Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21959 del 30/07/2021

Cassazione civile sez. un., 30/07/2021, (ud. 11/05/2021, dep. 30/07/2021), n.21959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente di Sezione –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sezione –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4380-2020 proposto da:

F.G. S.R.L., in proprio e quale mandataria dell’ATI

costituita con la società Ing. Pavesi & C. s.r.l.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TRIONFALE 7032, presso lo

studio dell’avvocato DIMITRI GOGGIAMANI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALDO ASSISI;

– ricorrente –

contro

A.A., C.A., A.S., A.E.,

A.D., A.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CAMESENA 8, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA ROMEO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI CARBONE;

CONSORZIO DI BONIFICA ALTO IONIO REGGINO (già Consorzio di bonifica

di Caulonia), in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio

dell’avvocato NATALE CARBONE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALFREDO GUALTIERI;

S.I.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SABOTINO 12, presso lo studio dell’avvocato GAETANO ROMEO,

rappresentata e difesa dall’avvocato AURELIO LEUZZI;

S.I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SABOTINO 12, presso lo studio dell’avvocato GAETANO ROMEO,

rappresentato e difeso dall’avvocato AURELIO LEUZZI;

– controricorrenti –

nonché contro

PREFETTURA DI REGGIO CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 203/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 07/11/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/05/2021 dal Consigliere VALITUTTI ANTONIO;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale SALZANO

FRANCESCO, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di

Cassazione vogliano rigettare il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.A., A.S., A.E., A.D., A.D. e A.G. – premesso di essere proprietari di alcuni fondo in Siderno, occupati per la realizzazione di un acquedotto, senza che venisse loro notificato alcun atto della procedura ablatoria – convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Locri, la Prefettura di Reggio Calabria ed il Consorzio di bonifica di Caulonia, chiedendone la condanna al pagamento dell’indennità di occupazione ed al risarcimento del danno da fatto illecito, derivante dall’occupazione usurpativa posta in essere dai convenuti.

1.1. Riassunta la causa – a seguito di declaratoria di incompetenza del Tribunale adito – dinanzi al Tribunale regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte d’appello di Napoli, i convenuti si costituivano contestando la domanda attorea. Il consorzio chiamava, altresì, in giudizio la società F.G. s.r.l., quale capogruppo dall’Associazione temporanea di imprese appaltatrice, costituita con la società Ing. Pavesi e C. s.r.l., onde essere da quest’ultima manlevata da ogni pretesa avanzata nei suoi confronti. Quest’ultima evocava, a sua volta, in garanzia S.G. e S.D., quali tecnici incaricati dell’espletamento delle procedure di asservimento preordinate all’esecuzione dei lavori.

1.2. All’esito dell’istruzione – nel corso della quale veniva disposta ed espletata c.t.u. – il Tribunale regionale delle acque pubbliche, con sentenza n. 5165/2018, depositata il 16 novembre 2018, così provvedeva: 1) in parziale accoglimento della domanda degli attori determinava in Euro 67.620,00 l’indennità di asservimento, ed in Euro 4.425.,27 l’indennità di occupazione legittima; 2) rigettava le domande proposte nei confronti della Prefettura di Reggio Calabria; 3) accoglieva la domanda di manleva proposta dal Consorzio nei confronti della società F.G. s.r.l., condannando la medesima a tenere indenne il Consorzio di bonifica di quanto corrisposto ai ricorrenti in esecuzione della sentenza; 4) rigettava la domanda riconvenzionale proposta dal Consorzio nei confronti degli attori; 5) rigettava la domanda di manleva proposta dall’Impresa F.G. nei confronti di S.G. e S.D..

2. Con sentenza n. 203/2019, notificata il 5 dicembre 2019, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rigettava l’appello proposto dalla società F.G. s.r.l., ritenendo sussistente una responsabilità dell’appaltatrice per i danni arrecati agli originari attori e, quindi, configurabile un rapporto di manleva a carico della stessa nei confronti del Consorzio di bonifica. Per converso, il giudice del gravame riteneva insussistenti i presupposti per l’accoglimento della domanda di garanzia proposta da F.G. s.r.l. nei confronti degli S.. Nel merito, il TSAP considerava fondate la pretese indennitaria e risarcitoria, proposte in giudizio dai proprietari illegittimamente ablati.

3. Per la cassazione di tale pronuncia ha proposto ricorso la società F.G. s.r.l. nei confronti di C.A., di A.S., di A.E., di A.D., di A.D., di A.G., del Consorzio di Bonifica Alto Ionio Reggino (già Consorzio di bonifica Caulonia), di S.G., di S.D., della Prefettura di Reggio Calabria, affidato a tre motivi. I resistenti tutti hanno replicato con controricorso, fatta eccezione per la Prefettura di Reggio Calabria che non ha svolto attività difensiva.

4. Le parti hanno depositato memorie. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, la società F.G. s.r.l., denuncia “la consistenza nullificante del motivo impugnatorio ex art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3 e comma 1, punto 5 ” (pp. 7 e 8 del ricorso).

1.1. Deduce la ricorrente che la sentenza avrebbe erroneamente disatteso il primo motivo di appello, con il quale la società istante aveva fatto valere – ampiamente argomentando nell’atto di appello e nella “memoria concludente del 11.5.2019” – la mancanza di una responsabilità dell’appaltatrice per il pregiudizio subito dagli originari attori, in conseguenza dell’illegittima occupazione del fondo di loro proprietà. Sicché, ad avviso della istante, non sarebbe stato in alcun modo configurabile un “rapporto di manleva a carico di essa nei confronti del Consorzio”. Ed, a tal fine, evidenzia la società che il TSAP avrebbe erroneamente interpretato l’art. 24 del Capitolato speciale di appalto, ritenendo che tale clausola potesse fondare – nei rapporti interni con il Consorzio – un diritto di quest’ultimo di essere tenuto indenne dall’impresa appaltatrice di quanto fosse tenuta a corrispondere ai proprietari ablati.

1.2. Rileva, per contro, la ricorrente che da siffatta clausola poteva inferirsi – al più – “una pattuizione relativa alla manleva per le spese processuali in senso stretto, non già – e mai – la manleva per il pagamento degli oneri ablatori”, essendo questi ultimi di pertinenza esclusiva della stazione appaltante. Ed a conclusione del motivo, la società cita – ma senza specificamente riferirle alla decisione impugnata – alcune norme della L. n. 865 del 1971 e del D.P.R. n. 327 del 2001.

1.3. Il motivo è inammissibile per diversi ordini di ragioni.

1.3.1. Deve, invero, anzitutto rilevarsi che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, senza limitarsi a giustapporre alle argomentazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, quelle sostenute dal ricorrente. Diversamente verrebbe ad essere impedito alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., 29/11/2016, n. 24298; Cass., 05/08/2020, n. 16700; Cass. Sez. U., 28/10/2020, n. 23745). In tema di ricorso per cassazione, invero, la deduzione del vizio di violazione di legge non determina, per ciò stesso, lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, occorrendo che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (Cass. Sez. U., 12/11/2020, n. 25573).

1.3.2. Del pari, ai fini della corretta deduzione del vizio motivazionale, va osservato – sul piano generale – che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) costituzionalmente rilevante (art. 111 Cost.), in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 27/11/2014, n. 25216; Cass., 11/04/2017, n. 9253; Cass. Sez. U., 21/02/2017, n. 17619).

Con specifico riferimento alle decisione del TSAP, queste Sezioni Unite hanno, inoltre, affermato che avverso le decisioni pronunciate, in unico grado o in grado d’appello, dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., per violazione di legge, e soltanto per vizi della motivazione che si traducano nella sua inesistenza, contraddittorietà o mera apparenza, mentre non è consentito al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle “quaestiones facti”, la quale comporterebbe un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U., 07/01/2016, n. 67; Cass. Sez. U., 05/04/2007, n. 8520).

1.3.3. Nel caso di specie, per contro, la censura in esame non evidenzia in alcun modo in quale parte, e sotto quale profilo, l’impugnata sentenza del TSAP sia affetta dal denunciato vizio di violazione di legge, né opera deduzione alcuna – con specifico riferimento al percorso motivazionale seguito dalla pronuncia in questione – idonea ad evidenziare una carenza di motivazione di tale gravità da inficiare di nullità la sentenza stessa.

1.3.4. Di più, il mezzo non si confronta, per confutarla adeguatamente, con la motivazione della sentenza del TSAP, laddove il giudice del gravame ha evidenziato con chiarezza che, se è ben vero che – nei rapporti esterni – difetta una concessione traslativa dal Consorzio alla società, idonea a radicare, nei confronti dei terzi, i poteri ablatori in capo all’appaltatrice e l’accollo privativo degli obblighi indennitari a suo carico, ciò nondimeno, “l’art. 24 del capitolato costituisce valida fonte, nei rapporti interni, del diritto del Consorzio di essere tenuto indenne” dall’impresa appaltatrice. E ciò, non soltanto in relazione alle spese processuali bensì – atteso l’ampio tenore letterale della clausola – con riferimento alla “totalità degli effetti e conseguenze delle vertenze relative agli indennizzi”.

Orbene, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).

1.3.5. Ebbene, men che confrontarsi con tale motivata ratio decidendi della pronuncia del TSAP, la censura contiene valutazioni di merito, fondate sulla riproduzione di stralci degli atti difensivi di parte e della sentenza di primo grado, dirette a scardinare l’interpretazione della predetta clausola contrattuale operata dal giudice di appello. Senonché, con il ricorso per cassazione – anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

2. Con il secondo motivo di ricorso, la società F.G. s.r.l. denuncia “la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5” (p. 9).

2.1. La istante deduce che il TSAP avrebbe erroneamente disatteso il secondo motivo di appello, con il quale la società si doleva del mancato accoglimento, da parte del giudice di primo grado, della domanda di manleva proposta dalla medesima nei confronti di S.G. e di S.D..

2.2. Il mezzo è inammissibile.

2.2.1. Fermi i rilievi suesposti in ordine alla corretta deduzione dei vizi di violazione di legge e di mancanza di motivazione, va rilevato che anche la censura in esame non si confronta in alcun modo con la ratio decidendi dell’impugnata sentenza. La pronuncia del TSAP ha, per vero, evidenziato l’estrema genericità della deduzione in ordine alla responsabilità dei progettisti, non essendo stata fatta valere nei loro confronti né una responsabilità aquiliana, né una responsabilità contrattuale per inadempimento degli obblighi assunti, ed ha posto in rilievo la mancata assunzione, da parte di questi ultimi, di una responsabilità nei confronti dell’impesa appaltatrice, difettando una disposizione analoga a quella applicabile nei rapporti tra appaltante ed appaltatrice – di cui all’art. 24 del capitolato speciale di appalto.

2.2. Il motivo contiene, per contro valutazioni di merito, e deduzioni – non particolarmente chiare – neppure riferibili con evidenza alla statuizione impugnata.

3. Con il terzo motivo di ricorso, la società F.G. denuncia “la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5”, nonché “il vizio di violazione dell’art. 360, comma 1, lett. l, con riferimento all’invasione di campo del giudice amministrativo (…) sotto il profilo della ritenuta applicabilità ai contratti di appalto pubblici della normativa relativa ai contratti privatistici” (p. 13).

3.1. Si duole la ricorrente che il TSAP avrebbe disatteso il terzo motivo di appello, con il quale l’appellante aveva dedotto la “contraddittorietà della statuizione indennitaria e risarcitoria, rispetto alla qualificazione della fattispecie non riconducibile ad occupazione usurpativa”.

3.2. Il motivo è inammissibile.

3.2.1. Anche in questo caso, infatti, – ribadendosi i rilievi già svolti in ordine alla deduzione dei vizi motivazionale e di violazione di legge -, va rilevato che la censura non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, che ha motivatamente confermato la decisione di primo grado, rilevando che – per la sua ampiezza – la domanda degli attori “comprendesse l’indennità di asservimento e l’indennità di occupazione legittima e non fosse vincolata al presupposto della illiceità dell’occupazione”.

3.2.2. La doglianza, per contro, contiene mere valutazione di merito, mediante riproduzione di stralci degli atti difensivi e della sentenza di primo grado, senza in alcun modo confrontarsi con il dictum della decisione impugnata.

4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

PQM

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente, in favore dei controricorrenti, alle spese del presente giudizio, che liquida, per ciascun controricorrente, in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge con attribuzione, quanto ai resistenti S., ai difensore dichiaratosi antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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