Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21968 del 12/10/2020

Cassazione civile sez. III, 12/10/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 12/10/2020), n.21968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11004/2018 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE SCRIVO,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

CAA COPA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE GIULIO CESARE

61, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA TOSCANO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 510/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CARDINO Alberto.

 

Fatto

RILEVATO

che:

S.P., con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., adiva il Tribunale di Roma adducendo di essere titolare di terreni destinati alla produzione di olio, e di essere quindi beneficiante degli aiuti comunitari rilasciati da AGEA, che non gli sarebbero stati però erogati per errore di Centro Assistenza Agricola Copa s.r.l. – d’ora in avanti C.A.A. Copa -; chiedeva pertanto che fosse accertata la responsabilità di quest’ultima, con sua conseguente condanna a pagargli l’importo di Euro 68.655,78, o la somma di giustizia, oltre a interessi, per il 2008 e il 2009. Controparte si costituiva, resistendo. Mutato il rito sommario in rito ordinario, il Tribunale, con sentenza del 3 febbraio 2015, condannava la convenuta a pagare all’attore la somma di Euro 70.968,86 oltre interessi e spese.

Avendo C.A.A. Copa proposto appello, cui lo S. resisteva, la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 23 gennaio 2018, l’accoglieva, rigettando la domanda di S. e condannandolo a rifondere all’appellante le spese di entrambi i gradi.

S.P. ha proposto ricorso, articolato in tre motivi e illustrato anche con memoria, da cui controparte si è difesa con controricorso. Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., u.c., con ordinanza dell’8 novembre 2019 la causa è stata rimessa alla terza sezione civile.

Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Si rileva preliminarmente che la presente causa, già rimessa a questa Sezione dalla Sezione Sesta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, era stata posta nel ruolo della pubblica udienza dell’11 marzo 2020, che peraltro non è stata celebrata in quanto rinviata d’ufficio in forza della legislazione emergenziale relativa al coronavirus. Si osserva altresì che, secondo il decreto del Primo Presidente n. 76/2020 (che richiama il precedente Decreto n. 55/2020) non sarebbe stato possibile fissare un’udienza pubblica se non successivamente al 31 luglio 2020. Pertanto questa causa è stata fissata in adunanza camerale per consentirne una sollecita trattazione dopo la stasi determinata dalla suddetta emergenza sanitaria. Non essendo stata d’altronde sollevata alcuna obiezione dalle parti e nemmeno dal Pubblico Ministero, si ritiene quindi che nulla osti alla trattazione camerale, la quale anzi rispetta nella contingente situazione il principio della ragionevole durata del processo nelle modalità possibili.

1. Tanto premesso, è opportuno anzitutto ricostruire la vicenda processuale.

1.1 L’attuale ricorrente aveva agito adducendo di essere titolare di terreni agricoli destinati alla produzione di olio e di beneficiare pertanto degli aiuti comunitari erogati da AGEA, aiuti che però non avrebbe ricevuto negli anni 2008 e seguenti per un errore di C.A.A. Copa, nonostante avesse egli presentato tempestivamente la Domanda Unica di pagamento per l’anno 2008 in data 7 marzo 2008. Sarebbe infatti venuto ad apprendere che la sua domanda era stata annullata per mancata “stampa” e mancato “rilascio” di essa da parte del competente Centro di Assistenza Agricola.

C.A.A. Copa si era costituita resistendo, e in particolare sostenendo che l’invio telematico, da essa effettuato, della Domanda Unica in questione sarebbe stato annullato per incongruenze relative alla titolarità di particelle dichiarate nel fascicolo aziendale: la particella (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) del Catasto Terreni del Comune di (OMISSIS) – la quale, dichiarata in proprietà dello S. per ha 1,63, in realtà gli sarebbe stata concessa mediante un comodato verbale, per cui sarebbe stata necessaria la produzione di una autocertificazione rilasciata dal comodante -, e la particella (OMISSIS), sezione (OMISSIS), del Catasto Terreni del Comune di Reggio Calabria – pure dichiarata dallo S. di sua proprietà per ha 2,60, essendone invece proprietario il Comune -. Asseriva la convenuta di essersi adeguata a quanto previsto dalla convenzione AGEA, per cui i documenti attestanti la titolarità dei terreni avrebbero dovuto essere nel fascicolo aziendale, prodotti dall’interessato; e dunque, in attesa di chiarire la situazione di dette particelle, sarebbe stato annullato l’invio della domanda. Dal momento che lo S. non si sarebbe poi presentato presso il Centro di Assistenza con la richiesta documentazione, la domanda non sarebbe stata mai inoltrata ad AGEA.

1.2 Avendo il Tribunale condannato la convenuta a corrispondere all’attore la somma di Euro 70.968,86 oltre interessi e spese di lite, C.A.A. Copa proponeva appello, osservando tra l’altro che per il corretto inserimento della particella n. (OMISSIS), sussistendo comodato verbale, ai fini del contributo sarebbe stato necessario presentare, come stabilito dalla circolare AGEA Prot. 27304/UM n. 32 del 7 dicembre 2007 attinente appunto alla presentazione delle domande per l’anno 2008, oltre all’autodichiarazione sostitutiva dell’atto notorio attestante gli estremi del fondo e le generalità del comodante – dichiarazione presente nel fascicolo del produttore, una autocertificazione rilasciata dal comodante – questa invece in esso non rinvenibile -. Pertanto, anche qualora la domanda fosse stata inviata ad AGEA, non avrebbe supportato la concessione dei contributi comunitari, considerato che, se nella domanda si riscontra divergenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente dovuto al produttore, vengono irrogate sanzioni per cui l’importo dell’aiuto comunitario si riduce in base all’entità del discostamento: invero, l’art. 51, par. 1, Reg CE 796/2004 stabilisce che, se l’eccedenza constatata è superiore al 20% della superficie determinata, non è concesso alcun aiuto per superficie relativamente al gruppo di colture di cui si tratta.

Lo S. si costituiva resistendo. Lamentava la mancata produzione in giudizio della circolare impositiva di tale allegazione documentale alla domanda, e confutava quello che definiva “il singolare tentativo di controparte di addossare all’assistito-associato una propria precipua responsabilità” (così nella premessa del ricorso, pagina 6), poichè dalla carta dei servizi della controparte emergerebbe che proprio questa ha per obiettivo “fornire agli imprenditori agricoli un valido supporto tecnico organizzativo per affrontare le normative regionali, nazionali e comunitarie, garantendo loro l’accesso alle agevolazioni, ai premi e ai contributi”, e altresì la funzione di “fornire informazione sulle normative regionali, nazionali e comunitarie; compilazione domande di aiuto, premio e contributo; raccolta e conservazione del fascicolo del produttore; trasmissione e gestione delle pratiche; gestione del rapporto con gli enti pagatori e altre strutture interessate”. Ergo, se (nel 2008) fosse stata realmente necessaria la produzione di una specifica documentazione diversa da quella necessaria negli anni precedenti, sarebbe stato obbligo dell’appellante informare di ciò l’associato: -obbligo, questo, del tutto inadempiuto. Dalle prove documentali testimoniali sarebbe d’altronde risultato che “la particella in questione” da anni era inserita nelle domande, senza che ne derivasse alcuna complicanza (la premessa del ricorso qui si riferisce, evidentemente, alla particella di cui l’attuale ricorrente sarebbe stato comodatario, in quanto adduce che comodante sarebbe stata la di lui madre).

1.3 La Corte d’appello, accogliendo l’appello, ha offerto una motivazione concisa nella sua sentenza, emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c..

Osserva che secondo il primo motivo d’appello il Tribunale non avrebbe valutato che l’attuale ricorrente non avrebbe potuto comunque ottenere il contributo richiesto per la “particella (OMISSIS)” perchè nel fascicolo aziendale “non era presente l’autocertificazione rilasciata dal comodante”, come invece prescritto dalla circolare di AGEA del 7 dicembre 2007 n. 32, la quale, appartenendo al genere di circolare soggetta a pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avrebbe reso applicabile il principio jura novit curia. Il giudice di prime cure avrebbe omesso di tenere in conto che la domanda per ottenere l’aiuto (non inoltrata ad AGEA da C.A.A. Copa “malgrado il mandato ricevuto in tal senso dall’appellato”) era stata sottoscritta dall’attuale ricorrente che così “si è assunto la responsabilità di quanto dichiarato”; infatti “la domanda d’aiuto per ciascuna campagna deve essere redatta e sottoscritta dal produttore che dichiara, sotto la propria responsabilità, che quanto esposto (incluse le dichiarazioni e gli impegni riportati) risponde al vero, ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 445 del 2000”.

Reputa quindi la corte territoriale che, sottoscrivendo, lo S. aveva dichiarato, “sotto la propria responsabilità, la piena proprietà” di due particelle, risultate poi non di sua proprietà: la particella n. (OMISSIS), foglio (OMISSIS), del Comune di (OMISSIS) (per la quale occorreva, come disposto dalla richiamata circolare, l’autodichiarazione del comodante, che invece mancava) e la particella (OMISSIS), sezione (OMISSIS), foglio (OMISSIS), del Comune di (OMISSIS), rispetto alla quale l’attuale ricorrente “ha riconosciuto in giudizio che non potesse vantare alcun diritto”. Peraltro, mancando – dato, questo, pacifico – la produzione nel fascicolo aziendale del documento prescritto dalla suddetta circolare, “non è stata fornita la prova che, malgrado ciò, avrebbe avuto diritto all’aiuto” l’attuale ricorrente. Conclude quindi la corte territoriale che “qualora l’appellante avesse inoltrato la domanda, lo S. non si sarebbe visto erogare alcun aiuto, non avendone diritto o, perlomeno, l’appellato non ha fornito la prova del danno derivato dall’inadempimento di controparte in difetto della dimostrazione di essere in possesso di quanto necessario per ottenere l’aiuto”; di qui la riforma della sentenza di primo grado, con rigetto della domanda che aveva proposto l’attuale ricorrente.

2. Tanto premesso, si rileva che il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti discussi e decisivi e delle relative risultanze istruttorie.

Il motivo lamenta che dalla “brevissima e insufficiente motivazione” della sentenza impugnata non sarebbe possibile dedurre che siano stati presi in considerazione “i rilievi e i fatti, debitamente provati sia documentalmente, che attraverso l’audizione dei testi escussi, che dimostrano indiscutibilmente la responsabilità dell’odierna resistente nella causazione dell’evento dannoso” e. smentiscono la decisione del giudice di secondo grado, il quale, in effetti, avrebbe “totalmente trascurato tutta l’attività istruttoria espletata” e, questo essendo ancor più rilevante, non avrebbe tenuto in conto “i molteplici fatti storici decisivi, che sono stati oggetto di discussione tra le parti – oltre che oggetto di istruttoria -“.

La corte territoriale avrebbe ritenuto che il primo giudice “avrebbe omesso di considerare che – diversamente da quanto asserito dal CTU – la domanda per ottenere l’aiuto per cui è causa è stata sottoscritta dallo S.”, che così si sarebbe assunto la responsabilità di quanto dichiarato, almeno riguardo ai terreni di cui si era detto proprietario. Ad avviso della corte tale sottoscrizione sarebbe stata sufficiente a “legittimare il comportamento del Centro di Assistenza, che, senza avvisare il proprio assistito e contravvenendo ai propri doveri istituzionali, per come emersi ed evidenziati da molteplici risultanze istruttorie, avrebbe deciso, di proprio arbitrio, di annullare e non inoltrare la domanda, facendo perdere al produttore non solo i contributi relativi all’anno di riferimento (2008), ma anche quelli degli anni successivi”, in forza della normativa vigente.

Obietta il ricorrente che un siffatto comportamento non potrebbe ritenersi legittimo, giacchè violerebbe i “più elementari obblighi di diligenza” gravanti su un centro di assistenza. Ciò sarebbe emerso, appunto, dagli esiti istruttori (documenti, prove testimoniali, consulenza tecnica d’ufficio), i quali attesterebbero che “la resistente aveva istituzionalmente l’obbligo di certificare il possesso delle particelle, successivamente dichiarate nella domanda unica di pagamento, certificazione che deve avvenire con la chiusura e la presentazione della scheda di validazione del fascicolo aziendale” dell’attuale ricorrente: attività, questa, “prodromica alla successiva compilazione e presentazione della domanda”. Si sarebbe pertanto dovuto ritenere, in difformità a quanto riportato dal giudice d’appello, che l’attuale controricorrente, “avendo formato il fascicolo e avendo certificato il possesso, avesse operato anche questo preventivo controllo, verificando l’esistenza di titoli legittimanti l’inclusione di quei terreni nel fascicolo del produttore”.

Nel caso, poi, in cui alcuni dei suddetti titoli non fossero adeguatamente giustificati, controparte avrebbe dovuto informare il proprio assistito della necessità di integrazione.

Quindi il giudice d’appello avrebbe “del tutto omesso di considerare che l’attività di controllo doveva essere effettuata a monte e, cioè, sul fascicolo del produttore e non sulla domanda che, sulla scorta di quel fascicolo, era stata compilata anche con la fondamentale assistenza” dell’attuale controricorrente.

Si argomenta in seguito sulla documentazione raccolta, sulla relazione redatta dal consulente tecnico d’ufficio e sulla testimonianza di F.R.: elementi probatori, questi, che non sarebbero stati tenuti in conto dal giudice d’appello. Si argomenta altresì sulle testimonianze della madre dell’attuale ricorrente, I.F. e della di lui moglie, Sa.Pa., testimonianze che pure sarebbero state del tutto tralasciate dalla corte territoriale, per proseguire poi attingendo nuovamente dalle prove documentali e dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio, e richiamando ancora, in una estesa confutazione di quanto avrebbe ritenuto il giudice d’appello, le già citate deposizioni testimoniali. Il tutto per concludere, infine, che la motivazione della sentenza d’appello risulterebbe inadeguata e soltanto apparente.

3. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1703,1710 e 1776 c.c., per aver omesso “qualsiasi considerazione” sul rapporto di mandato sussistente tra le attuali parti e sui suoi “conseguenti obblighi”.

Emergerebbe da quanto illustrato nel precedente motivo che il giudice d’appello, oltre a “non considerare prove e circostanze di fatto decisive”, non avrebbe effettuato alcuna “valutazione e/o qualificazione giuridica del rapporto” tra le parti e quindi relativamente al contratto di mandato preesistente e ai conseguenti obblighi. Che si tratti di un rapporto di mandato sarebbe d’altronde espressamente previsto dal D.M. 27 marzo 2008, art. 14, richiamato pure dal consulente tecnico d’ufficio; pertanto il mandatario, ai sensi dell’art. 1710 c.c., è obbligato a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia.

Affermando “sbrigativamente” la responsabilità dell’attuale ricorrente per avere sottoscritto la domanda (che, in realtà, avrebbe contenuto pure la controfirma dell’attuale controricorrente) il giudice d’appello non avrebbe dunque affatto considerato gli obblighi contrattuali del centro d’assistenza. E la circolare posta dalla corte territoriale a fondamento della propria decisione, oltre ad essere un atto interno alla pubblica amministrazione, sarebbe stata indirizzata “anche e soprattutto ai centri di assistenza”, perchè “si adeguassero alle nuove disposizioni e rendessero edotti i loro assistiti della necessità di integrare la documentazione, rispetto a quella già sufficiente per gli anni precedenti”.

Dunque la corte territoriale avrebbe dovuto fornire una “accettabile e verosimile motivazione” sul rapporto giuridico e sui conseguenti obblighi, il che avrebbe “sicuramente consentito di comprendere” la responsabilità del centro di assistenza in relazione ai danni arrecati all’attuale ricorrente per mancata normale diligenza nello svolgimento dell’incarico.

4. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c., coordinati con l’art. 1 preleggi, per avere ritenuto atto normativo la circolare di AGEA.

Il giudice d’appello nella motivazione avrebbe confuso tale circolare con norme di diritto; si sarebbe trattato invece di un atto amministrativo, non prodotto da controparte, onde non si poteva tenerne conto, non applicandosi il principio jura novit curia. Sarebbe peraltro una “questione ininfluente”, giacchè controparte avrebbe dovuto comunque informare l’assistito di tale previsione per consentirgli di regolarizzare la sua-doalmentazione.

5.1 I primi due motivi meritano vaglio congiunto, perchè concernono il medesimo oggetto, come lascia intendere lo stesso incipit del secondo motivo. Attraverso anche argomentazioni direttamente – e dunque inammissibilmente – fattuali (attingendo da prove documentali e testimoniali, nonchè dagli esiti della consulenza tecnica d’ufficio) si confuta la decisione del giudice d’appello imputandogli di non avere tenuto in conto gli obblighi di mandatario del Centro di assistenza, in riferimento all’obbligo di informazione dell’assistito in ordine alla documentazione da inserire nel fascicolo quanto alla disponibilità dei terreni. Di questo la corte territoriale effettivamente non si occupa. Ciò costituisce in appello, peraltro, una questione nuova, pur se ancora di inadempimento della mandataria.

Dalla esposizione dei fatti processuali offerta dallo stesso ricorso, invero, emerge che quel che aveva lamentato lo S. nell’atto introduttivo del primo grado era la mancata spedizione, o comunque l’annullamento della trasmissione ad AGEA, della domanda, in cui era stato assistito dalla controparte (come sopra riassunto, egli avrebbe appreso che la sua domanda era stata annullata per mancata “stampa” e mancato “rilascio” di essa da parte del competente Centro di Assistenza Agricola). Dalla premessa in fatto non emerge che, sempre nel primo grado, di fronte alla difesa adottata nella sua costituzione dalla convenuta – conformata nel senso che aveva annullato l’invio ad AGEA della domanda essendosi avveduta della incompletezza della documentazione del fascicolo aziendale in riferimento. a due particelle di cui non risultava proprietario lo S., non più comparso poi per chiarire la situazione – l’attuale ricorrente abbia replicato adducendo un ulteriore inadempimento del contratto di mandato da parte della convenuta, cioè l’inadempimento dell’obbligo informativo.

La corte territoriale, poi, vagliando un appello fondato – come si è visto – sulla carenza della documentazione normativamente richiesta in ordine alle stesse due particelle, tale da impedire che, anche se fosse stata mandata ad AGEA la domanda, il contributo venisse concesso, non ha espressamente considerato nella motivazione della sentenza il contenuto della comparsa d’appello ove adduceva la sussistenza di inadempimento dell’obbligo informativo da parte della mandataria. Non è irragionevole presumere, se il contenuto del primo grado era stato quello che traspare dal ricorso qui in esame, che la corte abbia ritenuto ciò un novum inammissibilmente introdotto nel devoluto. Ed è ora tutto su questo che si fondano i primi due motivi, che lo stesso ricorso in sostanza qualifica assorbenti del terzo motivo, definendo quest’ultimo privo di interesse proprio perchè vi sarebbe stato comunque – e quindi anche a prescindere dalla circolare – l’inadempimento dell’obbligo informativo.

Che sussistesse un contratto di mandato era già stato incluso nella causa petendi nel ricorso introduttivo del primo grado – e ne dà atto la sentenza impugnata ove in riferimento alla domanda riconosce che “l’odierna appellante ha omesso di inoltrare all’AGEA, malgrado il mandato ricevuto in tal senso dall’appellato” -; tuttavia, per quanto emerge dal ricorso ora in esame, da ciò era stato tratto soltanto l’inadempimento consistente nel mancato invio della domanda e/o nell’annullamento dell’invio effettuato, senza fare riferimento agli obblighi informativi attinenti alla documentazione da allegare. E, a ben guardare, altresì senza fare riferimento, prima ancora, agli obblighi informativi attinenti al contenuto della domanda, nel senso che questa non poteva includere dichiarazioni false, come quelle, in ultima analisi, relative alle particelle delle quali chi chiedeva il contributo non era proprietario come invece dichiarava di essere.

Il giudice d’appello, per di più, ben si può ritenere abbia trattato implicitamente anche quest’ultimo profilo, disattendendolo, laddove afferma che l’attuale ricorrente, “sottoscrivendo la domanda unica 2008 e la scheda di validazione del fascicolo aziendale, dichiarava, sotto la propria responsabilità, la piena proprietà” delle due particelle de quibus, nonostante che “entrambe le particelle sono risultate non essere di proprietà dell’odierno appellato”.

5.2 In ultima analisi, i due motivi dovrebbero riqualificarsi (a prescindere dalle loro venature fattuali, ovviamente non considerabili per inammissibilità), anzichè omesso esame di fatti discussi e decisivi – il primo motivo – e violazione delle norme relative al mandato e alla diligenza nell’adempimento delle obbligazioni – il secondo motivo -, quale unica denuncia, ex art. 112 c.p.c., di omesso esame della domanda proposta dallo S., che, così come la prospetta nel ricorso, si sarebbe fondata sull’inadempimento dell’obbligo informativo.

Peraltro, si è visto che la domanda proposta in primo grado si fondava sull’inadempimento dell’obbligo di inviare – e, ovviamente, dopo l’invio non ritirare – la domanda. La censura, anche riqualificata, risulta allora infondata, perchè basata sulla pretesa omessa pronuncia avente per oggetto una inammissibile domanda tardiva, non essendo certo qui applicabile la giurisprudenza nomofilattica “espansiva” sulla mutatio libelli (a partire da S.U. 15 giugno 2015 n. 12310), non trattandosi di una definizione della regiudicanda da compiersi nel primo grado (e in tal senso dovendosi interpretare latamente l’art. 183 c.p.c., qui appunto non pertinente), bensì trattandosi di una modifica in appello di almeno parte dei fatti costitutivi (viene introdotto, pur sempre sulla base dello stesso contratto, l’obbligo informativo come inadempiuto) che erano stati prospettati nel primo grado (cfr. ex multis, sulla sostituzione dei fatti costitutivi come fonte di novum inammissibile, tra gli arresti recenti, Cass. sez. 2, ord. 2 agosto 2019 n. 20870, Cass. Sez. 2, 12 dicembre 2018 n. 32416, Cass. sez. 3, 13 ottobre 2017 n. 24072), ai fini della proposizione, a ben guardare, di una domanda sostitutiva nei confronti di quella avanzata in primo grado (cfr. Cass. sez. 3, ord. 26 giugno 2018 n. 16807), sostituendo, come fatto costitutivo, all’inadempimento relativo all’invio della domanda l’inadempimento relativo alla informazione al mandatario.

6. Il rigetto dei primi due motivi assorbe il terzo motivo, a sua volta attinente all’obbligo di informazione, tant’è vero che lo stesso ricorrente (ricorso, pagina 25) adduce che la circolare è stata invocata soltanto nel secondo grado dall’appellante.

Le considerazioni svolte evidenziano anche le ragioni per cui non sono condivisibili le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla- rifusione a controparte delle spese come da dispositivo.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 2800, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenutasi con le modalità indicate nel relativo verbale depositato nella Cancelleria della Sezione Terza Civile, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2020

 

 

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