Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21962 del 24/10/2011

Cassazione civile sez. I, 24/10/2011, (ud. 07/07/2011, dep. 24/10/2011), n.21962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21802-2005 proposto da:

R.S. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE FEDERICI 2, presso l’avvocato

ALESSANDRINI MARIA C, rappresentato e difeso dall’avvocato FREDA

ETTORE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.A.C.P. DELLA PROVINCIA DI AVELLINO (c.f. (OMISSIS)), in persona

del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELL’ACQUEDOTTO PAOLO 80, presso il dott. FREDA LUCIO, rappresentato

e difeso dall’avvocato PEDICINO CARMEN, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3360/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato CARMEN PEDICINO che ha

chiesto il rigetto del ricorso e condanna alle spese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.S., titolare della omonima impresa edile cui era stata conferita in appalto l’esecuzione di lavori di manutenzione:

ordinaria degli alloggi di proprietà dell’I.A.C.P. di Avellino, convenne in giudizio l’Istituto deducendo che egli aveva eseguito, su richiesta del Direttore dei Lavori, degli interventi con materiali molto più costosi rispetto a quelli contabilizzati ed altri lavori (realizzazione di massetti sottili, revisione impianti elettrici, trasporto materiali a pubblica discarica) ivi non considerati; e che il corrispettivo non gli era stato riconosciuto in sede di stato finale dei lavori, costringendolo ad apporre riserve non accolte.

Chiedeva quindi la condanna del convenuto, anche ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., al pagamento di tale maggior corrispettivo, quantificato in L. 173.582.832 oltre interessi e rivalutazione. Lo I.A.C.P. contestava la domanda deducendo fra l’altro che nessun lavoro extracontrattuale era stato autorizzato. L’adito Tribunale di Avellino, espletata prova testimoniale e consulenza tecnica d’ufficio, rigettava la domanda.

L’appello proposto dal R. veniva rigettato dalla Corte di Napoli, che osservava: a) che le disposizioni in tema di appalti di opere pubbliche (L. n. 2248 del 1865, art. 342, comma 1, all. F; R.D. n. 350 del 1895, art. 20, comma 6; art. 13, comma 1 Cap. Gen. OO.PP di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962) vietano all’appaltatore di procedere all’esecuzione di opere diverse ed aggiuntive rispetto a quelle previste nel contratto e non autorizzate dall’amministrazione appaltante, anche se utili, necessarie e persino urgenti; b) che, a norma del citato art. 342, comma 2 per tali varianti gli appaltatori non possono pretendere alcun aumento di prezzo o indennità; c)che nel caso di specie le opere aggiuntive e diverse non risultavano essere stata autorizzate dal Direttore dei Lavori, il quale aveva confermato in qualità di teste – in sintonia con quanto dichiarato a sua volta dall’assistente – come non fosse stato emesso alcun ordine di servizio, che del resto avrebbe richiesto l’approvazione della stazione appaltante; d) che quindi al R. non spettava alcuna somma, neppure a titolo di indennizzo per indebito arricchimento tenendo anche conto – quanto a quest’ultimo profilo – che non era provato il riconoscimento della utilità dell’opera o delle prestazioni, neppure per implicito, da parte dell’Ente, il quale del resto aveva respinto le riserve avanzate dall’impresa al riguardo.

Avverso tale sentenza, pubblicata il 23 novembre 2004 e notificata l’8 luglio 2005, il R. ha, con atto notificato il 4 agosto 2005, proposto ricorso a questa Corte basato su tre motivi.

Resiste lo I.A.C.P. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione/falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 342, all. F, R.D. n. 350 del 1895, art. 20, artt. 12 e 13 Cap. Gen. OO.PP. del 1962, nonchè vizio di motivazione; denunzia inoltre la violazione del R.D. n. 350 del 1895, art. 103 e degli artt. 1321 e 1362 cod. civ.. Sostiene che – tenuto conto della natura di contratto misto, assimilabile all’appalto di lavori e non di servizi, propria del contratto di manutenzione – la sua impresa non ha posto in essere opere extracontrattuali, bensì delle variazioni della prestazione originaria, necessarie per una completa manutenzione degli immobili, qualificabili piuttosto come opere di completamento del contratto; e che il Direttore dei Lavori – il quale ha un ampio margine di discrezionalità nella esecuzione dei lavori e nelle istruzioni da impartire all’appaltatore in rappresentanza della committenza – ha, da un lato, attestato nel certificato di regolare esecuzione e di collaudo che i lavori eseguiti corrispondono a quelli autorizzati salvo lievi varianti rientranti nei suoi poteri, dall’altro ha, come collaudatore, ammesso in contabilità tutti i lavori, con ciò evidentemente giudicandoli indispensabili ai sensi del R.D. n. 350 del 1895, art. 103.

1.1 Con il secondo motivo, il ricorrente censura specificamente il rigetto della domanda relativa alla revisione degli impianti elettrici, ribadendo le doglianze esposte nel primo motivo ed aggiungendo che tale revisione era prevista in contratto ed era comunque indispensabile, come riconosciuto dal C.T.U..

1.2 Il terzo motivo ha ad oggetto la pronuncia relativa all’indennizzo per ingiustificato arricchimento, e denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 2041, 2042 e 1398 cod. civ. nonchè vizio di motivazione. Sostiene il ricorrente: che, ai sensi dell’art. 2041 c.c. – la cui applicazione nell’ambito del rapporto di appalto pubblico non può ritenersi esclusa dal disposto del R.D. n. 350, art. 342 l’illegittimità di un ordine non scritto della Direzione Lavori non impedisce il riconoscimento dell’indennizzo; che nella specie l’arricchimento è stato riconosciuto dal c.t.u.; che il collaudo ed il certificato di regolare esecuzione, nonchè l’inserimento formale e di fatto nell’ambito dei fabbricati I.A.C.P. delle opere realizzate, costituiscono implicito riconoscimento dell’utilità delle stesse per la stazione appaltante.

2. Il ricorso è privo di fondamento.

3. Quanto al primo motivo, va osservato come la Corte di merito abbia rettamente interpretato la normativa all’epoca vigente in materia di appalto pubblico. Invero, sia nella L. n. 2248 del 1865, art. 342 (e nell’art. 20 del Regolamento n. 350 del 1895), sia nell’art. 13 Cap. Gen. OO.PP. del 1962 risulta chiaramente espresso il divieto per l’appaltatore di procedere autonomamente alla esecuzione di opere diverse ed aggiuntive rispetto a quelle previste in contratto, ed il connesso principio secondo cui l’eventuale ordine (o autorizzazione) di procedere in tal senso deve, da un lato, essere impartito per iscritto dal Direttore dei Lavori, e dall’altro deve indicare gli estremi della specifica approvazione di tali variazioni preventivamente adottata nelle forme di legge dalla Amministrazione committente (cfr.ex multis Cass. Sez. 1 n. 16046/2009; n. 10069/2008;

n. 5278/2007; n. 11501/2006; n. 11365/1999). Nel caso in esame, risulta evidente dalle stesse allegazioni del ricorrente che le variazioni in discussione rispetto alle prestazioni originariamente previste non sono state ordinate (nè autorizzate) per iscritto dal Direttore dei Lavori, tantomeno approvate preventivamente dall’Istituto committente. Le argomentazioni esposte dal ricorrente non conducono a diverse conclusioni, atteso che – premesso che di variazioni pur sempre si tratta, a prescindere dalla valutazione in ordine alla loro utilità o necessità ai fini della realizzazione del piano manutentivo, valutazione che come detto spetta comunque all’Ente committente – la inequivoca delimitazione, nelle norme sopra richiamate, delle condizioni alle quali soggiace il diritto dell’appaltatore a compensi aggiuntivi per le variazioni o addizioni conduce ad escludere che rientri nella autonoma competenza del Direttore dei Lavori provvederà, in rappresentanza dell’Ente committente e in difetto di specifica approvazione da questo preventivamente adottata nelle forme di legge, ad ordinare o autorizzare tali variazioni. Nella specie, peraltro, la prova testimoniale ha chiaramente escluso che vi sia stato alcun ordine da parte del Direttore dei lavori, e nessuna specifica censura risulta prospettata sul punto in ricorso.

Nè a diverse conclusioni può condurre la applicazione nella specie delle disposizioni dell’art. 103 del Regolamento di cui al R.D. n. 350 del 1895, che subordinano il diritto al compenso dell’appaltatore per i lavori, meritevoli di collaudo ma non preventivamente autorizzati, al riconoscimento da parte del collaudatore della loro indispensabilità per l’esecuzione dell’opera ed alla circostanza che l’importo totale della stessa, compresi i lavori non autorizzati, resti entro i limiti delle spese approvate. Da un lato, dal ricorso non emerge – alla stregua del noto principio dell’autosufficienza- l’indicazione specifica di risultanze probatorie, non considerate dal giudice di merito, in ordine alla ricorrenza nella specie dei due presupposti normativi testè indicati; dall’altro, la eventuale menzione delle opere in questione nel certificato di collaudo non sarebbe comunque sufficiente ai fini del diritto al compenso, essendo invece necessaria la definitiva approvazione da parte dell’amministrazione committente (cfr. ex multis Cass. n. 15221/2007;

n. 10428/1996), che nella specie non risulta emessa, essendo invece pacifico l’intervenuto rigetto delle riserve formulate dall’impresa in ordine alla esclusione dei compensi in questione dalla contabilità finale dei lavori.

3.1 Tali considerazioni valgono evidentemente anche per il secondo motivo, con il quale sostanzialmente si reiterano gli stessi argomenti con riferimento specifico al lavoro di revisione degli impianti elettrici. L’unico elemento peculiare evidenziato nel motivo con riguardo a tale prestazione, quello concernente l’affermato “riconoscimento” da parte del consulente tecnico d’ufficio circa la sua indispensabilità, si mostra inidoneo ai fini della applicazione dell’art. 103 citato, dovendo – come già osservato – tale riconoscimento provenire dagli organi rappresentativi dell’Istituto appaltante, non già dal consulente tecnico d’ufficio.

4. Nè miglior sorte può riconoscersi al terzo motivo di ricorso, essendo il dictum della corte di merito conforme al consolidato orientamento di questa corte – che il collegio condivide – secondo cui l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti della Pubblica Amministrazione richiede, quale condizione imprescindibile, che quest’ultima riconosca la utilità della prestazione, e tale riconoscimento non può essere desunto dalla mera acquisizione e successiva utilizzazione della prestazione stessa o da altri comportamenti, ove in tali condotte non sia oggettivamente rilevabile un’inequivoca, ancorchè implicita, manifestazione di volontà, promanante da organi rappresentativi della Amministrazione interessata, ed esprimente un giudizio positivo circa il vantaggio dell’opera o della prestazione ricevuta dall’ente rappresentato (cfr.

ex multis S.U. n. 1764/2011; Sez. 1 n. 3322/2010; Sez. 2 n. 2312/2008). Rettamente la corte di merito ha rilevato come nella specie non ricorrano gli elementi propri del riconoscimento implicito, nè gli elementi evidenziati nel ricorso conducono a diverse conclusioni, atteso che: a) l’avvenuto collaudo dei lavori da parte del Direttore dei Lavori ha la diversa funzione tecnica di accertare l’avvenuta esecuzione corretta dell’opera e non implica alcun giudizio sul vantaggio che possa derivare all’Istituto dalle pretese maggiori prestazioni eseguite dall’impresa, giudizio che peraltro il collaudatore non è legittimato ad esprimere in rappresentanza dell’Istituto committente; b) il preteso “inserimento formale e di fatto nell’ambito dei fabbricati I.A.C.P.” costituisce elemento generico ed equivoco, considerando anche le caratteristiche delle opere in questione.

5. Si impone pertanto il rigetto del ricorso, con la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione, tenuto conto delle peculiarità della controversia, il cui insorgere appare oggettivamente ascrivibile ad entrambe le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2011

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