Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21971 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 12/10/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 12/10/2020), n.21971

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35489-2018 proposto da:

GEICO GESTIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO n. 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO

VINCENZI;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE RONCHI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA n. 39,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ELENA BAIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 829/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 22/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 14.12.2007 Geico Gestioni Spa evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Piacenza la Immobiliare Ronchi Srl per sentir dichiarare risolto, per fatto e colpa della convenuta, il contratto preliminare di compravendita immobiliare sottoscritto tra le parti in data 17.5.2007, con conseguente diritto dell’attrice di trattenere la caparra ricevuta all’atto della firma del predetto contratto; nonchè per la condanna della convenuta al risarcimento del danno. A sostegno della domanda l’attrice esponeva di aver promesso di vendere, con il preliminare del 17.5.2007, alla convenuta un immobile sito in territorio del Comune di Piacenza, con la condizione sospensiva rappresentata dalla presentazione, a cura della parte promittente venditrice, della richiesta di nulla osta ai Vigili dei Fuoco e di D.I.A. al Comune di Piacenza, al fine di ottenere i nulla osta e permessi necessari alla realizzazione di alcune rimesse e posti auto nell’immobile compromesso in vendita; con l’ulteriore intesa che il contratto si sarebbe risolto in caso di diniego dei predetti nulla osta o di mancato positivo riscontro degli enti preposti al loro rilascio entro il 30.8.2007. Deduceva ancora di aver ottemperato alla condizione presentando le domande di rito, ma che il Comando dei Vigili del Fuoco aveva emesso parere negativo non avendo avuto riscontro, da parte della promissaria acquirente, ad una nota di chiarimento in data 2.7.2007. La società attrice riteneva quindi che il mancato esito positivo dei nulla osta previsti dal preliminare fosse sostanzialmente imputabile all’inerzia colpevole della Ronchi Srl, promissaria acquirente.

Quest’ultima, a sua volta, chiedeva ed otteneva dal medesimo Tribunale di Piacenza il decreto ingiuntivo n. 1930/2007 per la restituzione della caparra versata all’atto della firma del preliminare. Detto decreto veniva opposto da Geico Gestioni Srl e le due cause, quella introdotta con citazione per la risoluzione del preliminare e quella di opposizione al predetto decreto ingiuntivo, venivano riunite.

Con sentenza n. 696/2015 il Tribunale di Piacenza rigettava l’opposizione confermando il decreto opposto, condannando l’odierna ricorrente alle spese del grado. Il Tribunale riteneva in particolare che comunque l’attrice non avesse diritto a ritenere la caparra, essendo ciò conseguenza del recesso, e non invece della dichiarazione di risoluzione per inadempimento, del preliminare, e che le due domande non fossero tra loro sovrapponibili a causa del loro differente contenuto.

Interponeva appello Geico Gestioni Srl e si costituiva in seconde cure, per resistere al gravame, Immobiliare Ronchi Srl. Con la sentenza n. 829/2018, oggi impugnata, la Corte di Appello di Bologna rigettava il gravame, condannando l’appellante alle spese del secondo grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Geico Gestioni SrI affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso Immobiliare Ronchi Srl.

La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 1385, 1386, 1453 e 1455 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello non avrebbe riconosciuto il diritto della promittente venditrice a trattenere la caparra a seguito del grave inadempimento della promissaria acquirente agli obblighi derivanti a suo carico dal preliminare di compravendita di cui è causa. A parere della ricorrente, il giudice del gravame avrebbe in modo particolare errato nel non ravvisare l’inadempimento della Immobiliare Ronchi Srl nella mancata coltivazione, da parte di quest’ultima, della pratica volta all’ottenimento del parere favorevole dei Vigili del Fuoco al progetto di realizzazione dei parcheggi e posti auto, propedeutico al rilascio del nulla osta da parte dell’ente locale.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112,113 c.p.c., e dell’art. 1385 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte bolognese non avrebbe considerato che la promittente venditrice aveva espressamente richiesto anche la declaratoria del proprio diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta alla firma del preliminare.

Le due censure, che sono suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili in quanto con esse la società ricorrente sollecita, almeno in parte, un nuovo esame delle valutazioni in punto di fatto svolte dal giudice di merito. Va in proposito ribadito che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento…” del giudice di merito “… tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Da tale principio deriva che la valutazione in ordine alla gravità del comportamento della società promissaria acquirente, che la Corte territoriale ha ritenuto colpevolmente inerte agli obblighi derivanti a suo carico dal preliminare sottoscritto in data 15.7.2007, non è pertanto suscettibile di riesame in questa sede. Nè, per converso, parte ricorrente avrebbe alcun interesse a detto riesame, avendo in sostanza la Corte emiliana aderito alla prospettazione di Geico Gestioni Srl, ritenendo, per l’appunto, contrario a buona fede l’atteggiamento con cui la società promissaria acquirente, non rispondendo alle sollecitazioni ricevute dalla promittente venditrice, era rimasta totalmente inerte rispetto alle richieste di adeguamento del progetto indicate dai Vigili del Fuoco. La Corte di Appello ha tuttavia affermato che, avendo la società attrice proposto la sola domanda di risoluzione del preliminare, e non anche quella di recesso, essa fosse onerata della prova del danno, che nello specifico non era stata raggiunta. Anche sotto tale profilo va osservato che è sottratta al sindacato di questa Corte la parte della decisione impugnata con la quale il giudice di appello ha ritenuto non raggiunta la prova del danno, trattandosi di valutazione in punto di fatto.

Per quel che invece concerne il punto in diritto della decisione, costituito dalla ravvisata mancata proposizione della domanda di recesso, la pronuncia della Corte di seconda istanza appare coerente con i precedenti di questa Corte, posto il principio (che merita di essere ribadito) secondo cui “In tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009, Rv. 606608; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20798 del 10/10/2011, Rv. 619146; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4164 del 02/03/2015, Rv. 634463). Lo stesso ricorrente, peraltro, nel riportare, a pag.14 del ricorso, la propria domanda conferma di non aver invocato il recesso, ma soltanto la risoluzione del contratto preliminare di cui è causa. Nè rileva, a contrario, la circostanza che egli abbia invocato l’accertamento del proprio diritto a trattenere la caparra confirmatoria, posto che tale effetto potrebbe, in linea teorica, discendere anche dall’accoglimento della domanda di risoluzione, qualora il danno fosse ritenuto coincidente con l’importo della caparra, o addirittura superiore ad esso, ben potendo l’attore, posta la natura disponibile del diritto al risarcimento del danno, scegliere di ridurre la propria pretesa risarcitoria commisurandola al solo importo di quanto già percepito alla firma del preliminare. Dal che deriva che la sola richiesta dell’accertamento del diritto dell’attore a trattenere la caparra, come conseguenza dell’azione di risoluzione per inadempimento, non vale a dimostrare la sua intenzione di introdurre anche la domanda di recesso. Da quanto precede deriva l’ulteriore profilo di inammissibilità delle censure proposte da Geico Gestioni Srl con il primo e secondo motivo, per palese contrarietà ai precedenti di questa Corte.

Con il terzo ed ultimo motivo la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 91,92 e 653 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto almeno compensare le spese del giudizio, revocando il decreto ingiuntivo a suo tempo ottenuto da Immobiliare Ronchi Srl e la relativa liquidazione delle spese della fase monitoria.

La censura è inammissibile.

La compensazione delle spese di lite costituisce infatti una possibilità, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito. In particolare, nel regime anteriore all’entrata in vigore del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, in L. 10 novembre 2014, n. 162, la compensazione poteva essere disposta anche senza alcuna motivazione, e senza che -per questo- la statuizione divenisse per ciò solo sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità, atteso che il sindacato della Corte di Cassazione era comunque limitato all’accertamento che non risultasse violato il principio secondo il quale le spese non potevano essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa o che fossero addotte ragioni palesemente o microscopicamente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8540 del 22/04/2005, Rv. 580529; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10420 del 18/05/2005, Rv. 580897; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17953 del 08/09/2005, Rv. 584700). Per effetto dell’entrata in vigore del richiamato D.L. n. 132 del 2014, prima, e dell’intervento della sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, poi, è stato ridotto l’ambito in cui il è possibile esercitare la facoltà di compensare le spese di lite per la precisione, solo in caso di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata, di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o di sopravvenienze relative a tali questioni, di assoluta incertezza e che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2, (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 4696 del 18/02/2019, Rv. 652795) – ma non è stata modificata la natura discrezionale dell’esercizio del relative potere da parte del giudice. Di conseguenza, nessuna violazione di legge si rinviene nella statuizione con cui la Corte territoriale ha condannato la Geico Gestioni Srl alle spese del grado, in applicazione della regola generale della soccombenza.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

 

 

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