Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21964 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. un., 30/07/2021, (ud. 08/06/2021, dep. 30/07/2021), n.21964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Primo Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sezione –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sezione –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2144-2021 proposto da:

C.S., domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato EMILIANO

DE’ RUGGIERO;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI SANTA MARIA CAPUA VETERE,

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 217/2020 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 06/11/2020.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2021 dal Consigliere Dott. MARULLI MARCO;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale Dott. SALZANO

FRANCESCO, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di

cassazione vogliano dichiarare inammissibile il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 36, comma 6, l’avvocato C.S. impugna avanti a queste Sezioni Unite, reclamandone la cassazione, l’epigrafata sentenza con la quale il Consiglio Nazionale Forense, adito dal medesimo in sede disciplinare, ne ha respinto il ricorso avverso la decisione in data 23.8.2017 del CDD di Napoli che, a definizione del procedimento disciplinare aperto a suo carico per la violazione degli artt. 9, 20, 23 e 50 del Codice deontologico forense approvato con Regolamento CNF 21 febbraio 2014, n. 2, gli aveva irrogato la sanzione della sospensione dal’attività professionale per la durata di otto mesi.

I fatti oggetto di incolpazione disciplinare erano riflesso del procedimento penale aperto a carico del C. presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il reato di associazione a delinquere e per reati connessi finalizzati alla consumazione di truffe assicurative mediante la fabbricazione di falsi sinistri stradali, attività criminose a cui il C. aveva partecipato in qualità di organizzatore, nonché patrocinando la posizione di alcuni interessati, che non gli avevano conferito alcun mandato e di cui pure aveva attestato falsamente l’autenticità della sottoscrizione, e producendo documentazione assicurativa e medica parimenti falsa alle compagnie assicurative coinvolte; reati peraltro dichiarati estinti dal citato Tribunale per intervenuta prescrizione.

Nel respingere il gravame avverso la decisione di prima istanza e, segnatamente, i rilievi di ordine motivazionale sollevati dal ricorrente, il CNF si è dato cura di rimarcare inizialmente che la responsabilità del C. in ordine ai fatti sanzionati in sede disciplinare era comprovata dalle acquisizione operate nel corso del procedimento penale ed, in particolare, oltre che dal disconoscimento da parte degli interessati delle dinamiche dei sinistri denunciati, dalle numerose intercettazioni telefoniche in cui, interloquendo con un altro associato, il C. concordava con questo la “costruzione” delle dinamiche dei sinistri trattati. Comprovata per ammissione dello stesso incolpato che aveva ammesso di non aver raccolto personalmente la sottoscrizione degli interessati era poi la consumazione dell’illecito riferito al difetto di incarico e all’autenticazione delle sottoscrizioni presenti sui relativi atti, che altro compartecipe gli aveva consegnato già sottoscritti; come del pari pieno riscontro nella condotta del C. doveva trovare pure la contestazione mossa al medesimo circa la produzione in sede di trattazione dei sinistri di documentazione assicurativa e medica affetta da falsità.

La cassazione di detta sentenza è ora domandata dal C. con ricorso a questa Corte non resistito dagli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con un’unica, estesa e multiforme censura il C. lamenta l’erroneità in diritto dell’impugnata sentenza in relazione alla legge professionale, al Codice deontologico ed altre norme giuridiche e si duole, quanto all’iter decisionale che ne è alla base, della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione, nonché dell’omessa pronuncia in ordine al primo capo di impugnazione ed, ancora, del vizio di omessa, insufficiente, manifestamente illogica e contraddittoria pronuncia in ordine al secondo capo di impugnazione, vizi tutti, questi, che nel loro complesso a, giudizio del deducente, inficerebbero la decisione e ne comporterebbero perciò la doverosa cassazione chiesta con il ricorso. In sintesi, il ricorrente, tra l’altro addebita alla sentenza per cui è ricorso di “aver completamente trascurato l’esame di tutti gli elementi acquisiti in dibattimento e derivanti dalle produzioni della difesa”, a cominciare, in particolare, dalla perizia trascrittiva delle intercettazioni telefoniche donde si evincerebbe che egli aveva intrattenuto rapporti solo con un altro associato; di aver posto a fondamento del proprio assunto decisionale “una motivazione incompleta, parziale e frutto di un’istruttoria dibattimentale imperfetta, attesa la maturata estinzione dei reati non contestati per intervenuta prescrizione”; di aver posto in rilievo “solo le dichiarazioni non favorevoli, non coerenti ed univoche, pesantemente marchiate da gravi contraddittorietà, dedicando uno spazio veramente minino – per non dire irrisorio – alle argomentazioni difensive e alle prove prodotte dalla difesa del ricorrente”; di riposare “su un quadro probatorio non linearmente rappresentato come completo ed univoco e, come tale, assolutamente censurabile sia sotto il profilo della congruità, che della correttezza logico-argomentativa”; di aver dato “una valutazione pregiudiziale orientata alla presunzione di colpevolezza dell’imputato, svilendo acquisizioni di obiettiva ed imprescindibile importanza nella ricostruzione logico-deduttiva dei fatti”.

3. La censura per come esposta non ha alcun pregio cassatorio dovendosene previamente rilevare l’inammissibilità.

Ne è ragione, prim’ancora dei vizi che ne infirmano la capitolazione sotto il profilo delle regole che governano il ricorso per cassazione che solo esemplificativamente postulano che gli errori di diritto siano dedotti mediante specifiche intellegibili ed esaurienti argomentazioni, intese a dimostrare motivatamente in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. I, 29/11/2016, n. 24298) ovvero non consentono la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, (Cass., Sez. I, 23/10/2018, n. 26874) o ancora non trovano più riscontro nella legge vigente in conseguenza della riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass., Sez. III, 12/10/2017, n. 23940), tutte condizioni di ammissibilità del ricorso rimaste inosservate nella specie – la considerazione prioritariamente indotta dalla specificità del mezzo azionato che, come più volte affermato da questa Corte, poiché, le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle SS.UU. ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56, comma 3 e del L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ai sensi dell’art. 111 Cost., per vizio di motivazione, l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua gravità ai fini della concreta individuazione della condotta costituente illecito disciplinare e della valutazione dell’adeguatezza della sanzione irrogata costituiscono attività riservate in via esclusiva al giudice del merito e si intendono perciò sottratte al controllo di legittimità demandato a questa Corte (Cass., Sez. U, 31/07/2018, n. 20344), sempreché in ragione della motivazione adottata non si rivelino affette da un’anomalia motivazionale costituente violazione di legge costituzionalmente rilevante. Più in dettaglio, si reputa, quanto al vizio di motivazione, sindacabile ai sensi dell’art. 111 Cost., che il rimedio non sia esperibile – tanto più ora alla stregua della riscrittura dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giusta la lettura nomofllattica di esso ad opera di SS.UU. 8053/14 e 8054/14 – per denunziare l’inadeguatezza, l’insufficienza o la contraddittorietà dell’iter argomentativo che sorregge il decisum, a meno che tali vizi non consistano nella totale mancanza o nella mera apparenza della motivazione, così da risolversi essi stessi in violazione di legge sotto il profilo dell’inosservanza dell’obbligo, imposto al giudice dall’art. 132 c.p.c., n. 4, di esporre concisamente i motivi in fatto e in diritto della decisione (Cass., Sez. U, 26/06/2001, n. 8747). Ne’, in ragione dei limiti frapposti dalla legge, è consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull’assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale (Cass., Sez. U, 2/12/2016, n. 24647).

Nessun addebito in parte qua è sollevabile nei confronti della sentenza qui impugnata, essendo essa assistita da congrua ed adeguata motivazione, di guisa che la censura sostanzia soltanto un’istanza di rivalutazione del quadro istruttorio e delle risultanze fattuali poste alla base della contestata condanna a cui però non compete alle Sezioni Unite di questa Corte dare seguito.

4. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

5. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria.

Ove dovuto, sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello riscosso per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezioni Unite civili, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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