Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21956 del 21/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/09/2017, (ud. 13/07/2017, dep.21/09/2017),  n. 21956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22745/2016 R.G. proposto da:

L.V.M. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE MARIO VAVALA’, che la

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato

IGNAZIO MORONI;

– ricorrente –

contro

GALLERIE COMMERCIALI ITALIA S.P.A., in persona del Procuratore

Generale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO

FONTANE 161, presso lo studio dell’avvocato FABIO MARELLI che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO QUATTROCCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11814/2016 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

depositata il 09/06/2016;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 13/07/2017 dal Consigliere Dott. Franco DE STEFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

la LVM srl ricorre, affidandosi ad un motivo per la fase rescindente, per la revocazione della sentenza n. 11814 del 09/06/2016 con cui questa Corte ha rigettato il suo ricorso avverso la sentenza n. 610 del 29/06/2012 della Corte d’appello di Venezia nei confronti della Gallerie Commerciali Italia spa, qualificando infondato il primo motivo ed inammissibili, ancor prima che infondati, gli altri due;

al riguardo, l’odierna ricorrente prospetta come errore revocatorio l’avere questa Corte concluso che la sentenza di appello aveva ritenuto l’acquisto, da parte di Gallerie Commerciali Italia spa, dei beni asportabili sulla base del solo contratto di locazione e non invece di un successivo accordo transattivo inter partes del 2005: “errata lettura della sentenza” di appello che avrebbe determinato l’affermazione della legittima applicazione, nella sentenza di merito, della disciplina delle migliorie e addizioni a beni asportabili che tali non erano; per poi proporre nuovamente, per il caso di accoglimento del motivo di ricorso relativo alla fase rescindente, il primo motivo originario per la fase rescissoria;

resiste con controricorso l’intimata;

è formulata proposta di definizione – di inammissibilità – in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

la ricorrente e la controricorrente depositano memorie ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p..

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorso per revocazione è inammissibile;

la qui gravata sentenza ha qualificato “insindacabile premessa di fatto” (v. pag. 4) la circostanza che tanto gli impianti e le attrezzature acquistate, quanto i lavori eseguiti da LVM per trasformare il locale da yogurteria in gelateria fossero rimasti acquisiti in proprietà alla sua controparte “in base agli stessi accordi negoziali”, identificando questi ultimi “sia” nell’art. 11 del contratto di locazione, significativamente richiamato dalla stessa ricorrente, “sia” nel successivo accordo transattivo del 2005, per esservi stati dettagliatamente descritti e finanche autorizzati;

pertanto, delle due l’una:

a) o l’errore sarebbe stato commesso dalla corte di appello e allora non rileverebbe, perchè l’errore revocatorio non si configura mai neppure quando ha ad oggetto il mero recepimento della valutazione del giudice del merito (Cass. ord. 02/10/2013, n. 22569) o il sindacato sui motivi mossi a quest’ultimo (Cass. 09/12/2013, n. 27451) e meno che mai quando ha ad oggetto pretesi errori compiuti da quest’ultimo (tra moltissime: Cass. 20/05/2002, n. 7334; Cass. Sez. U. 01/03/2012, n. 3184; Cass. 19/03/2012, n. 4353): perchè infatti allora non sarebbe un errore di fatto commesso dalla Corte di cassazione, ma semmai – a tutto concedere, cosa che neppure è poi accaduta nella fattispecie, per quanto si dirà – un errore di diritto nella disamina del motivo di censura con cui il ricorrente si è doluto di quella valutazione operata dai giudici del merito;

oppure:

b) si tratterebbe appunto di una lettura e quindi di una interpretazione critica della gravata sentenza, tanto da attribuire ad essa una conclusione: ciò che va ben al di là della mera svista o semplice errore di percezione di un dato empirico insuscettibile di diversa estimazione, ma involge una autentica valutazione discrezionale del decisum di secondo grado, a sua volta – nella specie – per di più sorretta da puntuale riscontro di dati e finanche da argomentazioni di sostegno (“a fini di completezza espositiva”), tali da integrare vera e propria ulteriore ratio decidendi, di per sè sola idonea a sostenere la decisione: e tanto in base a quanto ricordato, tra moltissime, da Cass. Sez. U. 16/11/2016, n. 23306, configurando l’errore revocatorio solo una falsa percezione di un dato di realtà insuscettibile di apprezzamento e cioè un errore obbiettivamente ed immediatamente rilevabile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento esterno al processo, al quale un soggetto dell’ordinamento intende ricollegare effetti giuridici a sè favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata: l’errore deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o – meno che mai – di indagini o procedimenti ermeneutici; cosa che non può dirsi per nessuna valutazione e tanto meno per quella qui compiuta dalla gravata sentenza, lineare nell’esposizione di ragioni di fatto e di diritto coerenti e congrue, sebbene evidentemente non condivise, ma tutt’altro che risolventisi in errori di percezione;

inoltre, è chiaro che la qui gravata sentenza di legittimità si basa su di una duplice argomentazione, come è reso evidente dal tenore testuale della motivazione a pag. 4, ove l’acquisizione in proprietà a Gallerie dei lavori eseguiti da LVM per trasformare il locale da yogurteria in gelateria è riferita “agli stessi accordi negoziali stipulati dalle parti”, identificandoli però subito dopo “sia in virtù della espressa previsione di cui all’art. 11 del contratto di locazione originario (secondo la quale miglioramenti e addizioni apportati dalla conduttrice, anche se autorizzati, sarebbero rimasti acquisiti alla locatrice al termine della locazione), sia, più specificamente, in virtù della transazione stipulata nel 2005”: tanto che tale duplice giustificazione della ragione dell’acquisizione, da un lato, andava specificamente e partitamente impugnata (in mancanza, dovendosi ritenere perfino non decisivo l’errore revocatorio prospettato nei confronti di una sola di quelle, bastando l’altra a sorreggere la finale decisione) e, dall’altro e comunque, in entrambe le rationes decidendi presuppone un giudizio fondato su valutazione comparativa di circostanze di fatto e soluzione di questioni di diritto quale l’interpretazione degli accordi negoziali e la sussunzione dei beni concretamente descritti nella previsione di questi, il che esclude ancora una volta la configurabilità di un errore revocatorio per la preponderanza evidente di un’attività di giudizio e valutazione;

il ricorso per revocazione non può che essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente, soccombente, alle spese;

inoltre, la conclamata e manifesta ragione di inammissibilità della revocazione, proposta sulla prospettazione di un avallo o condivisione di errori di giudizio compiuti dal giudice del merito o su quella di un errore di giudizio commesso proprio da quello di legittimità, impone poi – anche di ufficio, per le ragioni già esposte nei precedenti di cui subito appresso – la condanna dell’odierna ricorrente per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 4 (applicabile ratione temporis per il tempo in cui è iniziato il presente giudizio, cioè prima del 04/07/2009: Cass. 20/01/2015, n. 817), potendo valere i presupposti elaborati al riguardo, per il giudizio di legittimità con unitaria elaborazione degli istituti delle condanne previste dall’art. 385 c.p.c., comma 4 e art- 96, comma 3 codice di rito, da questa Corte fin da Cass.. 07/10/2013, n. 22812, ma soprattutto da Cass. ord. 22/02/2016, n. 3376 (a mente della quale “ai fini della condanna… ex art. 96 c.p.c., comma 3, l’infondatezza in iure delle tesi prospettate in sede di legittimità, in quanto contrastanti con il diritto vivente e con la giurisprudenza consolidata, costituisce indizio di colpa grave così valutabile in coerenza con il progressivo rafforzamento del ruolo di nomofilachia della Suprema Corte, nonchè con il mutato quadro ordinamentale, quale desumibile dai principi di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), di illiceità dell’abuso del processo e di necessità di una interpretazione delle norme processuali che non comporti spreco di energie giurisdizionali”), ovvero da Cass. 21/07/2016, n. 15017, ovvero ancora da Cass. 14/10/2016, n. 20732, per una somma che stimasi equa nella misura indicata in dispositivo, maggiorata degli accessori ivi indicata per la natura di credito di valuta della relativa situazione giuridica;

va infine dato pure atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Condanna altresì la ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, di Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre interessi al tasso legale da oggi al soddisfo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2017

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