bis, come modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 326).

Le prime, relative alla remunerazione degli operatori telefonici e all’attività di tracciamento, riguardano le prestazioni cui sono tenuti ex lege gli operatori di telefonia, ove richiesti, a fini di giustizia, dalle competenti autorità giudiziarie, liquidate sulla scorta di appositi listini; tra le seconde, quelle strumentali all’utilizzazione delle medesime, devono ritenersi comprese anche quelle per il noleggio delle apparecchiature necessarie alla captazione e alla registrazione.

Su entrambe tali tipologie di spese è intervenuto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 bis introdotto dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 120, in vigore dal 10/11/2018, il quale ha previsto espressamente che le spese relative alle prestazioni obbligatorie a fini di giustizia, effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie, e quelle funzionali all’utilizzo delle prestazioni medesime debbano essere liquidate con decreto giudiziale ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 individuando esclusivamente nel Pubblico Ministero, che ha eseguito o richiesto l’autorizzazione a disporre le operazioni captative, il soggetto competente ad emettere tale decreto di pagamento.

Le somme dovute alla società Artemis sono state comunque liquidate sulla base del titolo di pagamento di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 secondo una tendenza evidentemente già consolidata già prima della entrata in vigore della nuova previsione normativa (Cass. 2074/2019, cit., parla di affermazione consolidata, “benchè i gestori di telefonia e le ditte che noleggiano apparati funzionali alle operazioni di intercettazione non rivestano lo status di ausiliari del magistrato, e tantomeno di custodi”); il che, contrariamente a quanto dedotto dalla società ricorrente, rafforza la convinzione che le spese per cui è causa siano sempre state sottoposte ad un regime pubblicistico e permette altresì di superare una serie di obiezioni, evidentemente fuorvianti e inconferenti, circa la natura e la funzione del decreto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168.

La scelta normativa fatta con l’introduzione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 bis comprova, infatti, la volontà del legislatore, per un verso, di attrarre le spese per intercettazioni nel novero di quelle di giustizia, anche relativamente alle modalità di liquidazione, e, per altro verso, di disciplinare con le stesse modalità sia i costi per le prestazioni obbligatorie cui sono tenuti gli operatori delle comunicazioni telefoniche sia quelli per la locazione dei macchinari da soggetti privati.

Tale assimilazione è stata, non a caso, valorizzata anche da Cass. n. 2074/2019, cit., la quale ne ha tratto il ragionevole convincimento che non vi sia ragione di introdurre a livello interpretativo una distinzione che non si rinviene nella normativa, la quale, invece, tende ad unificare le varie tipologie di spesa per le intercettazioni in un’unica categoria.

Che si trattasse di spese straordinarie di giustizia normalmente liquidate con il decreto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168 trova indiretta conferma anche in Cass. 11/02/2014, n. 3004, la quale, a fronte di un provvedimento con il quale era stato autorizzato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 70 e quindi liquidato il costo del noleggio di apparecchiature e dell’assistenza tecnica per attività di intercettazione, aveva stabilito che il decreto con il quale era stata liquidata la spesa poteva essere impugnato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 per asseriti vizi riguardanti l’ammontare delle somme liquidate, ma non anche per questioni attinenti ai provvedimenti discrezionali antecedenti.

La pronuncia consolida la conclusione che le spese per il noleggio degli apparecchi di intercettazioni siano state ritenute spese straordinarie di giustizia, liquidate con decreto del magistrato disponente, opponibili esclusivamente con gli strumenti predisposti a tale scopo.

Merita attenta considerazione anche l’iter attraverso cui normalmente si addiviene alla liquidazione delle spese di noleggio.

Ratione temporis, occorre far riferimento alla Circolare del Ministero della Giustizia del 14 dicembre 2010, la quale, in un’ottica di monitoraggio delle spese di giustizia e di loro imputazione, stabilisce che per le spese di intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali l’iter procedurale di spesa inizia con un provvedimento dell’Autorità giudiziaria che dispone l’intercettazione; i gestori telefonici ovvero le società di noleggio degli apparati emettono la relativa fattura; l’ufficio giudiziario, previo riscontro della regolarità delle prestazioni, provvede alla liquidazione della spesa. Il provvedimento di liquidazione viene infine iscritto nel registro delle spese pagate dall’Erario ed è trasmesso per il pagamento al funzionario delegato insieme alla documentazione giustificativa (…) è all’atto della liquidazione che viene quantificato l’ammontare della spesa da porre a carico dell’Erario, con contestuale individuazione della persona del creditore. Invece, con la presentazione del documento contabile di spesa, il credito, certo e liquido, determinato nel suo ammontare in quanto già liquidato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, diventa anche esigibile.

Da tale circolare si evince, ai fini che qui interessano, che le spese per il noleggio delle apparecchiature di intercettazione ambientale sono annoverate tra quelle di giustizia e non sono sottoposte ad un trattamento diverso rispetto a quello riservato ai gestori telefonici; inoltre, è evidente che le fatture sono sottoposte ad un vaglio di congruità e di regolarità, perciò il credito acquista i caratteri della certezza, della liquidità e della esigibilità solo con il decreto di pagamento D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 168.

Ancor più decisivo, per affrontare la controversia in esame, risulta, come rilevato da Cass. n. 2074/2019 cit., l’art. 268 c.p.p., comma 3, secondo cui le operazioni di intercettazione possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica. Solo allorchè tali impianti risultino insufficienti o inidonei ed esistano eccezionali ragioni di urgenza il Pubblico ministero può disporre il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione della polizia giudiziaria.

Sono considerate impianti di pubblico servizio anche le apparecchiature acquisite per l’occasione mediante noleggio presso imprese private. E quanto a quelli in dotazione della polizia giudiziaria non rileva lo strumento giuridico attraverso cui la polizia riceve tale dotazione (compravendita, comodato, locazione o altro), ciò che conta è che a terzi estranei sia precluso accedervi (Cass. pen. 30/09/2003, n. 330) e che il loro utilizzo per l’ascolto e per la registrazione avvenga sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria (Cass. pen. 7/04/2004, n. 19072), potendo anche essere nominato quale ausiliario della polizia giudiziaria, personale tecnico della ditta da cui siano stati noleggiati i suddetti impianti (Cass. pen. 01/07/2003, n. 35186).

Si tratta in tutta evidenza di elementi e circostanze che unitariamente considerati descrivono la natura peculiare dell’attività di intercettazione ambientale, per tale ragione destinataria di specifiche prescrizioni volte ad assicurare che essa si svolga circondata da cautele, soprattutto se le apparecchiature siano state noleggiate, proprio come è avvenuto nella vicenda in esame, presso terzi.

Entro la stessa cornice di riferimento deve collocarsi il fatto che la ditta noleggiatrice non venga individuata, come di norma dovrebbe avvenire, mediante una procedura selettiva del contraente che offra maggiori garanzie di correttezza e serietà professionale e le condizioni più vantaggiose.

Proprio con riferimento ai contratti di affidamento del servizio di attività di intercettazione, il Cons. Stato – sent. 14/04/2011, n. 2330 – ha giustificato l’utilizzo da parte dell’Amministrazione del modulo procedimentale costituito dalla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara (trattativa privata), ai sensi del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 57, e con il criterio di aggiudicazione prescelto dell’offerta economicamente più vantaggiosa ex art. 57, comma 6 e art. 83 stesso D.Lgs.: in relazione alle peculiarità del servizio da svolgersi, caratterizzato da comprensibili aspetti di delicatezza e segretezza, per cui detto modus procedendi, quanto meno per ciò che attiene al sistema di scelta del futuro contraente, appare congruo oltrechè conforme al dettato di cui al cit. D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 17 per quanto riguarda i servizi svolti in favore dell’Amministrazione della giustizia (nella specie si trattava del servizio di intercettazioni telefoniche), richiedenti speciali misure di sicurezza e segretezza e particolari modalità di affidamento, in deroga alle disposizioni relative alla pubblicità delle gare.

Si tratta di profili non dirimenti, perchè la P.A. può perseguire l’interesse pubblico, stipulando tanto contratti di diritto comune quanto contratti di diritto speciale che giustificano, ai fini che qui interessano, l’applicazione, accanto alle tradizionali norme privatistiche (il ricorso alla procedura di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 17), di quelle derivanti dalla legislazione speciale (il titolo di pagamento è esclusivamente il decreto del PM procedente).

Una volta accolte tali premesse, si intuisce la irrilevanza di quanto stabilito da Cass. pen. 29/10/2007, n. 39853 che, in una fattispecie analoga a quella oggetto dell’odierna impugnazione, aveva cassato l’ordinanza con cui il Tribunale aveva ritenuto che l’operazione della società, la quale aveva messo a disposizione gli strumenti necessari per l’intercettazione a seguito di provvedimento autorizzatorio del pubblico ministero, rientrasse fra quelle riconducibili all’art. 348 c.p.p., comma 4, con riferimento alle quali il privato agisce come longa manus o come ausiliario del Pubblico Ministero ed avesse reputato che il canone dovuto per il noleggio delle apparecchiature fosse sottratto all’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 71 relativo alle spettanze degli ausiliari di giustizia. La Corte aveva escluso del tutto correttamente che la ditta noleggiatrice fosse un ausiliario del giudice cui applicare i criteri di liquidazione delle relative spettanze.

Ulteriori argomenti nella medesima direzione possono essere tratti dalla decisione della Cassazione penale n. 2573 del 06/02/2016.

Infatti, in un caso in cui si controverteva della qualifica di ausiliario del giudice ricoperta da una società di capitali, ai fini della legittimazione della medesima a proporre opposizione, in forza del D.P.R. n. 112 del 2002, art. 170 ai decreti di liquidazione a suo favore relativi all’avvenuto svolgimento di attività di tracciamento, ossia per l’attività informativa di raccolta dei dati relativi a conversazioni telefoniche, riconobbe tale legittimazione in capo alla società; in motivazione ebbe a precisare che, ai fini della conclusione raggiunta, non costituiva ostacolo la decisione della Corte di Cassazione, sez. pen. 26/09/2007, n. 39853, dato che essa riguardava l’inapplicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 71, in caso di richieste di liquidazione avanzate da società che avevano dato in noleggio apparecchiature destinate all’esecuzione di operazioni di intercettazione.

In conclusione, deve riconoscersi che il corrispettivo dovuto alla società Artemis per il noleggio delle apparecchiature utilizzate per le intercettazioni ambientali abbia una innegabile connotazione pubblicistica, non scalfita, ma semmai accentuata dalle particolari procedure di selezione e di liquidazione delle relative spettanze, che la sua determinazione non è affidata nè affidabile alla libera contrattazione, che il titolo di pagamento è esclusivamente il decreto del Pubblico Ministero, adottato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002.

Del resto, il D.P.R. n. 115 del 2002 era stato introdotto anche allo scopo di superare la precedente normativa in materia di spese di giustizia, secondo la quale il magistrato, per le spese di competenza, con decreto si limitava a quantificarle, mentre era rimesso al personale amministrativo l’ordine di pagamento, determinandosi, quindi, una sostanziale duplicazione del titolo di pagamento.

Con la vigenza del T.U. in materia di spese di giustizia “La sola distinzione rimasta è quella tra ordine di pagamento emesso dal funzionario allorchè la quantificazione dell’importo da liquidare non presenta alcun elemento di discrezionalità (…) e decreto di pagamento emesso dal magistrato, necessario allorchè la quantificazione comporta questioni valutative (…). Pertanto, in base alla nuova disciplina, se la quantificazione è effettuata dal funzionario è questi ad emettere l’ordine di pagamento. Se la quantificazione è effettuata dal magistrato, è questi ad emettere il decreto di pagamento, che costituisce di per sè titolo di pagamento della spesa (cfr. art. 171)” (Circ. Min. della Giustizia n. 4/2002 del 28/06/02).

Non solo: è da ritenersi che come per tutte le altre spese di giustizia anche quelle in oggetto siano soggette alla vigenza ed alla operatività del principio della domanda di cui all’art. 99 c.p.c.: il provvedimento di liquidazione non viene pronunciato d’ufficio, ma su espressa domanda dell’interessato che nel caso di specie ha coinciso con la presentazione delle fatture, le quali, quindi, hanno assolto una funzione ben diversa da quella pretesa dalla società Artemis (non hanno, cioè, reso il credito certo, liquido ed esigibile).

Per concludere, il credito della società Artemis, trovando causa in una spesa straordinaria di giustizia e non in una transazione commerciale con la P.A. – cui applicare, quanto agli interessi moratori, la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 231 del 2002 – e, quindi, connotandosi per il suo rilievo pubblicistico, doveva ritenersi sottratto alla libera contrattazione. Esso non avrebbe potuto esser fatto valere in via monitoria, essendo interamente sottoposto alla procedura prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002.

Di conseguenza, la Corte d’Appello, ritenendo che tra le parti non fosse intercorso un rapporto privatistico e che, di conseguenza, non potesse ravvisarsi una transazione commerciale, quale presupposto per la liquidazione degli interessi ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, e negando che la società noleggiatrice fosse titolare di un credito suscettibile di esser fatto valere in via monitoria, anzichè secondo la procedura prevista nel D.P.R. n. 115 del 2002, non è incorsa in alcun errore, avendo fatto applicazione del condivisibile principio, secondo il quale in materia di spese di giustizia, la liquidazione del compenso per il noleggio ad una Procura della Repubblica di apparecchiature destinate ad intercettazioni telefoniche ed ambientali e, se del caso, del personale addetto al loro funzionamento, va effettuata con decreto di liquidazione emesso ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 168 opponibile esclusivamente con gli strumenti predisposti a tale scopo (cfr. D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170).

6. Con il sesto motivo la società Artemis assume la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1224,1282 e 1284 c.c. nonchè dell’art. 112 c.p.c. e delle norme di diritto in materia di interpretazione della domanda giudiziale e di liquidazione del danno e/o degli interessi moratori legali nel caso di ritardi nei pagamenti nelle obbligazioni pecuniarie, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con tale mezzo di impugnazione, proposto in via subordinata, la società ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale negandole la liquidazione degli interessi al tasso legale in assenza di domanda. L’errore consisterebbe nel non aver considerato che interesse legale è non solo quello previsto dal codice civile, ma anche ogni altro interesse previsto dalla legge, perciò dei tutto sfornita di fondamento sarebbe l’affermazione della sentenza impugnata che per negare la liquidazione degli interessi ha fatto leva sulla mancata domanda, atteso che era stata richiesta la liquidazione degli interessi nella massima misura possibile ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002.

6.1. Il motivo e infondato.

La statuizione della Corte d’Appello – secondo cui “in assenza di domanda sia in primo grado che in appello da parte di Artemis, non possono essere calcolati e riconosciuti interessi al tasso legale eventualmente maturati dalla data del titolo di pagamento alla corresponsione effettiva” – deve essere correttamente inserita nella dialettica processuale.

Va ricordato che il titolo di pagamento, cioè il decreto ex art. 168 TU spese di giustizia, era stato regolarmente emesso ed il pagamento era regolarmente avvenuto, come affermato e riconosciuto dalla stessa Artemis (p. 4 della sentenza). “Ciò di cui si discute, pertanto, è esclusivamente il ritardo con cui il Ministero avrebbe provveduto di pagamento dei decreti di liquidazione rispetto alla scadenza di ogni fattura, che secondo la prospettazione dell’odierna appellata, avrebbe determinato il maturare di interessi, di talchè il pagamento non avrebbe estinto il capitale per effetto degli ordinari criteri di liquidazione (pp. 4-5 della sentenza)”.

Ciò stando va tenuto conto della normale interferenza e sovrapponibilità alla disciplina comune di quella speciale, predisposta a tutela dell’interesse pubblico ai fini dell’ordinata e oculata erogazione della spesa pubblica, per cui chiunque entra in rapporto con l’ente pubblico è soggetto alle regole della contabilità pubblica.

Quanto alle obbligazioni pecuniarie della Pubblica amministrazione deve confermarsi: la qualificazione come obbligazioni eseguibili al domicilio del debitore (giurisprudenza costante: da ultimo, Cass. 8/05/2014, n. 10002); che l’attribuzione degli interessi, nei debiti della pubblica amministrazione, è soggetta a particolari regole: la liquidità ed esigibilità, dalle quali scaturisce l’automatica produzione di interessi, a norma dell’art. 1282 c.c., comma 1, sono escluse dalle circostanze e modalità di accertamento dell’obbligazione che, in ragione della natura pubblicistica del debitore, sono specificamente disciplinate da atti aventi efficacia regolamentare (R.D. 23 maggio 1924, n. 827, artt. 269 e 270), i quali ripetono la loro efficacia vincolante esterna da norme legislative (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 50 e ss.); che i requisiti di liquidità ed esigibilità non possono prescindere dal presupposto formale dell’emissione del titolo di spesa (Cass. 09/11/2012, n. 19452); che, in assenza delle condizioni di esigibilità, gli interessi sulle somme dovute possono qualificarsi solo come moratori, per pretendere i quali è necessaria la costituzione in mora, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di mora ex re.

Nel caso di specie, l’obbligazione della PA non ha prodotto interessi ex art. 1282 c.c. prima della emissione dei decreti di pagamento, perchè solo con il decreto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 168 il credito ha assunto le caratteristiche della liquidità, della certezza e della esigibilità.

La domanda della società Artemis era volta ad ottenere il pagamento degli interessi moratori ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002; tale richiesta investiva non solo la decorrenza degli interessi (a far data dalla emissione delle fatture), ma anche la determinazione della loro misura.

Il D.Lgs. n. 231 del 2002, infatti, non solo prevede che, salvo diversa disposizione della parti, il saggio degli interessi debba essere determinato in misura pari al saggio d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale Europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti percentuali, ma quanto alla decorrenza degli interessi prescrive l’inutilità della costituzione in mora e la debenza degli interessi dalla data stabilita dalle parti o in assenza da quella determinata ex lege (30 giorni dalla emissione di fattura o dalla richiesta di pagamento equivalente, 30 giorni dalla data di prestazione del servizio, ecc.).

Non c’era nella domanda di Artemis, invece, una richiesta formulata in subordine o in alternativa di corresponsione degli interessi ai sensi degli artt. 1282 o 1224 c.c..

Di conseguenza, correttamente la Corte territoriale, una volta negata la debenza degli interessi sulla scorta del D.Lgs. n. 231 del 2002, ha escluso anche il riconoscimento degli interessi legali.

La correttezza di tale statuizione riposa sui seguenti pacifici principi:

a) in tema di obbligazioni pecuniarie gli interessi, contrariamente a quanto avviene nell’ipotesi di somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento del danno, di cui essi integrano una componente necessaria, hanno fondamento autonomo rispetto al debito al quale accedono sicchè gli stessi, siano corrispettivi, compensativi o moratori, possono essere attribuiti soltanto su espressa domanda (Cass. 19/09/2016, n. 18292; nello stesso senso già Cass. 04/03/2004 n. 4423; Cass.19/02/2000 n. 1913; Cass. 04/12/1999 n. 977).

b) il potere del giudice merito non può essere così ampio da superare il principio della domanda, in base al quale è monopolio delle parti l’esercizio della domanda medesima (Cass. 17/04/2007, n. 9143), e gli effetti giuridici richiesti costituiscono un limite insormontabile per il giudice (Cass. 28/06/2010, n. 15383/2010).

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non essendovi stata da parte della società Artemis richiesta degli interessi legali ad altro titolo nè esplicita – neppure in via alternativa o subordinata – nè implicita (come pretenderebbe la ricorrente).

Deve escludersi che la domanda di corresponsione degli interessi legali fosse contenuta o, quantomeno, presupposta dalla domanda proposta. La domanda di Artemis non lasciava spazio a dubbi circa le questioni sottoposte alla valutazione della Corte d’Appello.

Una volta escluso che la P.A. dovesse gli interessi moratori nella misura e con la decorrenza pretesa ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, la Corte territoriale non avrebbe potuto prendere in considerazione una domanda non formulata ed evidentemente basata su presupposti diversi.

La società Artemis ne fa una questione di misura degli interessi, ma tale prospettazione risulta errata e fuorviante, tant’è che anche la giurisprudenza invocata riguarda ipotesi assai differenti da quella di cui al giudizio in corso, nelle quali la parte aveva invocato gli interessi legali e al giudice era stato demandato il compito di individuare la disciplina degli interessi concretamente applicabile alla fattispecie.

Nel caso di specie, invece, la società aveva chiesto specificamente l’applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, con la decorrenza degli interessi a far data dalla emissione delle fatture, non avendo, per conto, provato di avere costituito in mora la PA prima del ricorso per ingiunzione, ex art. 633 c.p.c. – la società Artemis, infatti, aveva fatto leva, per proporre la propria domanda, su presupposti rigettati dalla Corte territoriale – nè avendo in precedenza chiesto gli interessi ex art. 1282 c.c. per il periodo intercorrente dall’emissione dei titoli di spesa all’effettivo pagamento, avvenuto asseritamente in ritardo, non poteva legittimamente attendersi che il giudice a quo le riconoscesse il diritto a percepire un quid non richiesto.

7. Ne consegue il rigetto del ricorso.

8. Data la novità delle questioni trattate, le spese vengono integralmente compensate.

9. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della società ricorrente l’obbligo di pagare il doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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