Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21972 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/10/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 12/10/2020), n.21972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36281-2018 proposto da:

I.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PUCCINI

10, presso lo studio dell’avvocato MARIO FERRI, rappresentato e

difeso dall’avvocato CRISTINA MARTINI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VENEZIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA B. TORTOLINI 34, presso lo studio

dell’avvocato NICOLO’ PAOLETTI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati NICOLETTA ONGARO, ANTONIO IANNOTTA e

GIUSEPPE VENEZIAN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1190/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato l’8.2.2012 I.V. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Venezia il Comune di Venezia per sentir dichiarare l’intervenuto acquisto per usucapione, in proprio favore, del diritto di piena proprietà su un terreno situato in territorio di quel Comune, limitrofo all’area su cui insiste il ristorante “Ai Pirati” di proprietà dell’attore; in subordine, quest’ultimo invocava la declaratoria della natura interclusa della predetta area e la costituzione del diritto di servitù pedonale e carrabile sul terreno oggetto della domanda di usucapione. A fondamento della propria azione, l’ I. allegava che la particella oggetto di causa era stata sempre usata e posseduta, in modo pubblico e pacifico, dal ristorante e dai suoi avventori, almeno a partire dal 1979.

Si costituiva in giudizio per resistere alla domanda il Comune di Venezia, eccependo che l’area in questione ricadeva in parte nel demanio marittimo ed in parte in quello stradale.

Con sentenza n. 2973/2015 il Tribunale rigettava le domande proposte dall’attore ritenendo l’area ricompresa in parte nel demanio marittimo statale e in parte nel patrimonio indisponibile dell’ente locale.

Interponeva appello l’ I. e si costituiva in seconde cure il Comune resistendo al gravame.

Con la sentenza n. 1190/2018, oggi impugnata, la Corte di Appello di Venezia rigettava l’impugnazione, ritenendo tra l’altro non dimostrato l’utilizzo esclusivo del terreno da parte dell’appellante.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione I.V. affidandosi a sei motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Venezia.

Ambedue le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 822,824 e 826 c.c., artt. 2 e 3 C.d.S., nonchè del D.M. 5 novembre 2001, n. 6792 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che il terreno, in quanto rappresentante una naturale continuazione della via (OMISSIS), rientrasse, per una parte, nel patrimonio indisponibile del Comune in quanto strada aperta al pubblico.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte veneziana non avrebbe tenuto conto che il transito sulla zona oggetto della domanda era precluso non soltanto dalla sbarra alla quale si fa riferimento nella motivazione della decisione impugnata, ma anche da un cancello che, invece, nella predetta motivazione non viene menzionato affatto.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., e dell’art. 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte lagunare avrebbe dovuto valorizzare la circostanza che alcuni testimoni, sentiti all’udienza del 18.6.2013 dal giudice di prime cure, avevano dichiarato che la sbarra era chiusa da un lucchetto le cui chiavi erano possedute solo dal ricorrente e che inoltre esisteva in loco un cancello, almeno a decorrere dal 1979.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 947 c.c., e degli artt. 28 e 35 c.n., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che il terreno oggetto della domanda di usucapione corrispondesse in parte all’alveo di un canale a suo tempo esistente in loco e quindi fosse, in quanto tale, compresa nel demanio marittimo statale. Ad avviso del ricorrente, l’area rientrerebbe nell’ambito della cessione intervenuta nel 1961 tra la Provincia di Venezia ed il Comune di Venezia e quindi farebbe parte del patrimonio disponibile dell’ente locale; in ogni caso essa, in quanto utilizzata de facto per il consolidamento della riva e della banchina, non rientrerebbe nel demanio marittimo e potrebbe essere oggetto di usucapione ad opera dei privati.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente escluso il suo possesso continuativo e pacifico, omettendo di valorizzare il fatto che l’esistenza della sbarra costituiva estrinsecazione di tale possesso, a prescindere dal fatto che essa potesse essere in concreto scavalcata o aggirata.

Infine, con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1146 e 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la sussistenza della prova del possesso ultraventennale dell’area oggetto della domanda.

Le censure, che sono suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili in quanto con esse il ricorrente sollecita un nuovo esame delle valutazioni in punto di fatto svolte dal giudice di merito. Va in proposito ribadito che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento…” del giudice di merito “… tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Del pari, va ribadito il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

Nel caso di specie la Corte veneta, richiamando anche le risultanze della C.T.U. esperita nel corso del giudizio di merito, ha escluso che il terreno oggetto della domanda attorea fosse compreso nella cessione del 29.11.1961, ritenendo che esso coincidesse con l’alveo del canale e fosse stato oggetto, in epoca successiva a detto atto, di lavori di consolidamento. Il giudice di seconde cure ha quindi affermato che l’area di cui è causa non presentasse, nel 1961, le sue caratteristiche attuali, e che dunque essa fosse rimasta estranea all’oggetto della cessione di cui anzidetto. Inoltre ha affermato che detta area “… per la sua posizione, funzione ed accessorietà rispetto all’acqua pubblica merita di partecipare della medesima natura demaniale” (cfr. pag.6 della decisione impugnata). Trattasi di accertamenti di fatto che non sono utilmente sindacabili in questa sede, in quanto essi si risolvono nell’ambito dell’interpretazione dell’oggetto del contratto del 1961 e nell’apprezzamento delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito.

La Corte veneta ha altresì considerato il fatto che l’ I. avesse allegato di aver usato l’area come parcheggio a servizio del proprio ristorante, ma ha ritenuto la circostanza ininfluente ai fini dell’accoglimento della domanda, in quanto il bene ricompreso nel demanio non perde la sua natura demaniale in via di fatto, ma soltanto attraverso un provvedimento formale di “sdemanializzazione”, che nella specie non risulta esser mai stato posto in essere.

Il giudice di appello ha poi affermato che anche laddove si volesse ritenere l’area ricadente, in tutto o in parte, nell’ambito del patrimonio stradale dell’ente locale, la domanda proposta dall’ I. non avrebbe comunque potuto essere accolta, in quanto gli elementi di fatti riscontrati a seguito dell’istruttoria (presenza dell’asfalto anche dopo la sbarra di chiusura; prosecuzione del guardarail dopo tale sbarra; esistenza in atti della prova che la sbarra non era sempre chiusa e che comunque essa non precludeva l’accesso ai pedoni) evidenziavano che il terreno controverso rappresentava una naturale prosecuzione della via pubblica e quindi fosse stato destinato dal Comune al pubblico transito. In assenza della prova certa dell’uso esclusivo dell’area, non soltanto non poteva essere accolta la domanda di usucapione, ma neanche quella di costituzione di un diritto di servitù di passaggio per interclusione, posto che il terreno dell’ I. comunicava con la pubblica via proprio mediante il terreno di cui è causa e giusta la sua destinazione al transito pubblico. Anche in questo caso, si tratta di accertamenti di fatto e apprezzamenti delle risultanze istruttorie che non possono, in sè stessi, costituire oggetto del sindacato di questa Corte.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

 

 

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