Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2197 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. II, 30/01/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 30/01/2020), n.2197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22700-2015 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliata in ROMA, viale Bruno

Buozzi n. 107, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario De Guido

e Enrico del Prato;

– ricorrente –

contro

B.S., M.M.C. e B.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, via XX Settembre n. 3, rappresentati e difesi

dai professori avvocati Fernando Greco e Giuseppe Miccolis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza non definitiva n. 428/2015 della Corte di appello

di Lecce depositata il 22 giugno 2015;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26

giugno 2019 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso;

uditi gli Avv.ti Enrico Elio Del Prato, per parte ricorrente, e

Giorgio Costantino (con delega dell’Avv. Fernando Greco), per parte

resistente.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 5 febbraio 2005 M.M.C., B.S. e L. evocavano, (Innanzi il Tribunale di Brindisi – Sezione distaccata di Mesagne, L.C. per ottenere la rescissione per lesione del contratto di vendita del 05.02.2004 redatto con atto pubblico del notaio Dott. M.E. di (OMISSIS) ed avente ad oggetto la cessione della quota di 7/20 della nuda proprietà immobiliare indivisa di un complesso immobiliare sito in (OMISSIS).

Instaurato il contraddittorio, la L. deduceva che la compravendita era stata posta in essere in esecuzione di un pregresso accordo transattivo, per cui trovava applicazione l’art. 1970 c.c., secondo cui la transazione non sarebbe impugnabile per causa di lesione. Contestava la sussistenza dei presupposti dell’azione di rescissione per lesione, spiegando domanda riconvenzionale ai sensi dell’art. 96 c.p.c., ed in subordine – in ipotesi di accoglimento della domanda attorea – chiedeva la restituzione della somma di Euro 140.000,00, dalla stessa versati a titolo di corrispettivo della vendita, la dichiarazione di risoluzione del contratto di transazione del 4/13.12.2003, con condanna degli attori alla restituzione di Euro 46.751,67 per il credito alimentare precettato ed azionato dalla convenuta nel processo esecutivo n. 153/2002, la restituzione della somma di Euro 26.000,00 per il pagamento a titolo di transazione effettuato dalla L. in favore di Z.R., la restituzione di Euro 1.000,00 per il pagamento effettuato dalla L. in favore della Dott.ssa A. S., la restituzione della somma di Euro 60.000,00 versata dalla L. in favore di Le.Vi. a fronte della rinuncia di quest’ultima agli atti del giudizio di revoca della donazione. Il giudice adito, acquisita la documentazione prodotta, ritenendo superflua l’assunzione dei mezzi di prova articolati dagli attori, rigettava sia la domanda principale sia quella riconvenzionale ex art. 96 c.p.c., ritenendo essere intervenuta fra le parti una complessa operazione di collegamento negoziale riconducibile ad ipotesi di “transazione mista”, che escludeva in radice ogni forma di rescindibilità per lesione.

In virtù di rituale gravame interposto dai B. e dalla M., la Corte di appello di Lecce, nella resistenza della L., che proponeva anche appello incidentale subordinato, ammessa ed espletata la prova articolata dalle parti già in primo grado, con sentenza non definitiva, in riforma della sentenza appellata, dichiarava ammissibile l’azione di rescissione per lesione proposta dagli appellanti in relazione all’atto di compravendita immobiliare del 05.02.2004, disponendo il prosieguo del giudizio per determinare con c.t.u. il valore del complesso immobiliare oggetto del contratto medesimo.

A sostegno della decisione impugnata la corte territoriale evidenziava che dalla lettura dell’accordo sottoscritto dalle parti il 04.12.2003, dalle stesse definito nell’intestazione atto di transazione, emergeva chiaramente che le parti, dopo avere premesso la pendenza di una procedura esecutiva a carico degli appellanti, promossa da parti estranee alla scrittura stessa e nella quale era intervenuta l’appellata, avevano sottoscritto un preliminare di vendita, con il quale mentre i promittenti venditori si obbligavano al trasferimento della nuda proprietà del bene in questione concordando il prezzo di Euro 140.000,00, da corrispondersi al momento della stipula dell’atto pubblico, con contestuale estinzione della procedura esecutiva, la L. si obbligava a rinunciare al credito e all’atto di intervento dalla stessa spiegato nella medesima procedura esecutiva, oltre all’accollo del credito di altro creditore della suddetta proceduta, di cui era titolare certa Z.R., obblighi volti a facilitare il verificarsi della condizione e/o del termine per poter procedere alla stipula dell’atto definitivo di vendita. Aggiungeva che di tenore sostanzialmente identico era il contenuto della scrittura del 13.12.2003, che prevedeva alcuni altri obblighi a carico della promissaria acquirente, mentre nella scrittura privata del 19.01.2004 veniva solo differita la data del rogito. In tale contesto veniva ritenuto che non trattavasi di transazione di natura c.d. mista, per essere l’interesse perseguito dalle parti solo quello di effettuare una compravendita dell’immobile de quo, sottraendone una parte alla procedura esecutiva al fine di rendere possibile e certo l’acquisto, di qui la rinuncia della promissaria acquirente alla procedura esecutiva.

Avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione la L. articolato su cinque motivi, cui hanno resistito i B. e la M. con controricorso.

In prossimità della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

In limine litis vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso dedotte dai controricorrenti sotto molteplici profili.

Si osserva che, in quanto pubblicata il 22 giugno 2015, la sentenza gravata, avente carattere non definitivo, è assoggettata alla disciplina dettata dall’art. 360 c.p.c., comma 3, nel testo sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 il quale esclude, al comma 3, la proponibilità immediata del ricorso per cassazione avverso le sentenze che decidono questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, prevedendo che l’impugnazione di tali sentenze può aver luogo, senza necessità di riserva, allorchè sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio.

Tale disposizione, volta a deflazionare il contenzioso in sede di legittimità, in modo da garantire anche in questa fase il rispetto del canone costituzionale di ragionevole durata del processo, distingue tra sentenze non definitive su domanda o parziali, che continuano ad essere impugnabili sia immediatamente, sia, previa riserva, unitamente alla sentenza definitiva, e sentenze non definitive su questioni, che sono invece assoggettate ad un regime d’impugnazione necessariamente differita, in quanto, non pronunciando direttamente su un autonomo bene della vita, non producono un immediato pregiudizio nella sfera giuridica della parte soccombente, con la conseguenza che l’interesse ad impugnarle può sorgere soltanto nel caso in cui, nel prosieguo o all’esito del giudizio, una domanda proposta dalla predetta parte venga rigettata o venga accolta una domanda proposta nei suoi confronti (cfr. Cass., Sez. Un., 22 dicembre 2015 n. 25774).

La difficoltà del sistema introdotto con il citato D.Lgs. n. 40 del 2006 rimane quella della individuazione della linea di confine tra le due tipologie di decisione ovvero confinare lo spazio di riferimento della non definitività.

Al riguardo la Corte di legittimità ha ricondotto alla categoria in questione le sentenze non definitive che abbiano deciso questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito senza definire, neppure in parte, il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate (cfr. Cass. 12 maggio 2017 n. 11916; Cass. 3 giugno 2015 n. 11456), ed in particolare la sentenza d’appello che abbia affermato la giurisdizione del giudice adito (cfr. Cass., Sez. Un., 5 maggio 2017 n. 10937; Cass. 28 giugno 2013 n. 16310; Cass. 22 febbraio 2012 n. 2575), oppure abbia respinto l’eccezione di prescrizione del diritto azionato, senza pronunciare neppure parzialmente sulla fondatezza della domanda (cfr. Cass. 4 febbraio 2016 n. 2263; Cass. 4 agosto 2010 n. 18104).

Le Sezioni Unite citate (sentenza n. 25774 del 2015) hanno accolto la tesi che dai più viene ricondotta ad un principio di prossimità: “sono non definitive le sentenze meramente endoprocessuali che non chiudono il processo davanti al giudice che le ha pronunciate, essendo la trattazione della causa destinata a proseguire dinanzi allo stesso giudice in vista della decisione definitiva. Rispetto a queste sentenze, la scelta della parte soccombente di non proporre immediato ricorso per cassazione necessitava, prima della riforma del 2006, della riserva espressa; laddove, oggi, a completamento della regola della non immediata impugnabilità, opera la previsione della riserva automatica di impugnazione. Invece, la sentenza del giudice di appello che dispone la rimessione al primo giudice perchè dichiara la giurisdizione negata in primo grado, la nullità della notificazione della citazione, la necessità del litisconsorzio, l’erronea estromissione di una parte, l’errata dichiarazione di estinzione o la nullità della sentenza non sottoscritta, anche se non decide su un bene della vita e nulla dice sul merito della domanda, non è una sentenza non definitiva. E’ una sentenza definitiva perchè, concludendo il giudizio dinanzi al giudice d’appello, esclude un ulteriore potere decisorio del giudice che l’ha pronunciata, essendo l’unica sentenza di quel grado di processo”.

Per certa dottrina, infatti, la sentenza su questioni non è definitiva – e come tale non immediatamente ricorribile in cassazione – solamente laddove la sentenza definitiva, o che comunque pronuncia su una domanda, è destinata ad essere pronunciata dal medesimo organo che ha pronunciato la non definitiva. In altri termini, occorre verificare se dopo tale pronuncia quella fase o grado debba ancora svolgersi davanti allo stesso giudice per ottenere un ulteriore risultato decisorio. In effetti la sentenza non definitiva reca la cognizione di una questione pregiudiziale, risolta in senso non ostativo alla prosecuzione del giudizio, anticipando e cristallizzando un pezzo della futura motivazione della decisione, per cui si viene a creare una preclusione solo all’interno del processo nel corso del quale è pronunciata, senza produrre alcun effetto dichiarativo al di fuori del processo in cui è resa.

Ora, alla luce di siffatti parametri, la sentenza gravata è da ritenere non definitiva, avendo risolto esclusivamente la questione della natura del contratto, definito di compravendita, stipulato fra le parti in data 5 febbraio 2004 ed avente ad oggetto la cessione della quota di 7/20 della nuda proprietà immobiliare indivisa di un complesso immobiliare, accertamento resosi necessario per poter verificare l’ammissibilità dell’azione di rescissione per lesione esercitata dagli originari attori/attuali controricorrenti, esclusa dal giudice di prime cure che aveva ravvisato nella complessiva vicenda una operazione di collegamento negoziale riconducibile ad un’ipotesi di “transazione mista”, che in radice impediva ogni forma di rescindibilità per lesione.

La Corte di appello, senza definire, neppure parzialmente, il rapporto controverso e senza regolare le spese di lite, ha provveduto con separata ordinanza in merito all’istruzione e all’ulteriore corso del giudizio.

Non è dubitabile che si tratti di un accertamento preparatorio di c.d. mera cognizione, destinato a confluire in una valutazione più complessiva, costituendone solo una tappa priva di autonomia, limitata la sua efficacia nel senso che nel processo in grado di appello la soluzione assegnata alla questione non può più essere rimessa in discussione, aperta per il resto ogni altra decisione.

Deve, pertanto, trovare applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 3, introdotto dal D.Lgs 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, con la conseguenza che l’impugnazione immediata con ricorso per cassazione della decisione in esame è inammissibile, potendo essere proposta, senza necessità di riserva, allorchè verrà impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Stante l’esito del giudizio, nessun esame deve farsi delle ulteriori eccezioni dei controricorrenti ovvero delle censure formulate con il ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione in favore dei controricorrenti delle spese di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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