Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21968 del 03/09/2019

Cassazione civile sez. III, 03/09/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 03/09/2019), n.21968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20038-2017 proposto da:

B.G., B.F., B.P.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo

studio dell’avvocato UMBERTO GIUSEPPE ILARDO, che li rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COOPERATIVA EDILIZIA MINERVA A SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del

Liquidatore, suo legale rappresentante p.t. L.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 138, presso

lo studio dell’avvocato RODOLFO POLCHI, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4116/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/02/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 26-28 luglio 2017 B.P., B.F. e B.G. (padre dei ricorrenti terzo chiamato) impugnano per la cassazione la sentenza numero 4116-2016 della Corte d’appello di Roma, pubblicata in data 27 giugno 2016, emessa in un giudizio avviato dai medesimi nei confronti di Minerva cooperativa edilizia Srl al fine di ottenere in restituzione somme di danaro versate per la prenotazione di alloggi, non più consegnati a seguito della estromissione dei soci B.F. e P. dalla cooperativa. Nel giudizio di primo grado svoltosi innanzi al Tribunale di Roma la società cooperativa convenuta aveva chiamato in giudizio B.G. per essere da questi manlevato da ogni pretesa degli attori, sostenendo di non dovere alcunchè ai figli in quanto le quietanze rilasciate dalla cooperativa erano da intendersi simulate, essendo stato a suo tempo pattuito con il padre, architetto B.G., cui era stata affidata la progettazione la direzione dei lavori degli alloggi, la compensazione del prezzo di prenotazione con parte del corrispettivo a questi dovuto. Per quanto qui di interesse, il tribunale rigettava la domanda degli attori ritenendo sussistente la prova della simulazione delle quietanze rilasciate dalla cooperativa e rigettava la domanda riconvenzionale della cooperativa ritenendo prescritto il credito fatto valere dalla convenuta.

2. L’architetto B., in un parallelo giudizio, aveva richiesto la liquidazione dei compensi per l’intero ammontare e, a seguito di sentenza di accoglimento, nel primo grado aveva ricevuto integrale pagamento del corrispettivo. In sede di appello della cooperativa, la Corte d’appello di Roma aveva decurtato il prezzo della prenotazione degli alloggi da quanto dovuto dalla cooperativa al professionista, disponendo la restituzione di quanto in eccesso ricevuto dal professionista per effetto della sentenza di primo grado. La sentenza passava in giudicato nelle more di questo giudizio, previo rigetto del ricorso per cassazione.

3. La sentenza qui impugnata confermava la sentenza del Tribunale di Roma ritenendo che vi fosse prova in atti del fatto che la pretesa di restituzione non poteva essere vantata dai figli del progettista, neanche a titolo di ingiustificato arricchimento, posto che le quietanze di pagamento rilasciate dalla cooperativa ai figli del professionista erano frutto di simulazione oggettiva; tale circostanza era desumibile dalle dichiarazioni rese in altro procedimento dai figli e dalla scrittura privata del 4 dicembre 1989, dalla quale risultava che vi era un accordo tra la cooperativa e il padre degli attori con il quale si convenne che parte del compenso a lui dovuto sarebbe stato corrisposto mediante rilascio di ricevute di versamento, a nome dei figli, delle somme dovute per gli alloggi prenotati. Per quanto riguarda la circostanza in ordine al mancato incasso dei compensi da parte del padre che si è visto detrarre dai compensi le somme relative alla prenotazione degli alloggi, la Corte osservava che la questione relativa al compenso professionale era oggetto di altro giudizio e che sul punto vi era un giudicato avverso il quale non era stato proposta impugnazione. Nel corso di questo giudizio le parti ricorrenti davano atto del rigetto del ricorso per cassazione e del passaggio in giudicato della sentenza tra il padre e la cooperativa.

4. Il ricorso è affidato a 3 motivi cui resiste la cooperativa con controricorso notificato. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1411 c.c., per non avere la Corte considerato che il negozio stipulato dal padre con la cooperativa si prospettava come contratto a favore del terzo e che i figli avevano acquistato nei confronti della parte promittente – la cooperativa – il diritto di ricevere due immobili prenotati per effetto della mera stipulazione del contratto intercorso tra il padre e la cooperativa il 4 dicembre 1989.

1.1. Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha ritenuto che causa petendi e petitum attengono alla richiesta, da parte dei figli, di restituzione della somma versata per la prenotazione degli immobili e che l’eccezione opposta dalla resistente di simulazione oggettiva fosse provata. Ora i ricorrenti intendono condurre questa Corte a inquadrare la fattispecie entro la diversa cornice della stipulazione del negozio a favore di terzi, ex art. 1411 c.c. ai fini di provare la legittimazione dei figli, beneficiari del negozio stipulato dal padre con la cooperativa. Si tratta tuttavia di un inquadramento della fattispecie entro una cornice normativa avente contenuto e presupposti del tutto differenti dal titolo per cui è stata chiesta la restituzione degli importi da parte dei figli alla cooperativa, e dunque concerne una questione che non appartiene alla materia del contendere, o comunque a un tema di eccezione alla simulazione mai sollevato. In sede di giudizio di legittimità non è consentito mutare la domanda per come definita nelle fasi di merito, e ciò alla luce del principio secondo cui: “l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, il quale deve accertarne la portata sulla base sia della sua formulazione letterale sia, soprattutto, del suo contenuto sostanziale, in relazione alle finalità perseguite dalla parte ed al provvedimento richiesto in concreto, desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio. Il sindacato sull’operazione interpretativa anzidetta, in quanto non riferibile ad un vizio in procedendo, è consentito alla Corte di Cassazione nei limiti istituzionali del giudizio di legittimità” (Sez. 2, Sentenza n. 23215 del 17/11/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5005 del 14/10/1985).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ex art. 360 c.p.c., n. 5 che la Corte d’appello non ha considerato che lo stesso importo è stato decurtato dai compensi dovuti al professionista con sentenza pronunciata in altro giudizio divenuto definitivo con la sentenza della Corte d’appello n. 1824-2007 e che quindi non è mai stato versato al medesimo. Conseguentemente, la simulazione sarebbe solamente soggettiva e non oggettiva. La parte resistente deduce che tale circostanza è stata dedotta solo in sede di appello.

2.1. Il motivo è inammissibile. La circostanza qui dedotta è stata ritenuta irrilevante dalla Corte di merito e dunque il motivo non attiene a un caso di omessa pronuncia, ma di diversa valutazione in fatto. In ogni caso manca l’indicazione del come e dove tale questione sia stata sollevata e discussa tra le parti per potere essere vagliata da questa Corte (v. Cass. S.U. n. 8053/2014).

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 di un fatto decisivo, deducendo che, in via residuale, l’interpretazione corretta dell’atto di appello avrebbe dovuto condurre la Corte di merito a considerare la decurtazione del compenso avvenuta in ragione della imputazione dell’equivalente al corrispettivo per la prenotazione degli immobili da parte dei figli del professionista.

3.1. In merito, prevale la considerazione che la censura è inammissibile sotto il profilo dell’art. 366 c.p.c., n. 4 poichè il motivo, al lume della motivazione, evidenzia come la sua illustrazione non si correli alla motivazione enunciata dalla Corte territoriale entro i limiti della domanda azionata, la quale ha tenuto conto della circostanza, in tesi omessa, ritenendola non rilevante ai fini della decisione del giudizio, ove era stato dedotto dagli attori, figli del professionista, di avere diritto a ripetere quanto versato a titolo della prenotazione degli alloggi, mentre la società aveva eccepito la simulazione della quietanza rilasciata ai figli su richiesta del professionista, ritenendo quindi i figli non legittimati a pretendere tale somma in restituzione, di spettanza del padre dissimulato acquirente.

3.2. Sicchè, non apparendo il motivo correlato ad essa, impinge nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto recentemente rinverdito da Cass. SU n. 7074 del 2017: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″.

3.3. Inoltre, il motivo intende indurre questa Corte a rilevare che si sarebbe formato un giudicato esterno sulla questione dell’imputazione della somma quietanzata ai figli come parte del compenso dovuto al professionista, la quale quindi potrebbe incidere sulla questione concernente la simulazione che, quindi, avrebbe solo valore soggettivo e non oggettivo, proprio perchè il prezzo per la prenotazione degli immobili era stato versato dal padre e non dai figli. Tuttavia si osserva che tale giudicato esterno, formatosi tra diverse parti, non coinvolge la pretesa qui azionata dai figli in proprio, quali (simulati) acquirenti degli immobili, e non dal padre, intervenuto solo quale terzo chiamato dalla cooperativa a sostegno delle ragioni dei figli. E’, difatti, rimasta fuori da questo giudizio la pretesa del professionista di ottenere in restituzione l’importo versato per la prenotazione degli alloggi, quale dissimulato acquirente. Pertanto nel caso specifico non sussiste il dedotto rischio di contrasto di giudicati eventualmente rilevabile anche d’ufficio (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 12159 del 06/06/2011).

4. Conclusivamente il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore delle parti separatamente resistenti.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 4000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2019

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