Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21961 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 21/09/2017, (ud. 19/06/2017, dep.21/09/2017),  n. 21961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20302-2014 proposto da:

T.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

EMANUELE GIANTURCO 1, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

PAZZAGLIA, rappresentato e difeso dagli avvocati MASSIMO MARCUCCI,

SANDRO PICCHIARELLI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DERUTA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA BARBERINI 12, presso lo studio

dell’avvocato ENRICO TONELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE CAFORIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 17/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2017 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato TONELLI Enrico, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CAFORIO Giuseppe, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

T.F. in proprio e quale rappresentante legale della Movimento Terra Deruta propone ricorso per cassazione contro il Comune di Deruta, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Corte di appello di Perugia che ha rigettato l’appello a sentenza del Tribunale di Perugia, sezione di Todi, che aveva a sua volta rigettato l’opposizione ad o.i. per l’importo di Euro 170.000 per violazione della L.R. Umbria n. 2 del 2000, art. 17, commi 4, 5 e 6, a fronte di sette violazioni accertate con verbale n. (OMISSIS).

Parte ricorrente denunzia violazione dell’art. 17, comma 5 predetta legge regionale che applica a colui che ha l’autorizzazione per l’attività estrattiva la stessa sanzione prevista per colui che ne è sprovvisto, il tutto, però subordinato alla impossibilità della riambientazione, con la conseguenza che l’amministrazione, prima di elevare la sanzione, deve accertare che le operazioni di ripristino non siano state eseguite o comunque non consentano di poter procedere alla ricomposizione ambientale.

Ciò premesso, si osserva:

La sentenza ha chiarito che non esistevano contestazioni in ordine alle circostanze fattuali di causa non negate nella loro materialità ed ha escluso che il T. avesse attuato la riambentazione prevista nel progetto.

Il riallineamento del terreno effettuato dopo l’ordine dell’autorità non doveva infatti considerarsi come riambientazione secondo il progetto originario, posto che non esisteva più il terreno vergine non alterato previsto nell’autorizzazione, essendo stati necessari vari riporti del terreno.

Era indubbio che il T. avesse sia scavato al di fuori dei confini progettuali autorizzati sia scavato in difformità dal progetto approvato per una profondità maggiore di circa quattro metri rispetto a quanto autorizzato.

Ciò premesso, l’odierna censura, in parte riproduce quanto sostenuto in appello, in parte è nuova, essendosi in precedenza sostenuto che si era proceduto al riallineamento del terreno attraverso operazioni di riporto, il tutto senza impugnare la complessiva ratio decidendi sopra riportata, tentando una generica contestazione dell’accertamento in fatto compiuto e proponendo una diversa lettura senza fornire alcun elemento concreto per riformare la decisione.

Sotto l’apparente deduzione di una violazione di legge si propone un generico riesame del merito, peraltro in contrasto con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello.

Il ricorso difetta anche di specificità non indicando quale era il progetto invocato.

Donde il rigetto del ricorso con condanna alle spese.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese liquidate in Euro 6200 di cui 200 per spese vive, oltre accessori e spese forfettarie nel 15%, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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