Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21966 del 28/10/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 21966 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: VELLA PAOLA

SENTENZA

sul ricorso 26304-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona

del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA

ROMA VIA DEI
GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2015

›orrl■

2604

7~1IfidiM

001~ Oka
APPIA

SECONDA SRL IN LIQUIDAZIONE

in persona

Liquidatore, elettivamente domiciliato in

del

ROMA VIA

Data pubblicazione: 28/10/2015

DELLE QUATTRO FONTANE

15, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE TINELLI,

che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;
– controricorrente a ricorso incidentale contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intinustci –

avverso la sentenza n. 84/2009 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 17/09/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/07/2015 dal Consigliere Dott.

PAOLA

VELLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che ha
chiesto

l’accoglimento

del

ricorso principalee, ‘J,’

rigetto incidentale;
udito per il controricorrente l’Avvocato CONTESTABILE /
su delega dell’Avvocato TINELLI, che si riporta al
controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso principalearigetto dte
incidentale condizionato.

L

RITENUTO IN FATTO
A seguito di p.v.c. del 27.3.2002, redatto dal Nucleo centrale Polizia
Tributaria della G.d.F. di Roma, l’Agenzia delle entrate emetteva avviso di
accertamento per il recupero a tassazione dell’Iva relativa all’anno di imposta
1997, ritenuta indebitamente detratta dalla società “APPIA SECONDA s.r.l.” per
operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere con le società “Prima
scelta s.r.l.” e “Ve.Cas s.r.l.”, ritenute società cd. “cartiere”, interposte rispetto
alla società francese “SCABEV”, effettivo fornitore delle carni commercializzate.

dell’avviso, per contraddittorietà della relata di notifica, l’invalidità della
motivazione

per relationem,

la mancanza di autorizzazione dell’Autorità

giudiziaria all’utilizzo degli elementi acquisiti nel corso delle indagini penali e la
violazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio; sosteneva invece
l’effettività delle operazioni contestate, la maggior parte delle quali era stata
posta in essere con fornitori tedeschi.
La C.T.P. di Roma accoglieva il ricorso, escludendo, tra l’altro, che gli
elementi probatori forniti dall’Ufficio consentissero di ritenere provata la
connivenza della contribuente con le altre società ritenute responsabili della
truffa sull’Iva, conformemente all’esito del parallelo processo penale.
La C.T.R. del Lazio respingeva sia l’appello incidentale della contribuente – in
punto di invalidità della notifica dell’avviso e della motivazione per relationem sia l’appello principale dell’Ufficio, per non avere questi “dimostrato né la
presenza del dolo, né che il cessionario avrebbe potuto sapere, utilizzando
l’ordinaria diligenza, l’esistenza di un giro fraudolento a monte dei suoi acquisti”,
tanto più esistendo in atti sentenza penale di assoluzione dell’amministratore
della società contribuente “perché i fatti non sussistono”.
Per la cessazione della sentenza d’appello n. 84/34/09, depositata in data
17.9.2009, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso affidato a tre motivi.
La società “APPIA SECONDA s.r.l. in liquidazione” ha resistito con
controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, parimenti
articolato su tre motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce la
«violazione degli artt. 2697 c.c., 19 e 54 del D.P.R. nr. 633/1972, 17 della Dir.
CEE 17.5.1977, nr. 77/388/CE e 167 Dir. CEE 28.11.2006, nr. 2006/112/CE
(come interpretati dalla giurisprudenza comunitaria), in relazione all’art. 360, co.
1, nr. 3, c.p.c.».
1.1. Con il correlato quesito di diritto chiede a questa Corte se violi il
combinato disposto delle norme sopra indicate – «alla cui stregua, qualora venga

ud. 21 luglìo 2015

24304110 N.R.G.

La contribuente impugnava l’avviso, eccependo la nullità della notifica

contestata l’indetraibilità dell’IVA assolta in relazione ad operazioni passive
concluse con un fornitore, qualificato dall’Amministrazione finanziaria come
“impresa cartiera” ed autore di una frode IVA ai danni dell’Erario, costituisce
onere del contribuente dimostrare lal fonte legittima della detrazione ivi
compreso l’aver adottato tutte le misure che possano essere ragionevolmente
pretese al fine di assicurarsi che le proprie operazioni non facciano parte di una
frode – la sentenza della C.T.R. che, in una tale situazione, respinga l’appello
dell’Ufficio, affermando: a) che deve sempre presumersi la buona fede del

contribuente ovvero che lo stesso, usando l’ordinaria diligenza, poteva sapere
che i propri acquisti si inserivano all’interno di una frode perpetrata da terzi».
2. Con il secondo mezzo la ricorrente censura altresì la «insufficienza della
motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio. Art. 360,
co. 1, nr. 5, c.p.c.».
2.1. Il correlato momento di sintesi recita: «in relazione al fatto controverso
e decisivo del giudizio costituito, ai fini della legittima detrazione dell’IVA versata
in relazione ad operazioni passive concluse con due società qualificate
dall’Amministrazione finanziaria come “cartiere” (autrici di una frode ai danni
dell’Erario), dall’accertamento dell’oggettiva impossibilità per il contribuente di
sapete di partecipare, con i propri acquisti, alla frode commessa dal preteso
venditore, si evidenzia l’insufficienza della motivazione della sentenza della
C. T.R. che respinga l’appello proposto dall’Ufficio: 1) attribuendo valore
dirimente all’assoluzione, nel processo penale, dell’amministratore della società
appellata, senza, tuttavia, riportare, neppure sinteticamente, né il contenuto
della sentenza penale, né le prove su cui detta assoluzione si fondava; 2) senza
considerare che il contribuente, al fine di dimostrare, l’effettività e la veridicità
delle operazioni contestate, aveva depositato, esclusivamente, copia degli
assegni bancari ovvero documenti, Chge—cóndo il consolidato orientamento della
giurisprudenza di legittimità, qualora venga contestata la contabilizzazione di
operazioni passive soggettivamente inesistenti, sono privi di decisività».
3. Il terzo motivo di ricorso consiste nella lamentata «violazione degli artt.
19 e 54 del D.P.R. nr. 633/1972, 17 della Dir. CEE 17.5.1977, nr. 77/388/CE,
167 Dir. CEE 28.11.2006, nr. 2006/112/CE e 654 c.p.c. in relazione all’art. 360,
co. 1, nr. 3, c.p.c.».
3.1. Con il correlato quesito di diritto la ricorrente chiede a questa Corte se
violi il combinato disposto delle disposizioni sopra indicate – «alla cui stregua,

qualora venga contestata l’indetraibilità dell’IVA assolta in relazione ad
operazioni passive concluse con un fornitore, qualificato dall’Amministrazione
finanziaria come “impresa cartiera” ed autore di una frode IVA ai danni
ud. 21 lugNo 2015

163e4(10 N.R.G.

contribuente; b) che è onere dell’Ufficio dimostrare in giudizio il dolo del

e. ,
,

dell’Erario, deve escludersi che alla sentenza, con cui il giudice penale affermi
l’irresponsabilità dell’amministratore della predetta società nella commissione
della frode IVA, abbia valore vincolante per il giudice tributario (che, pertanto, è
obbligato ad effettuare una propria ed autonoma valutazione, secondo le regole
proprie della distribuzione dell’onere della prova nel giudizio tributario, degli
elementi probatori acquisito nel processo penale) – la sentenza della C. T.R. che,
in accoglimento dell’appello della società, annulli l’atto impositivo: a) limitandosi
ad affermare che il giudice penale aveva accertato il mancato coinvolgimento
dell’amministratore della società appellante nella frode IVA perpetrata ai danni

dell’Erario dai fornitori, qualificati come società cartiera; b) omettendo,
completamente, di effettuare un’autonoma valutazione degli elementi probatori
acquisiti nel corso del processo penale».
4. Tutti i motivi del ricorso principale risultano inammissibili.
5. Il primo difetta di decisività, poiché colpisce solo una delle due rationes
decidendi della sentenza, segnatamente quella relativa ai criteri di ripartizione
dell’onere probatorio in tema di detraibilità dell’Iva applicata su operazioni
fraudolente – che il giudice d’appello avrebbe violato, gravandone l’Ufficio
piuttosto che il contribuente il quale “inconsapevolmente ed in buona fede
incappi in una catena di cessioni ove a monte si sia inserito un soggetto
fraudolento” – trascurando che, con la seconda, il giudice d’appello ha comunque
valorizzato la piena assoluzione dell’amministratore della società contribuente in
sede penale, con la motivazione “perché i fatti non sussistono”, ritenendola
“elemento probante, in specie sull’accertamento dei fatti”.
6.

Il secondo motivo risulta invece affetto da genericità e difetto di

autosufficienza, laddove si lamenta che il giudice d’appello avrebbe
“apoditticamente ritenuto privi di valore decisivo gli elementi di fatto e le prove
addotte dall’Amministrazione finanziaria (pag. 38) e che, “ove il giudice d’appello
avesse valutato le emergenze istruttorie del presente giudizio alla luce dei
principi di diritto enunciati da codesta Ecc.ma Corte, non v’è dubbio alcuno che
l’esito del gravame sarebbe stato favorevole all’Amministrazione finanziaria”
(pag. 41). Inoltre, parte ricorrente si duole che il giudice d’appello abbia omesso
di riportare, sia pure sinteticamente, il contenuto della sentenza penale cui ha
attinto per la motivazione, trascurando però che quel contenuto doveva
necessariamente essere noto alle parti del giudizio tributario, per avere lo stesso
giudice appello affermato “in atti vi è sentenza del Tribunale di Roma p.p.n.
13990/98, con la quale risulta assolto il sig. Marani Colombo (foglio 15 p.v.c.)
già amministratore della Appia Seconda srl, perché i fatti non sussistono”.

,

6.1. Sembra dunque che, sotto l’apparenza di una censura di insufficienza

ki

motivazionale, la ricorrente intenda in realtà contestare il merito della decisione,
ud. 21 luglio 2015

16904/10 N.R.G.

V

così contravvenendo al granitico orientamento di questa Corte

(ex plurimis,

Cass. n. 14233 del 2015) per cui il controllo di adeguatezza e logicità del giudizio
di fatto, consentito dall’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. – nella
versione vigente ratione temporis

non equivale alla revisione del ragionamento

decisorio, che si risolverebbe nella riformulazione del giudizio di fatto,
incompatibile con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudizio di legittimità
(Cass. nn. 959 e 961 del 2015), spettando in via esclusiva al giudice di merito la
selezione degli elementi del suo convincimento (Cass. n. 26860 del 2014, n. 962

7. Quanto al terzo motivo, esso poggia su un presupposto non verificato,
ossia che il giudice d’appello avrebbe attribuito valore vincolante, nel giudizio
tributario, alla sentenza resa nel giudizio penale, quando in realtà i giudici
regionali si sono premurati di escludere espressamente il valore di giudicato
penale della sentenza di assoluzione cui hanno fatto riferimento, precisando che
la stessa poteva però essere “debitamente tenuta in considerazione quale
elemento probante, in specie sull’accertamento dei fatti”; e ciò dopo aver
comunque registrato l’assenza di prova, all’interno dello stesso processo
tributario, dei pretesi profili di dolo o negligenza della società contribuente. Così
facendo, la C.T.R. si è conformata al principio costantemente affermato da
questa Corte, per cui, ferma restando l’inoperatività, nel giudizio tributario,
dell’efficacia vincolante del giudicato penale ex art. 654 cod. proc. pen. (stanti le
diverse regole probatorie vigenti nei due processi), la decisione penale può
comunque costituire un elemento di prova critica, sulla base dei fatti accertati
nel relativo giudizio (ex multis, Cass. n. 4924 del 2013).
8. L’inammissibilità dei motivi del ricorso principale rende superfluo, per
carenza di interesse, l’esame di quelli proposti nel ricorso incidentale,
espressamente qualificato “condizionato”.
9. In forza del principio di soccombenza, la ricorrente va condannata alla
rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale, con assorbimento del ricorso
incidentale condizionato, e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in C 10.200,00 (di cui C 200,00 per esborsi)
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 luglio 2015 .

del 2015).

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