Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21965 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. un., 30/07/2021, (ud. 08/06/2021, dep. 30/07/2021), n.21965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Primo Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sezione –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sezione –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4096-2021 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI

27, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTA ROSATI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIO TADDEUCCI SASSOLINI;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FIRENZE, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4/2021 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 11/01/2021.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2021 dal Consigliere Dott. MARULLI MARCO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Emanuele Principi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 36, comma 6, l’avvocato C.M. impugna avanti a queste Sezioni Unite, reclamandone la cassazione, l’epigrafata sentenza con la quale il Consiglio Nazionale Forense, adito dal medesimo in sede disciplinare, ne ha respinto il ricorso avverso la decisione in data 20.1.2017 del CDD di Firenze che, a definizione del procedimento disciplinare aperto a suo carico per la violazione degli artt. 9, 19 e 52 del Codice deontologico forense approvato con Regolamento CNF 21 febbraio 2014, n. 2, gli aveva irrogato la sanzione dell’avvertimento.

L’incolpazione ascritta nella specie al ricorrente era motivata dal contegno tenuto dal medesimo durante una conferenza tenutasi presso il suo studio, alla presenza dei rispettivi clienti e dei loro consulenti, nei confronti dell’avvocato della controparte P.C. rispetto alla quale era venuto meno ai doveri di lealtà, dignità, correttezza, probità e decoro avendo apostrofato la medesima P. con frasi offensive e sconvenienti.

Il CNF, attinto per la riforma dell’impugnata decisione di prima istanza, ha previamente respinto la richiesta di differimento della trattazione per impedimento del difensore sul rilievo che il richiedente non era munito di procura speciale, a né risultava sottoscrittore del ricorso introduttivo; indi, nel ribadire le ragioni della pronunciata condanna ha ritenuto provati gli addebiti contestati, oltre che alla luce delle deposizioni testimoniali assunte, in considerazione delle affermazioni operate dal difensore dell’incolpato che, nel corso dell’audizione avanti al consigliere istruttore, aveva riconosciuto come nel descritto frangente il proprio assistito fosse andato “sopra le righe”, locuzione verosimilmente descrittiva del comportamento tenuto dal C. nell’occorso. Ne’, ha ragionato ancora il decidente, nel contesto in questione ha effetto scriminante la pretesa circostanza della provocazione riferita alla P., vero che ciò, a mente dell’art. 52 Codice deontologico, non escluderebbe la rilevanza disciplinare della condotta ascritta e non varrebbe in ogni caso ad attenuare la responsabilità dell’incolpato, tenuto in ragione della sua maturità professionale, ad assumere nei confronti della più giovane collega un atteggiamento più prudente e più rispettoso.

Per la cassazione della decisione qui impugnata, il C. si affida a due motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, cui non hanno inteso replicare gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso il C. deduce la violazione dell’art. 179 c.p.p. e degli artt. 21 e 111 Cost., censurando la negativa determinazione del giudicante di non disporre con la vista motivazione il differimento della trattazione per impedimento del difensore posto che l’avv. Taddeucci Sassolini, cui l’impedimento era dovuto, in forza del mandato conferitogli espressamente per il presente giudizio disciplinare e richiamato nello stesso atto di gravame aveva pieno titolo per assistere e difenderlo anche nel giudizio avanti al CNF, senza che si rendesse perciò necessario il rilascio di una procura speciale, tanto più considerato che il ricorso era stato personalmente proposto da esso ricorrente.

2. Il motivo non ha pregio.

Richiamato il disposto del R.D. 22 dicembre 1934, n. 37, art. 60, comma 4, in forza del quale “nel procedimento davanti al Consiglio Nazionale il professionista interessato può essere assistito da un avvocato iscritto nell’albo speciale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 33, munito di mandato speciale” è salda convinzione di questa Corte che “in tema di proposizione di ricorso al Consiglio nazionale forense la procura speciale ad avvocato iscritto nell’apposito albo deve essere conferita, come prescrive del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 60, comma 4, richiedendone la specialità, con specifico riferimento a tale ricorso, in quanto detto requisito, stabilito dalla richiamata norma per la fase giurisdizionale innanzi al Consiglio nazionale (che segue quella amministrativa avanti al Consiglio dell’ordine), assolve all’esigenza che la volontà della parte di impugnare la decisione amministrativa si formi tenendo conto della decisione oggetto del ricorso stesso e, pertanto, necessariamente dopo la sua pubblicazione e con specifico riferimento ad essa; ne consegue che, a tale effetto, non può essere considerata idonea la procura rilasciata per la rappresentanza e la difesa nella fase amministrativa, ancorché fosse stata conferita in vista dell’intero procedimento” (Cass., Sez. U, 18/06/2008, n. 16538).

Del tutto rettamente, quindi, il decidente del merito, pur non dubitando della procedibilità del gravame per essere esso stato proposto dal professionista personalmente, ha tuttavia ritenuto che, in difetto di un mandato speciale conferito espressamente per la fase del procedimento disciplinare che ha luogo avanti a sé, la procura a suo tempo rilasciata al difensore con generico riferimento al procedimento non esplichi alcun effetto, traendo da ciò la conseguenza che l’impedimento da questi allegato a fondamento dell’istanza di differimento fosse inconferente, non essendo l’istante munito di rappresentanza processuale per il giudizio di gravame.

3.1. Con il secondo motivo di ricorso il C. lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo ed un palese vizio di motivazione in cui il decidente sarebbe incorso nel rigettare la proposta impugnazione, vero che se il CNF si fosse confrontato con le circostanze concrete del caso avrebbe dovuto riconoscere che la letteralità delle espressioni usate nei confronti della collega si giustificava in ragione della pregressa condotta di costei, che aveva minacciato il cliente dell’avvocato C. di ritorsioni giudiziarie.

3.2. Il motivo è affetto da pregiudiziale inammissibilità.

Va, invero, ricordato, come questa Corte ha più volte affermato che le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle SS.UU. ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3 e del L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione, con la conseguenza che, salva l’ipotesi di sviamento di potere, in cui il potere disciplinare sia usato per un fine diverso rispetto a quello per il quale è stato conferito, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata non può essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza (Cass., Sez. U, 31/07/2018, n. 20344).

Più in dettaglio, si reputa quanto al vizio di motivazione sindacabile ai sensi dell’art. 111 Cost., che il rimedio non sia esperibile – tanto più ora alla stregua della riscrittura dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giusta la lettura nomofllattica di esso ad opera di SS.UU. 8053/14 e 8054/14 – per denunziare l’inadeguatezza, l’insufficienza o la contraddittorietà dell’iter argomentativo che sorregge il decisum, a meno che tali vizi non consistano nella totale mancanza o nella mera apparenza della motivazione, così da risolversi essi stessi in violazione di legge sotto il profilo dell’inosservanza dell’obbligo, imposto al giudice dall’art. 132 c.p.c., n. 4, di esporre concisamente i motivi in fatto e in diritto della decisione (Cass., Sez. U, 26/06/2001, n. 8747). Non e’, quindi, consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull’assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale (Cass., Sez. U, 2/12/2016, n. 24647). Poiché, pertanto, il vizio denunciabile deve tradursi in omissioni, lacune o contraddizioni tali che la decisione possa ritenersi affetta da un vulnus motivazionale che si traduca in violazione di legge costituzionalmente rilevante, va conseguentemente esclusa la scrutinabilità delle doglianze con cui il ricorrente intenda far accertare in sede di legittimità i presupposti integranti una situazione di necessità, scriminante, in presenza della quale il medesimo non avrebbe potuto non tenere il comportamento censurato dall’organo disciplinare, risolvendosi in accertamenti in punto di fatto e valutazioni delle risultanze processuali che non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità (Cass., Sez. U, 4/02/2009, n. 2637).

Atteso che il provvedimento qui impugnato è assistito da congrua ed adeguata motivazione la censura non evidenzia alcuna criticità motivazionale suscettibile di vaglio in questa sede, ma sostanzia soltanto una rivalutazione del quadro istruttorio e delle risultanze fattuali poste alla base della contestata condanna sul presupposto della sua ritenuta ingiustizia, a cui però non compete alle Sezioni Unite qui adite porre riparo.

4. Il ricorso va dunque respinto.

5. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria.

Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello riscosso per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezioni Unite civili, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

 

 

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